Quando parliamo di libero arbitrio ci rifacciamo a un concetto antichissimo, tramandato da secoli. Essenzialmente esso rappresenta la capacità di ogni singolo individuo di scegliere liberamente, senza l’influenza di forze esterne. Dunque, sia il pensiero che le azioni della persona sono svincolate da qualsiasi tipo di predestinazione. Ma cos’è davvero il libero arbitrio? E quanto le nostre scelte sono realmente libere?
Cos’è il libero arbitrio: una definizione complessa
Definire il libero arbitrio non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che si interseca con la filosofia, la religione, la psicologia e le neuroscienze. In generale, possiamo dire che il libero arbitrio è la facoltà di compiere scelte in modo autonomo, senza essere determinati da fattori esterni o da predeterminazioni interne.
Il dibattito sul libero arbitrio nella storia: da Erasmo da Rotterdam a Benjamin Libet
Nel Cinquecento, a distanza di un anno, Erasmo da Rotterdam pubblica il De libero arbitrio e Martin Lutero il De servo arbitrio. Sono gli anni della Riforma, del tentativo di un riavvicinamento alla religione tradizionale da parte dei credenti, e la questione della volontà (il così detto libero arbitrio filosofico) assume un ruolo centrale nel dibattito tra quelli che furono, rispettivamente, maestro e allievo.
Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero: il libero arbitrio nella Riforma
Il dibattito tra Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero sul libero arbitrio rappresenta uno dei momenti chiave della Riforma Protestante. Mentre Erasmo sosteneva la capacità dell’uomo di scegliere tra il bene e il male, Lutero negava l’esistenza del libero arbitrio, affermando che la salvezza dipende unicamente dalla grazia divina.
Gli esperimenti di Benjamin Libet: l’attività cerebrale precede la scelta consapevole?
A raccogliere l’eredità di questa crepa sono gli scienziati contemporanei e le loro scoperte. Già negli anni ottanta il neuroscienziato statunitense Benjamin Libet si cimentò in una serie di esperimenti con l’obiettivo di dimostrare la non sussistenza del libero arbitrio. In sintesi, Libet collegò diversi soggetti a un elettroencefalografo, chiedendogli di muovere un dito in qualsiasi momento, quindi a loro discrezione. Il risultato fu sorprendente: gli strumenti di laboratorio scoprirono che la scelta consapevole dei soggetti veniva preceduta dall’attività cerebrale, con un distacco di 300 millisecondi. Prendendo in prestito qualche termine filosofico, potremmo dire che la scelta è frutto di un processo inconscio.
Compatibilismo: libero arbitrio e determinismo possono coesistere?
Ed è a questo punto che si inserisce la dottrina del compatibilismo. Secondo questa tesi le nostre scelte consapevoli, in realtà, non sono altro che frutto di una catena casuale di processi neurali. A un risultato simile arrivò anche Francis Bacon quattro secoli fa, parlando del ruolo cruciale dell’esperienza nella vita umana. Dunque la messa in crisi del libero arbitrio, almeno in chiave compatibilista, non deve spaventare perché non intacca l’importanza delle scelte che compiono tutti gli individui sin dall’alba dei tempi; semplicemente si tratta di un cambiamento di prospettiva. Così il luogo e il tempo di nascita, le relazioni sociali, l’istruzione e l’educazione ricevuti finiscono per assumere un ruolo ancor più determinante e influente sulla nostra vita. Determinate esperienze, combinate a una predisposizione innata, conducono a precisi comportamenti, definendo così la personalità dell’individuo, da cui derivano i sogni, le paure, i talenti e le passioni di ognuno. Si delinea, così, un individuo ancora padrone del proprio destino ma particolarmente attento al mondo che lo circonda perché, se siamo frutto di esperienze e relazioni, allora puntare su quelle positive potrebbe rivelarsi fondamentale per il nostro benessere e felicità.
Genetica e comportamento: quanto siamo liberi dal nostro DNA?
Dopo aver visto cos’è il libero arbitrio, analizziamo la sue relazione con la genetica. Attualmente si fa largo un filone di pensiero per cui il comportamento umano sarebbe largamente influenzato dalla genetica. L’aggressività, la sessualità, il comportamento sociale, l’intelligenza sarebbero definiti e determinati dai geni ereditati alla nascita. Su questo si innesta ovviamente il fattore ambiente: siamo biologicamente scolpiti per essere influenzati da un complesso sistema di fattori esterni.
