Il Piano Madagascar è stato un progetto concepito dalla Germania nazista, per volontà del dittatore Adolf Hitler, che aveva l’obiettivo di trasferire in un unico luogo tutti gli ebrei che contaminavano le terre europee. Il luogo in questione è una grande isola che si trova nel versante sud-est del continente africano, il Madagascar.
La questione razziale
L’accanimento antisemita di Hitler era già noto ben prima che egli salisse al potere: negli anni che scontò in carcere, il dittatore compose il libro Mein Kampf (1925), La mia battaglia, in cui vi sono presenti, tra le diverse tematiche, anche quelle riguardanti la questione della razza. Quella a cui apparteneva il popolo germanico, la cosiddetta razza ariana, era considerata superiore, mentre alcune delle altre, ebrei inclusi, erano Untermenschen, subumani.
Dalla salita al potere del nazionalsocialismo, i movimenti di persecuzione si sono largamente implementati ed il movimento di Hitler divenne sempre più radicale nelle sue posizioni: già dal 1933, si assistette alla promulgazione delle prime leggi antisemite, al boicottaggio e all’umiliazione pubblica di medici, negozianti ed avvocati ebrei. Le prime leggi erano più che altro restrittive: ad esempio, tramite la “Legge sulla funzione pubblica“, coloro che non erano ariani, furono ritenuti indesiderabili nell’occupare qualsiasi posizione in termini di funzione pubblica. In altre parole, era una maniera velata (poiché non si voleva allarmare l’elettorato e l’opinione pubblica) di escludere gli ebrei dalla società tedesca perché, appunto, indesiderabili. Non si parlava ancora di espulsioni dal territorio o spostamenti in massa, come nel caso del Piano Madagascar, ma di una vera e propria privazione di diritti.
La prima umiliazione pubblica, invece, ebbe luogo a Monaco, nel marzo del 1933, quando Michael Siegel, avvocato tedesco di religione ebraica, fu costretto a sfilare per le strade del capoluogo bavarese sanguinante, con i pantaloni strappati ed un cartello appeso al collo che recitava: Non mi lamenterò più con la polizia.
Storicamente, la questione antisemitismo ha radici molto più remote poiché, già da diversi secoli e in buona parte d’Europa, sono noti i diversi episodi di persecuzione e di espulsione di ebrei dai territori del vecchio continente. Questo movimento che accompagnò l’Europa per circa un millennio, alla fine del XIX secolo aveva raggiunto uno dei suoi picchi maggiori. Infatti, l’idea di trasferire in massa gli ebrei non fu partorita dai nazisti: furono diversi gli antropologi che parlavano di progetti come il Piano Madagascar e, tra le diverse proposte, ricordiamo quella chiamata Schema Uganda, concepita nei primi anni del XX secolo, che prevedeva lo spostamento degli ebrei in un territorio africano controllato dagli inglesi, nell’omonimo sito. In questo caso, lo spostamento avrebbe dovuto assicurare ai giudei un territorio da amministrare ma anche un rifugio dalle persecuzioni in continente europeo.
Il Piano Madagascar
Ancor prima, nel 1885, il tedesco Paul de Lagarde aveva sostenuto il piano di trasferire tutti gli ebrei d’Europa su un’isola remota dell’est dell’Africa, il Madagascar. Questa idea fu ripresa e studiata dai nazisti che, come detto, cercarono di attuarla. Come sappiamo, la Germania diede il via alla Seconda guerra mondiale invadendo e conquistando la Polonia, in cui abitavano tra i 4 ed i 5 milioni di ebrei: i nazisti si trovarono, quindi, a dover fronteggiare questo problema. Già nel 1939 iniziarono ad essere creati i ghetti, territori in cui deportare in massa le popolazioni ebraiche, cosa che però non sembrava essere la concreta risoluzione poiché questi potevano facilmente essere luoghi di rivolte.
Nel 1940, dopo aver sospeso la costruzione dei ghetti, i maggiori gerarchi nazisti, Adolf Eichmann in primis, trovarono la soluzione al problema rispolverando il piano Madagascar: sostenendo di poter vincere in pochi mesi la guerra, con la conseguente sconfitta della Gran Bretagna, i tedeschi avrebbero potuto utilizzare l’immensa flotta inglese per poter attuare il piano e trasferire gli ebrei in un unico ghetto lontano dal vecchio continente.
È opportuno sapere che, ovviamente, il piano non aveva la finalità di trasferirli e farli prosperare in territorio africano, piuttosto di riunirli in un immenso campo di concentramento a cielo aperto: il governo nazista sapeva che essi sarebbero stati costretti a morire di fame e sapeva anche delle diverse epidemie che erano in corso in loco. Ovviamente, poi, non tutti gli ebrei volevano abbandonare il territorio in cui probabilmente erano cresciuti ed avevano una casa, ma non potevano rifiutarsi.
È chiaro che il viaggio che avrebbero dovuto intraprendere non era di divertimento, piuttosto uno spostamento in massa impartito da militari che minacciavano, picchiavano ed umiliavano. Inoltre, come possiamo notare dai documenti ufficiali riguardanti il Piano Madagascar, lo spostamento in Africa sarebbe stato, oltre che obbligatorio, finanziato dagli ebrei stessi che avrebbero dovuto pagare di tasca loro. In più, tutte le proprietà e le loro ricchezze sarebbero state confiscate dai nazisti.
Conclusioni
Il piano rimase soltanto un’idea astratta: nell’estate del 1940, Hitler si rese conto che la Gran Bretagna non si sarebbe facilmente arresa e che sarebbe stato altrettanto complesso invaderla; senza le imbarcazioni navali inglesi, attuare il progetto sarebbe stato complicatissimo. Furono, quindi, pensate altre soluzioni: vennero riprese la costruzione dei ghetti, dei campi di concentramento e di sterminio fino alla Soluzione finale. Nonostante ciò, il Piano Madagascar continuò ad esistere: per eclissare la brutalità del loro genocidio, la propaganda nazista sfruttò il progetto rimarcando che gli ebrei di Polonia erano stati in qualche modo trasferiti in Africa, mentre in realtà venivano efferatamente massacrati.
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