“[…] La loro morte copre uno spazio immenso, in esso uomini di ogni terra non dimenticano Marzabotto, il suo feroce evo di barbarie contemporanea”. Termina così Questa è memoria di sangue, una poesia che Salvatore Quasimodo dedica alla memoria della strage di Marzabotto. È importante enfatizzare che non si tratta di un omaggio; siamo davanti ad una potente forma di denuncia di uno degli atti più ignobili compiuti dai nazifascisti.

L’inferno tra i monti dell’Appennino
Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nei territori di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, vengono brutalmente uccise 1830 persone circa, la maggior parte donne, anziani e bambini per ordine del maggiore Walter Reder, comandante del 16° battaglione Panzer Aufklärung. Si parla di una cifra simbolica e non esatta, poiché sarebbe impossibile risalire al numero preciso di vittime per via delle distruzioni degli uffici anagrafici di quegli anni; oggi abbiamo questo numero ottenuto dalla differenza tra i civili prima della guerra e le famose “tessere della fame”, ovvero le carte annonarie che furono distribuite con la fine della Seconda Guerra Mondiale alla popolazione.
L’area di Monte Sole rappresentava un pericolo per i tedeschi: era l’ultimo avamposto naturale prima di Bologna, e rimanere bloccati in quella zona significava ricevere un duplice attacco da parte dei partigiani e degli alleati. La posizione strategica permetteva infatti alla Brigata partigiana Stella Rossa di controllare le vie di accesso alla città, attaccando il nemico in caso di avvicinamento: la spinta degli alleati costringeva le truppe tedesche a salire verso nord, avvicinandosi pericolosamente a Bologna.
La marcia della morte: Marzabotto
Durante l’estate del ’44, ci furono molteplici tentativi di attaccare la zona circostante Monte Sole, ma con scarsi risultati. Per questo motivo, fu deciso di fare “terra bruciata” dell’area, radendo al suolo tutti i paesi circostanti, mietendo vittime in quella che è tristemente nota come “la marcia della morte”, che attraversò Versilia e Lunigiana per arrivare infine a Bologna. Nel settembre del ’44, le SS naziste decidono infine di far partire l’operazione militare che aveva come obiettivo quello di “ripulire” l’area dalle brigate partigiane, e il compito fu affidato al maggiore Walter Reder, catturato poi nel maggio del ’45 dalle truppe inglesi a Salisburgo. Forse la consapevolezza dell’imminente disfatta amplificò la violenza e la ferocia dei soldati; senza aver più nulla da perdere, le truppe non risparmiarono nemmeno i bambini che cercarono riparo in fienili, cimiteri e scuole. Ogni luogo divenne un bersaglio, ogni persona indifferentemente dall’età fu massacrata nei modi più brutali mai pensati: bambini gettati vivi tra le fiamme, anziani fucilati per non aver risposto abbastanza velocemente agli ordini, e persino neonati trovati decapitati mesi dopo nella neve.

Dopo questi 6 giorni di violenze, stragi e rastrellamenti, le vittime civili furono più di 700. Le autorità negarono ogni voce o notizia circa ciò che era accaduto, rispondendo che si trattava di un mero atto diffamatorio. Fu solo dopo la Liberazione che si iniziarono a chiarire le dinamiche del massacro.
Giustizia negata, dolore eterno
Nel 1945, Reder fu consegnato alle autorità italiane; alla fine del processo, nel 1951 fu condannato all’ergastolo per una parte delle vittime dell’eccidio di Monte Sole. Purtroppo, il dolore delle vittime non finì con la sentenza: nell’aprile del 1967, Walter Reder mandò una lettera alla comunità di Marzabotto chiedendo il perdono per il massacro, che non fu ovviamente concesso dai cittadini; ma meno di vent’anni dopo fu scarcerato, e disse di non aver mai scritto quella lettera e di non aver mai chiesto perdono. Morì a Vienna il 2 maggio del 1991.

Dalla memoria di Marzabotto all’educazione
La zona della strage è diventata ora un parco storico regionale che porta avanti la memoria storica degli eccidi avvenuti per mano dei nazifascisti. Nel 2002, è stata istituita la Scuola di Pace di Monte Sole, che promuove l’educazione alla pace attraverso corsi di formazione con visita ai luoghi della strage.
Non basta ricordare quanto avvenuto; sappiamo dell’umanità negata a quelle persone, e per portare avanti il loro ricordo è necessario impedire che atrocità simili si ripetano. Quanto abbiamo davvero imparato, se la memoria non si è ancora trasformata in consapevolezza quotidiana?
Fonte immagini: Wikipedia

