La storia del ghetto di Varsavia: origini e condizioni di vita

La storia del ghetto di Varsavia: le origini e le condizioni di vita

La costruzione dei ghetti fu il primo tassello del terribile progetto intrapreso dalle autorità naziste di recludere, perseguire ed infine sterminare la popolazione ebraica. È importante narrare la storia, ma soprattutto la sofferenza, della popolazione del ghetto di Varsavia, uno dei più conosciuti.

Storia del ghetto di Varsavia

Il ghetto è per definizione quell’area nella quale le persone ebraiche hanno vissuto, forzatamente o volontariamente, in un regime di reclusione.
Il ghetto di Varsavia, noto alla storia per essere stato il più grande tra i ghetti costruiti dai nazisti, fu istituito il 16 ottobre del 1940 in Polonia. Com’è ben noto il 1 settembre del 1939 la Germania nazista invase e conquistò la Polonia dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale e, in parallelo, alla politica di segregazione e reclusione della popolazione ebraica. Quest’ultima, prima dell’invasione tedesca, viveva in totale armonia con la componente non ebraica della popolazione nella città di Varsavia e con la piena libertà di potersi stabilire negli altri quartieri della città. Con l’ingresso delle truppe tedesche in Polonia la situazione cambiò radicalmente.

Il ghetto fu in realtà già istituito nell’estate del 1940 come campo di quarantena e successivamente la sua creazione fu giustificata con l’obiettivo di evitare la diffusione di epidemie.
Nonostante gli ebrei fossero inizialmente obbligati a portare braccialetti raffiguranti la stella di David, il ghetto di Varsavia era dotato, in origine, di 14 accessi e la circolazione tra la zona ebraica e gli altri quartieri della città, anche se non pienamente libera, non era sottoposta alle rigide misure di reclusione adottate in seguito.
Gli ebrei potevano uscire solo per motivi lavorativi, ma sempre scortati da una guardia. La situazione peggiorò nel mese di agosto dello stesso anno quando iniziò la costruzione del muro che finì per rinchiudere completamente gli ebrei, privandoli di qualsiasi contatto con il mondo esterno. 

L’analisi della storia del ghetto di Varsavia, per quanto fondamentale nella comprensione della tragedia ebraica, non ci mostra fino in fondo le terribili condizioni di vita all’interno del ghetto.

Condizioni di vita

Prevedibilmente la totale segregazione della popolazione portò ad un terribile peggioramento delle condizioni di vita.
Le razioni di cibo erano poche, le condizioni igieniche terribili e sistematici erano gli atti di violenza da parte dei tedeschi, ma anche da parte dei Consigli Ebraici, i quali, fungendo da tramite tra la popolazione locale e le autorità tedesche, erano costretti a piegarsi alla volontà di quest’ultimi per non subire gli stessi atroci supplizi.
La sofferenza degli ebrei non si limitava solo al dolore derivante dalla violenza fisica, poiché la totale reclusione del ghetto di Varsavia dal resto del mondo comportava interruzioni delle comunicazioni postali, telefoniche e tranviarie e assenza di gas e di luce elettrica, e di conseguenza un isolamento che incideva gravemente sulla salute psichica.

Come ci testimonia la storia del ghetto di Varsavia, le condizioni di vita peggiorarono ulteriormente l’anno seguente, agli inizi del 1941.
Lo spazio a disposizione della popolazione fu ridotto ulteriormente ed il tasso di mortalità per malattie, fame e violenze crebbe enormemente a tal punto che si giunse a circa 2.000 morti ogni mese.
Il sovraffollamento del ghetto di Varsavia, nel quale risiedevano oltre 400.000 ebrei, fu uno dei principali fattori che contribuì a determinare la morte per stenti e denutrizione di gran parte della popolazione. I ritmi di vita quotidiana erano dettati dalle autorità naziste, le quali obbligavano la popolazione al lavoro forzato. Gli ebrei stanchi, sporchi e denutriti vagavano per le strade alla ricerca di una razione di cibo, incuranti delle centinaia di cadaveri che ricoprivano le strade.
L’epidemia di tifo, nel frattempo, faceva strage aumentando il tasso di mortalità giornaliero. Non c’era più spazio negli ospedali per curarli, né tantomeno nei cimiteri per consentire loro una degna sepoltura.

Nonostante la sofferenza patita ogni giorno, la storia del ghetto di Varsavia ci mostra quanto gli ebrei furono in grado di organizzare varie forme di resistenza introducendo, illegalmente, armi, informazioni e razioni di cibo all’interno dei ghetti. Talvolta erano supportati nelle loro attività anche dai Consigli Ebraici, poiché ciò si rivelava necessario per consentire la sopravvivenza della popolazione.
In alcuni ghetti gli ebrei furono in grado di dar vita ad insurrezioni armate, la più grande delle quali fu proprio quella del ghetto di Varsavia, nella primavera del 1943. A tal proposito, Marek Edelman, uno dei protagonisti dell’insurrezione di Varsavia, riuscì a fuggire attraverso una rete fognaria. Due anni dopo, nel 1945, pubblicò un’opera intitolata Il ghetto di Varsavia lotta in cui descrive, in maniera straziante, le drammatiche condizioni di vita della popolazione.
La paura, l’oppressione e la sofferenza della popolazione, derivanti dalla mancanza di cibo e dalla diffusione dell’epidemia di tifo, si racchiudono in una frase di Edelman carica di significato: «Il tifo è dappertutto. Minaccia da tutte le parti. Come la fame, diviene il signore onnipotente del ghetto».

Tra gli ultimi mesi del 1941 e l’inizio del 1942, in vista della realizzazione del progetto della Soluzione finale, gli ebrei del ghetto iniziarono ad essere fucilati e seppelliti in fosse comuni o ad essere deportati nei campi di concentramento per essere, infine, sterminati.

Le atrocità compiute dalle autorità naziste e la sofferenza inflitta alla popolazione ebraica sebbene difficili da raccontare rappresentano una parte fondamentale della storia del ghetto di Varsavia e testimoniano quanto gli eventi storici nel loro progressivo evolversi, possano giungere a livelli estremi di disumanizzazione e perdita di dignità umana. 

Fonte immagine dell’articolo: Pixabay

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