Trovatori e trovieri, una miniatura medievale

Trovatori e trovieri, una miniatura medievale

Il mondo di trovatori e trovieri si articola sulla scia di una melodia che ha gettato le basi per la lirica moderna. Non a caso Paul Zumthor, critico e filologo svizzero, ha parlato di presenza della voce, come se questa si fosse materializzata e avesse preso corpo nel mondo cortese. La lirica medievale d’oc e d’oïl è infatti tutta destinata alla voce e non alla littera. Solo successivamente ha maturato, per opera dei compilatori di canzonieri nel XIII secolo, una sua forma scritta. Per quanto trovatori e trovieri non siano poi così distanti nel tempo e nello spazio, riconosciute sono le differenti prospettive poetiche, che alcuni umoristicamente hanno attribuito alla veracità meridionale assente nella Francia dei trovieri.

I termini trovatore e troviere hanno etimologie varie, dal più semplice senso della ricerca a quello della modalità compositiva stessa. La prima palese differenza risiede nella lingua alla quale questi poeti affidavano la propria voce. Per i trovatori, la lingua d’oc, volgarmente riconosciuta come provenzale, ma non diffusa nell’unica regione della Provenza, bensì in tutto il Midi francese, l’area delle lingue occitane. I trovieri cantavano in lingua d’oïl, dalla quale si svilupperà il francese moderno.

Due cornici diverse racchiudevano il loro canto: da una parte, nella grande corte francese, il troviere era legato a una dimensione sociale circoscrivibile e al servizio di un signore; dall’altra, i trovatori, avventurieri in musica e parole, ma mai semplici menestrelli. La condizione del sud di quella che ancora non si chiamava Francia era animata da corti più piccole e dalla grande vivacità lirica, luoghi di incontro fra dame e cavalieri di diversa condizione.

Trovatori e trovieri: amore e altri giochi lirici

Il tema amoroso è preponderante infatti in entrambe le poetiche, nella peculiare declinazione che sottolinea Alberto Varvaro con immortali parole. Quello dell’amante cortese sarebbe un «positivo destino di sofferenza». Una contraddizione in termini dunque. Il destino è di sofferenza, perché l’amante non può mai raggiungere la sua dama se non in una dimensione onirica o di atavica memoria, quel luogo immaginifico ma pur sempre claustrofobico che è stato definito dalla critica spazio lirico. Ma è pur sempre positivo, perché solo da questa privazione nasce una poetica di indelebile memoria.

Da questo nasce il noto amor de lonh occitano, l’amore di lontano, tanto decantato dal trovatore Jaufre Rudel. O l’impossibilità del legame di Tristano e Isotta, immortalato da trovieri del calibro di Chrétien de Troyes, uno dei più noti compositori in lingua d’oïl. La donna, che è domina in quanto signora, è talvolta irraggiungibile in quanto legata da un matrimonio con quello che nella poetica occitana si definisce il gilos, il marito insomma. Trovatori e trovieri differiscono un po’ in questo, in quanto nella realtà francese è più frequente il coronamento del matrimonio fra il poeta e la sua donna. Verso la fine del XII secolo per i trovatori ci saranno tendenze che attesteranno una liberalità mordace.

Mentre molti trovatori, nel periodo del tramonto del mondo occitano, causato da vicissitudini storiche e politiche, continueranno a perseguire l’amor de lonh, poeti del calibro di Bertran de Born, Arnaut Daniel e Raimbaut d’Aurenga si ribelleranno allo spazio lirico, violando il destino di sofferenza e nutrendo un amore euforico ed esplicitamente carnale per la propria signora. Quella che era intoccabile e irraggiungibile è descritta nelle sue caratteristiche più sensuali, addirittura nuda fra le braccia del proprio drut, il suo amante. Resta però il senso del panegirico e della riverenza nei suoi confronti, retaggio di quella che è stata definita metafora feudale. La domina e il suo amante sarebbero la proiezione poetica del signore e del vassallo, realtà che accomuna trovatori e trovieri.

Questa vivacità e presenza ingombrante di varianti al tema è attutita da una poetica parzialmente monocorde della lirica dei trovieri. Eppure lì viene condita dal canto epico, e alla preghiera della donna si somma anche la fede in Dio, nella cornice violenta delle crociate. I trovieri, la cui poetica è maturata in tempi successivi rispetto ai trovatori, hanno ereditato molto della loro lirica dal mondo occitano, spesso aggiungendo innovazioni poetiche di grande rilievo, come il romanzo medievale e le sue varianti. Il primo romanzo di formazione sarebbe infatti nato in questa cornice, per non parlare di leggende che da sempre vivacizzano ed entusiasmano l’immaginario medievale.

Trovatori e trovieri si inscrivono in una miniatura monodica tanto profana quanto sacra. Amore, cavalieri, armi, sirventesi e invettive. Questa è l’invenzione della lirica moderna.

A proposito di Carolina Borrelli

Carolina Borrelli (1996) è iscritta al corso di dottorato in Filologia romanza presso l'Università di Siena. Il suo motto, «Χαλεπὰ τὰ καλά» (le cose belle sono difficili), la incoraggia ogni giorno a dare il meglio di sé, per quanto sappia di essere solo all’inizio di una grande avventura.

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