William Shakespeare, il Bardo di Avon, è stato il più grande scrittore di lingua inglese, un prolifico poeta e il maggior esponente del teatro elisabettiano. Oltre alle sue immortali opere teatrali, ha lasciato un’eredità di 154 sonetti, pubblicati nel 1609. Questi componimenti sono dedicati principalmente a due figure: un “Fair Youth”, un giovane di bella presenza, e una “Dark Lady”, una donna misteriosa e seducente. Sebbene il sonetto più universalmente celebre sia forse il Sonetto 18 (“Shall I compare thee to a summer’s day?”), ce ne sono molti altri che meritano di essere conosciuti per la loro profondità e originalità.
Indice dei contenuti
3 Sonetti di Shakespeare in Sintesi
Numero sonetto | Dedicatario / Glgruppo | Tema centrale |
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Sonetto 116 | Fair Youth Sonnets | La natura immutabile e ideale dell’amore vero. |
Sonetto 130 | Dark Lady Sonnets | La critica alle convenzioni poetiche e l’amore per una donna reale. |
Sonetto 136 | Dark Lady Sonnets | Il desiderio fisico e l’uso ironico di giochi di parole sessuali. |
La struttura del sonetto shakespeariano
Il sonetto nasce in Italia, composto da quattordici endecasillabi divisi in due quartine e due terzine, come insegnano Petrarca e Dante. La struttura del sonetto shakespeariano, o elisabettiano, è invece diversa: è composto da tre quartine a rima alternata (ABAB CDCD EFEF) e un distico finale a rima baciata (GG). Questa struttura permette un tipo di argomentazione differente: le tre quartine sviluppano un’idea o un’immagine, mentre il distico finale funge da commento conclusivo, spesso con una svolta epigrammatica o una sintesi sorprendente.
Tre sonetti di Shakespeare da conoscere (con traduzione)
1. Sonetto 116: l’amore che non muta
Testo Originale | Traduzione Italiana |
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Let me not to the marriage of true minds Admit impediments. Love is not love Which alters when it alteration finds, Or bends with the remover to remove: O, no! it is an ever-fixed mark, That looks on tempests and is never shaken; It is the star to every wandering bark, Whose worth’s unknown, although his height be taken. Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks Within his bending sickle’s compass come; Love alters not with his brief hours and weeks, But bears it out even to the edge of doom. If this be error and upon me proved, I never writ, nor no man ever loved. |
Non porrò impedimenti all’unione di anime fedeli. Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento, o tende a svanire quando l’altro s’allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché se ne misuri l’altezza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste fino al giorno del giudizio. Se questo è un errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. |
Il sonetto 116 è una delle più potenti definizioni dell’amore vero. Shakespeare lo descrive come un’unione di menti fedeli, un sentimento stabile che non cambia di fronte alle difficoltà e non è soggetto allo scorrere del tempo. L’amore è un “segno fisso” (ever-fixed mark), come una stella polare che guida i marinai. Nel distico finale, il poeta afferma con forza la sua tesi: se ciò che ha scritto è falso, allora lui non ha mai scritto nulla, né alcun uomo ha mai veramente amato.
2. Sonetto 130: la bellezza anti-convenzionale
Testo Originale | Traduzione Italiana |
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My mistress’ eyes are nothing like the sun; Coral is far more red than her lips’ red: If snow be white, why then her breasts are dun; If hairs be wires, black wires grow on her head. I have seen roses damask’d, red and white, But no such roses see I in her cheeks; And in some perfumes is there more delight Than in the breath that from my mistress reeks. I love to hear her speak, yet well I know That music hath a far more pleasing sound: I grant I never saw a goddess go, My mistress, when she walks, treads on the ground: And yet, by heaven, I think my love as rare As any she belied with false compare. |
Gli occhi della mia donna non sono come il sole; il corallo è molto più rosso del rosso delle sue labbra: se la neve è bianca, allora i suoi seni sono scuri; se i capelli sono fili, neri fili le crescono in testa. Ho visto rose damascate, rosse e bianche, ma non vedo rose simili sulle sue guance; e in certi profumi c’è maggior delizia che nell’alito che la mia donna emana. Amo sentirla parlare, eppure so bene che la musica ha un suono molto più gradito: ammetto di non aver mai visto incedere una dea, la mia donna, quando cammina, poggia i piedi per terra. Eppure, per il cielo, credo il mio amore tanto raro quanto ogni altra ch’è stata falsata da paragoni bugiardi. |
Questo è uno dei sonetti più famosi e studiati, poiché rappresenta un’aperta critica ai cliché della poesia cortese e del Dolce Stil Novo. Shakespeare paragona la sua amata alle bellezze della natura, ma rovescia ogni confronto. Nel distico finale, però, svela il suo intento: il suo amore è autentico proprio perché rivolto a una donna reale, con i suoi difetti, e non a un’immagine idealizzata e falsamente decantata.
3. Sonetto 136: il desiderio e il gioco di parole
Testo Originale | Traduzione Italiana |
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If thy soul check thee that I come so near, Swear to thy blind soul that I was thy “Will,” And will, thy soul knows, is admitted there; Thus far for love, my love-suit, sweet, fulfil. “Will” will fulfil the treasure of thy love, Ay, fill it full with wills, and my will one. In things of great receipt with ease we prove Among a number one is reckon’d none: Then in the number let me pass untold, Though in thy store’s account I one must be; For nothing hold me, so it please thee hold That nothing me, a something sweet to thee: Make but my name thy love, and love that still, And then thou lov’st me, for my name is “Will.” |
Se l’anima tua ti rimprovera che io ti venga così vicino, giura alla tua anima cieca che io ero la tua “Volontà”, e la volontà, la tua anima lo sa, è lì ammessa; per amore, dunque, esaudisci la mia richiesta d’amore, dolcezza. “Volontà” adempirà il tesoro del tuo amore, sì, lo colmerà di volontà, e la mia volontà è una di quelle. Nelle cose di gran conto si dimostra facilmente che tra tanti, uno non conta nulla: Lascia dunque che io passi inosservato nel numero, anche se nel conto del tuo patrimonio devo essere uno; non considerarmi un nulla, purché ti piaccia considerare quel nulla che sono io, un qualcosa di dolce per te: Fa’ solo del mio nome il tuo amore, e ama ancora quel nome, e allora tu mi amerai, perché il mio nome è “Will”. |
Il sonetto 136 è uno dei più apertamente sessuali e ironici. L’intero componimento si basa sul gioco di parole legato al termine “Will”, che significa “desiderio/volontà”, ma è anche il diminutivo del poeta. Shakespeare esprime la sua attrazione per la Dark Lady, cercando di convincerla a prenderlo come amante. L’audacia aumenta con l’uso della parola “nothing” (niente), che in gergo elisabettiano era anche un termine per indicare la vagina, rendendo il sonetto uno dei più audaci dell’intera collezione.
I sonetti di Shakespeare sono un tesoro letterario che, a più di 400 anni di distanza, continua a essere una fonte inesauribile di riflessioni e meraviglia.
Fonte Immagine in Evidenza: Freepik
Articolo aggiornato il: 1/09/2025