I primi documenti in volgare italiano: l’alba di una nuova lingua

I primi documenti in volgare italiano: placito capuano

La nascita della lingua italiana è un processo secolare che affonda le sue radici nella lenta trasformazione del latino parlato. I primi documenti in volgare rappresentano le “fotografie” di questa evoluzione: non sono opere letterarie, ma testimonianze che mostrano l’emergere di una nuova lingua, distinta da quella latina. Analizziamo cinque dei più importanti atti di nascita del nostro idioma, dal primo indizio alla prima narrazione.

I primi documenti in volgare a confronto

Documento Perché è importante
Indovinello veronese Mostra la transizione tra latino e volgare a livello morfologico.
Placito di Capua È il primo uso consapevole e ufficiale del volgare in un atto giuridico.
Formula di confessione Testimonia l’uso del volgare in ambito religioso per necessità pastorali.
Iscrizione di San Clemente Mette in scena la coesistenza di diversi registri linguistici.
Ritmo bellunese Rappresenta uno dei primi usi del volgare per una narrazione in versi.

L’indovinello veronese (fine VIII – inizio IX sec.)

I primi documenti in volgare italiano: indovinello veronese

Contesto e datazione

Riportato a margine di un codice conservato nella Biblioteca Capitolare di Verona, l’indovinello è una nota di un amanuense che descrive l’atto dello scrivere. È una testimonianza di una fase di passaggio precedente al volgare pienamente formato.

Testo e traduzione

Testo: Se pareba boves, alba pratalia araba, et albo versorio teneba, et negro semen seminaba.

Traduzione: teneva davanti a sé i buoi (le dita), arava bianchi prati (le pagine), teneva un bianco aratro (la penna) e seminava un nero seme (l’inchiostro).

L’importanza linguistica

Il testo è fondamentale perché mostra chiari segni di evoluzione dal latino. In forme verbali come pareba e araba, la desinenza finale “-t” dell’imperfetto latino (parebat, arabat) è caduta, un fenomeno tipico del parlato che qui viene messo per iscritto per la prima volta.

Il placito di Capua (960)

I primi documenti in volgare italiano: placito capuano

Contesto e datazione

Questo documento è il primo dei quattro Placiti Cassinesi, testimonianze giurate registrate tra il 960 e il 963. Riguarda una lite sulla proprietà di alcune terre tra il monastero di Montecassino e un feudatario locale.

Testo e traduzione

Testimonianza: Sao ke kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.

Traduzione: so che quelle terre, entro quei confini che qui sono descritti, le possedette per trent’anni la parte (il monastero) di San Benedetto.

L’importanza linguistica

Qui la scelta del volgare è consapevole e intenzionale. Mentre il corpo dell’atto è in latino, la testimonianza è trascritta nella lingua parlata per garantirne la validità legale. Questo dimostra la piena distinzione tra il latino scritto e una lingua d’uso ormai riconosciuta anche in contesti ufficiali.

La formula di confessione umbra (1080)

Contesto e datazione

Risalente al 1080 circa, questa formula penitenziale proviene da un monastero umbro. È una delle prime testimonianze dell’uso del volgare in ambito religioso, dettato dalla necessità pastorale di farsi comprendere dai fedeli durante la confessione.

Testo e traduzione

Testo (parte): Me accuso de lu corpus Domini, ke indignamente lu ricevì. De tutti li peccati ke homo pote fare et devedi, me nde accuso…

Traduzione: mi accuso del corpo del Signore, che indegnamente ricevetti. Di tutti i peccati che un uomo può fare e pensare, me ne accuso…

L’importanza linguistica

La formula mostra l’adattamento del volgare umbro a un contesto sacro. La lingua doveva essere chiara per permettere al fedele di esprimere il proprio pentimento. Questo documento anticipa l’uso letterario del volgare umbro che troverà la sua massima espressione nel Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi.

L’iscrizione di San Clemente (fine XI sec.)

Iscrizione di San Clemente

Contesto e datazione

Negli affreschi della Basilica inferiore di San Clemente a Roma (fine XI secolo) è raffigurata la leggenda del prefetto Sisinnio. Le parole dei personaggi sono scritte in “fumetti” sopra le loro teste.

Testo e traduzione

  • Sisinnio: fili de le pute, traite. (Figli di puttana, tirate!)
  • Servi: Gosmari, Albertel, traite. / Falite de retro co lo palo, Carvoncelle!
  • San Clemente: duritiam cordis vestri, saxa traere meruistis. (A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi.)

L’importanza linguistica

L’affresco mette in scena la coesistenza di diversi registri linguistici. I servi e Sisinnio usano un volgare romanesco plebeo. San Clemente parla in un latino dotto ed ecclesiastico. È uno spaccato realistico della società dell’epoca, che mostra come il volgare fosse la lingua della vita quotidiana, mentre il latino rimaneva quella della cultura.

Il ritmo bellunese (ca. 1193)

Contesto e datazione

Questa cantilena, databile al 1193 circa, è una cronaca in versi della vittoria dei soldati di Belluno e Feltre contro quelli di Treviso. È uno dei primi esempi di uso del volgare con finalità narrative e celebrative, un passo fondamentale verso la letteratura.

Testo e traduzione

Testo (parte): De Castel d’Ard ha pres i bona part. / I lo getà tutto intro lo flumo d’Ard…

Traduzione: di Casteldardo ha preso la maggior parte. / E lo gettò tutto dentro il fiume Ardo…

L’importanza linguistica

Il ritmo bellunese rappresenta un anello di congiunzione tra il documento pratico e la poesia. Sebbene la sua qualità artistica sia modesta, è la prima volta che il volgare viene impiegato per raccontare un evento storico. La lingua è un volgare veneto con influenze dal francese epico, a testimonianza di una ricerca di uno stile già più elevato.

Fonte immagini: domino pubblico

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