Cesare Lombroso e la teoria del criminale nato: un approccio superato
La genetica così sta entrando in ambiti inattesi, come quello della criminalità e della giustizia, mentre la scienza si interroga su quanto certe ipotesi siano effettivamente fondate. La domanda è: siamo liberi da noi stessi? Possiamo emanciparci dal nostro DNA? Esiste il libero arbitrio o ci comportiamo solo in maniera predeterminata? Cesare Lombroso, sul finire dell’Ottocento, sosteneva ci fosse una correlazione stretta tra la morfologia del volto e il comportamento criminale, al punto da convincersi che si potesse anticipare la pena in base alla sola analisi della conformazione del cranio di un soggetto. La sua correlazione tiene conto di caratteri fisici, dunque geneticamente determinati, sostenendo la co-eredità di alcuni di essi con la tendenza criminale. Lombroso ha certamente la sua dose di merito per aver incoraggiato un approccio più sistemico e deterministico allo studio della criminalità, ma è escluso che la sua tesi possa avere un minimo di veridicità scientifica. In primis, è improbabile un’associazione così lineare tra una dimensione tanto intricata come il comportamento umano e i geni, altrettanto complessi, che determinano la morfologia del viso.
Genetica e comportamento: il ruolo dell’ambiente e della società
Ma soprattutto questioni inerenti la dimensione umana e biologica non possono essere ridotte a una questione di causa-effetto e liquidate in maniera tanto semplicistica. Eppure, l’aspetto fisico inevitabilmente espone a un giudizio e la mente umana si sviluppa in correlazione con esso, che si tratti dell’immagine rimandata dallo specchio o dell’opinione di un terzo. Per quanto ci si sforzi di non dare considerazioni affrettate, inevitabilmente la vista di una persona si accompagna quasi automaticamente all’espressione di un giudizio sulla base della sua fisionomia. Un uomo dai tratti marcati e l’aspetto rude, ad esempio, cresce avendo attorno una società che gli rimanda questa stessa immagine, tramite persone che gli si approcciano in un certo modo o sviluppano un certo tipo di preconcetto, il che ha una chiara influenza sullo sviluppo del suo atteggiamento nei confronti del prossimo. In questo senso, la correlazione tra genetica e comportamento passa per il filtro della società, influendo sulla psicologia del soggetto, quindi il nesso non sarebbe diretto genetica-comportamento, bensì genetica-società-comportamento. Il punto di vista genetico continua ad avere i suoi perché e la sfida è proprio comprenderne a fondo l’ingerenza.
Il “gene guerriero” e le nuove frontiere della genetica comportamentale
Negli ultimi decenni, si è intensificata la ricerca relativa alle cause e ai meccanismi di alcuni fenomeni mentali, grazie anche ai nuovi mezzi della genetica e della biologia molecolare, uniti a studi di imaging cerebrale. Questo ha consentito di ampliare notevolmente la conoscenza del cervello e delle sue funzioni superiori, per quanto si tratti di una prospettiva molto ampia e in larga parte inesplorata. Sono state dimostrate numerose associazioni tra scompensi chimici dovuti a mutazioni geniche e disturbi antisociali o abuso di droghe. Caso emblematico è quello del cosiddetto ‘gene guerriero’, una variante di un gene fisiologico codificante per l’enzima monoammino ossidasi, che sembra determinare un atteggiamento aggressivo innescato in situazioni di forte stress, reso noto dal caso triestino del 2009. Infatti, alla corte d’Assise d’Appello di Trieste questa vulnerabilità genetica è valsa come attenuante per il cittadino algerino Abdelmalek Bayout, con uno sconto di pena di un anno per l’omicidio del colombiano Walter Felipe Novoa Perez.
Libero arbitrio e responsabilità: implicazioni etiche e sociali
Si prospettano così nuove sfide etico-sociali e biogiuridiche, mentre si mettono in dubbio le nozioni di crimine e di pena e si riconcepiscono in una nuova ottica scientifica categorie della giurisprudenza classica, quali la responsabilità penale e il provvedimento legale. Avere certezze scientifiche in questo ambito sarebbe rivoluzionario nella misura in cui consentirebbe un tipo di intervento più mirato per determinati soggetti e porterebbe a nuove forme di recupero/trattamento e di inclusione sociale. Comunque il discorso è molto più ampio perché la genetica di comportamento rivede le fondamenta di concetti più generali e ben radicati nella coscienza collettiva, quali l’intenzione, il libero arbitrio e dunque il personalissimo percorso di vita del singolo individuo. In questo caso l’interesse enorme suscitato da questi studi probabilmente si fonde con il desiderio immane dell’uomo di affidarsi a forze altre e non controllabili, in una fatalistica accettazione dei propri difetti e in un gioco di scaricabarile in cui fa quasi piacere non ritenersi responsabili di un’esistenza non gradita di cui non si ha il coraggio di reggere il timone. La complessità biologica resta, purtroppo o per fortuna, in larga parte incompresa e questo lascia largo spazio alla ricerca di un senso, neanche necessariamente solo scientifico.
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