Sanscrito: quello che c’è da sapere sulla lingua sanscrita

sanscrito e lingua sanscrita

La parola sanscrito (in sanscrito: संस्कृतम्, saṃskṛtam) significa perfezionato, raffinato. Già dalla sua etimologia è possibile ricavare indizi sulla storia e la complessità di questa lingua antichissima. Appartenente alla famiglia linguistica indoeuropea, è considerata l’origine di moltissime lingue moderne parlate in India e svolge, nella cultura asiatica, un ruolo paragonabile a quello del latino e del greco in Europa.

La storia: dal sanscrito vedico al sanscrito classico

Comunemente definita “la lingua più antica del mondo”, è più corretto dire che il sanscrito è una delle più antiche lingue attestate. La sua storia si divide in due fasi principali.

Caratteristica Sanscrito vedico vs. Sanscrito classico
Periodo Circa 1500 a.C. – 500 a.C. vs. Dal 500 a.C. in poi.
Testi di riferimento I Veda, i testi sacri dell’induismo. vs. Le grandi epopee (Mahābhārata, Rāmāyaṇa), la letteratura, la filosofia.
Grammatica Più arcaica, libera e con maggiori irregolarità. vs. Altamente sistematizzata e regolata dalla grammatica di Pāṇini.
Uso Lingua liturgica e rituale della casta sacerdotale (brahmani). vs. Lingua letteraria, scientifica e colta delle élite.

Pāṇini e la nascita della “lingua perfetta”

Il passaggio dal Vedico al Classico è segnato da una figura monumentale: Pāṇini, un grammatico indiano vissuto intorno al V secolo a.C. La sua opera, l’Aṣṭādhyāyī, è una grammatica di una completezza e precisione logica sbalorditive, che codifica la lingua in circa 4.000 regole. Grazie a Pāṇini, il sanscrito non è da considerare una lingua naturale evolutasi spontaneamente, ma una lingua “perfetta” la cui struttura è stata fissata grammaticalmente. Questa codificazione ha contribuito a rendere il sanscrito eccezionalmente conservativo. Il suo sistema linguistico è di una complessità notevole: otto casi, tre generi, tre numeri, verbi con diverse diatesi e un’elevata capacità di creare parole composte.

La “scoperta” del sanscrito in Occidente

Per secoli, il sanscrito è stato il punto di riferimento per comprendere la storia delle lingue indoeuropee. La svolta avvenne alla fine del XVIII secolo, quando studiosi europei notarono le sue incredibili somiglianze con il greco e il latino. Nel 1786, Sir William Jones, in un celebre discorso, ipotizzò che queste lingue dovessero derivare da una fonte comune. Questa intuizione, come documentato da fonti accademiche come l’Enciclopedia Britannica, diede vita alla linguistica storico-comparativa. Al linguista tedesco Wilhelm August von Schlegel spetta il merito di aver avviato lo studio accademico del sanscrito in Europa, mentre la prima grammatica per occidentali fu opera del missionario Paolino da San Bartolomeo.

L’eredità del sanscrito oggi: una lingua viva nella cultura

Sebbene sia da catalogare tra le lingue morte (non essendo la lingua madre di nessuna comunità), il sanscrito è tutt’altro che scomparso. È una delle 22 lingue ufficiali dell’India e continua a essere usato in contesti religiosi e accademici. Il suo fascino permane nella cultura contemporanea. Nel 1985, un articolo della rivista *AI Magazine* lo definì una lingua perfettamente adatta all’informatica per la sua struttura logica e non ambigua. Il suo lessico permea la pratica globale dello yoga: parole come āsana (posizione), guru (maestro) o il celebre saluto namasté (traducibile come “mi inchino a te”) derivano direttamente dal sanscrito. Anche il mantra om (ॐ), che si dice rievochi il suono primordiale dell’universo, testimonia la vitalità di questa lingua millenaria.

Articolo aggiornato il: 13/09/2025

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