Col Co-vid19 da un giorno all’altro, o quasi, ci siamo ritrovati tutti in una situazione inimmaginabile: una pandemia mondiale (l’ultima risaliva al 1968), che ha stravolto le nostre vite. Ma anche la nostra mente. Siamo tutti costantemente bombardati da notizie di ogni genere che ci allarmano o, al massimo, ci addolciscono la pillola (oggi la situazione è migliore ma si devono aspettare 3 giorni per esserne certi, che poi diventano 4 e poi 5 e così via). Tutti hanno paura di sbilanciarsi e noi abbiamo paura di crederci. Circondati da un milione di fake news anche preoccuparsi o risollevarsi spaventa. Ancora, ascoltare troppo spesso il telegiornale potrebbe renderci isterici ma non ascoltarlo mai potrebbe renderci infantili e disinformati.
Contemporaneamente anche portare avanti un’idea diventa complicato: o si inneggia al senso civico, diventando porta bandiera di una guerra alle vie di mezzo, che giustifica ogni tipo di repressione e imposizione, facendo indossare a un paese disunitario la maschera dell’uguaglianza; o si lamentano le difficoltà della reclusione forzata, sfociando nell’illegalità e nell’egoismo puro, percependo prepotentemente la necessità di evadere a tutti i costi. Pretendere il bianco e il nero in un mondo in pieno caos. Diventare un criminale se hai portato il cane a più di 200 metri da casa o sottometterti alla testa ovattata e alla stessa aria opprimente delle tue quattro mura.
La scelta d’appartenenza ad una di queste due fazioni implica scontri e dibattiti continui che si uniscono agli spari mediatici. Rifiutarsi di scegliere causa lo stesso problema, con l’aggravante della viltà, della mancata responsabilità nei confronti del proprio stato che, da un giorno all’altro, è tornato ad essere nazione. Aumentano allora i rumori, gli spari e le bombe nella nostra mente. E questa guerra silenziosa, combattuta nei nostri nidi, assume tutte le sembianze di quella vera. Non è in ballo la nostra vita, ma forse la nostra mente si. E nessuno si sofferma a pensare al perché. Nessuno si accorge che questa nuova minaccia ci ha reso tutti uguali perché vulnerabili, spaventanti ma anche e soprattutto instabili, senza distinzione di razza, età e sesso. È divenuta collante generazionale, capace di accomunare figli, genitori e nonni, occupanti del mondo veloce, che di giorno in giorno aumenta la distanza.
Ma lo ha fatto nella maniera peggiore possibile. Colpendo la nostra mente e rendendoci fragili psicologicamente. Passare il tempo con la nostra famiglia, sviluppare i rapporti, organizzare una partita a carte o concedersi un gioco da tavola è diventata la più complessa delle azioni. E lo sforzo della convivenza assidua ci consuma come se avessimo i piedi incollati al suolo e una voglia pazzesca di correre. Allora rimpiangiamo la nostra dinamica quotidianità, che fino a poche settimane era il nostro continuo motivo di lamento.
Il popolo di internet, tutto il mondo, è stato costretto a rallentare e bloccarsi ed è spaventato perché, non avendo più niente da rincorrere, potrebbe fermarsi a pensare.
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