Endecasillabi della letteratura italiana: i nove più belli

endecasillabi

L’endecasillabo è una figura della metrica italiana, utilizzata in letteratura da numerosi poeti nel corso dei secoli. Con il termine endecasillabo, si indicano i versi in cui l’ultimo accento, tonico e ritmico, cade obbligatoriamente sulla decima sillaba.
L’endecasillabo è il verso principale e più utilizzato della poesia italiana: si trova in tutte le strofe e le strutture metriche più importanti, come la terza rima, o terzina dantesca, l’ottava, la ballata, la canzone, il sonetto. È sempre stato usato anche da solo in sequenze di endecasillabi sciolti.

Storia dell’endecasillabo

Probabilmente la paternità verso endecasillabo è da attribuire a Giacomo da Lentini, noto esponente della Scuola siciliana. Lentini compose poesie in forma dialogata, ma egli è principalmente ricordato per l’invenzione del sonetto e appunti, degli endecasillabi.
Gli endecasillabi italiani sono quasi sempre “canonici”, hanno cioè accentata, oltre alla decima, almeno anche la 4° sillaba (in questo caso si parla di endecasillabo a minore) o la 6° (endecasillabo a maiore).

Sono numerosi gli esempi di splendidi endecasillabi che caratterizzano la storia della letteratura italiana, da Dante ai giorni nostri. A tal proposito, abbiamo stilato una classifica, nella quale verranno menzionati nove splendidi endecasillabi.

Nove splendidi endecasillabi: le nostre scelte

Il primo e sicuramente uno dei più celebri è: “Nel mezzo del cammin di nostra vita // mi ritrovai per una selva oscura”.
I primi due noti versi endecasillabi della prima cantica della Divina Commedia di Dante Alighieri, ossia l’Inferno. Il sommo poeta descrive, in questi versi,  un viaggio, intrapreso da egli stesso, che si è smarrito, finendo in una selva oscura; proprio la selva oscura rappresenta, allegoricamente, la strada errata dell’esistenza umana. La Divina Commedia o semplicemente Commedia, è un poema allegorico, scritto in terzine incatenate di endecasillabi (poi chiamate per antonomasia terzine dantesche).

Altro endecasillabo famoso è: “Al cor gentil rempaira sempre amore”, canzone di Guido Guinizzelli, definita “canzone dottrinale” in quanto le argomentazioni dell’autore si discostano dal genere propriamente lirico per accostarsi alla riflessione filosofica.

Al terzo posto della classifica degli splendidi endecasillabi, ritroviamo l’endecasillabo in un’altra opera dantesca, ossia la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore” che si compone di soli endecasillabi.  Tale testo in realtà riprende gli usi e le abitudini metriche di Cavalcanti e Guinizzelli. Si tratta di una canzone perfettamente inserita nello stile proprio dello Stilnovo, formata da cinque stanze di quattordici versi endecasillabi ciascuna, con schema della rima AB BC AB BC CD DC EE.

Naturalmente, oltre agli stilnovisti, anche altri poeti, hanno composto poesie e liriche, rifacendosi allo schema metrico dell’endecasillabo. Tra questi poeti, ritroviamo Torquato Tasso, con la meravigliosa Gerusalemme Liberata.
“Canto l’arme pietose e ’l Capitano // che ’l gran sepolcro liberò di Cristo”. Celebri versi proemiali della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso; la famosa opera in questione, non solo si basa sulla presenza di rime alternate e baciate, ma in particolar modo il metro scelto è appunto, l’endecasillabo, o meglio, l’ottava di endecasillabi. Lo stesso Torquato Tasso definì l’ottava di endecasillabi come una scelta maestosa, ma anche eccellente ed acuta al tempo stesso.

Un altro splendido esempio di coppia di endecasillabi, che sicuramente merita d’esser citato, è il seguente: “Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea // tornare ancor per uso a contemplarvi”, che è possibile leggere ne Le Ricordanze di Giacomo Leopardi; nell’opera, Leopardi, sviluppa un tema a lui caro, quello del confronto tra passato e presente, paragonando malinconicamente le illusioni della giovinezza e l’amara disillusione attuale. Si tratta di una Canzone di sette strofe libere in endecasillabi sciolti.

Uno dei poeti più vicini all’utilizzo dell’endecasillabo, oltre a Dante Alighieri, è certamente Francesco Petrarca, il quale utilizzava questa figura metrica per descrivere i propri stati d’animo, caratterizzando il testo in base a quanto egli volesse esprimere. Uno dei suoi versi più famosi, nel quale si ritrova uno splendido endecasillabo, è: “Solo e pensoso i più deserti campi” dei Rerum Vulgarium Fragmenta; si tratta di uno dei sonetti più celebri del Canzoniere, in cui Petrarca descrive se stesso intento a camminare in luoghi remoti e selvaggi, nel tentativo (vano) di sfuggire alle sue pene d’amore. Nella prima quartina la presenza di endecasillabi conferisce una particolare lentezza al ritmo, che sottolinea il procedere lento e cadenzato dei passi dell’autore.

Un altro splendido endecasillabo che vale la pena menzionare, è di Salvatore Quasimodo: “E come potevamo noi cantare // con il  piede straniero sopra il cuore // fra i morti abbandonati nelle piazze”, terzina di endecasillabi tratta da una delle poesie più conosciute di Quasimodo, collocata in apertura della raccolta Giorno dopo giorno.
La celebre poesia si compone di dieci endecasillabi sciolti, che l’autore sceglie per denotare quello che viene definito un cambiamento stilistico, sottolineando il passaggio dall’ermetismo ad una poesia più attuale e quindi vicina a tutti.

M’apparisti così come in un cantico // del Prati, lacrimante l’abbandono // per l’isole perdute nell’Atlantico”, è un’altra splendida terzina di endecasillabi, che merita d’esser citato.  Si tratta di una poesia di Gozzano, intitolata La Signorina Felicità.  La metrica del poemetto è composta da sestine di endecasillabi rimate secondo lo schema ABBAAB con possibile variazione ABABBA.

Il ritmo incalzante di alcuni poeti o autori, ha caratterizzato numerose opere letterarie, è il caso di Vittorio Alfieri, il quale, nella sua ricca produzione, (all’interno della quale si annoverano principalmente tragedie) ha prediletto e quindi utilizzato molto spesso, l’endecasillabo. Annoveriamo tra i dieci splendidi endecasillabi: “Non perciò d’ira al flagellar rovente”, proprio di Vittorio Alfieri, inserito nella Raccolta di Rime. Dal punto di vista metrico, presenta quattordici versi endecasillabi divisi in due quartine e due terzine, la rima segue lo schema: ABAB ABAB CDC DCD.

 

Foto di: Pixabay

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