Virginia Woolf e il cinema

Virginia Woolf e il cinema

L’opinione che Virginia Woolf ebbe del cinema furono riversate all’interno del saggio Sul cinema, pubblicato sulla rivista Arts nel 1926, a tre anni esatti prima dell’avvento del sonoro.

La scrittrice, nella prima parte del suo lavoro, esprime quelle che sono le sue considerazioni personali in merito ai pericolosi e non
corrispondenti adattamenti cinematografici delle opere letterarie; in seconda battuta, invece, ci espone della totale necessità del cinema nel doversi appropinquare d’un suo proprio linguaggio, per cessare di essere un parassita.
Se nella parte iniziale del saggio Virginia Woolf attacca ferocemente l’arte del cinema, che viene da lei vista come un qualcosa di “estremamente difficoltoso”, di “banale” per via del suo “caos”, ne descrive propriamente il processo sensoriale del guardare una pellicola; processo che vede l’alternarsi di vista – da dover intendere nella sua connotazione sensoriale/percettiva – e nella sua elaborazione mentale dell’immagine in movimento.

In poche parole, Virginia Woolf passa dalla pura psicofisiologia dell’impressione sensoriale, alla codificazione diretta di quello stesso stimolo, in base a quelli che sono i tipici condizionamenti soggettivi ed ambientali che vedono rivaleggiarsi con la realtà.
Più esattamente, le immagini che i suoi occhi osservano, sono quelle di Anna Karenina che avanza sullo schermo col suo velluto nero e con le sue perle al collo. L’autrice fa subito notare di come la sua mente però confonda tali immagine, che erroneamente è
portata a scambiare con quella della regina Vittoria.

Ciò  che la scrittrice inglese vuole effettivamente dirci è che la sua mente non ha mai incontrato Anna Karenina visivamente, anzi, l’ha esclusivamente conosciuta solo attraverso le pagine di Tolstoj.

Nella sua critica, Virginia Woolf ci fa notare di come Anna Karenina, nella sua mente, le sia sempre apparsa vestita diversamente, totalmente col suo charme, con la sua passione e con sua disperazione; e non dunque con abiti e perle succinte.
Da non tralasciare ovviamente, che le immagini a cui l’autrice fa riferimento, sono quelle della nascente cinematografia inglese, che si cimentava prevalentemente nella realizzazione di film muti, a carattere scientifico, documentaristico e storico.
Nel suo feroce attacco nei confronti del cinema che ne fa, Virginia Woolf critica effettivamente quelli che sono gli adattamenti cinematografici delle opere letterarie, un’alleanza che la scrittrice inglese considerava non solo pericolosa, ma decisamente innaturale.
Se per la Woolf, il cinema non è in grado di offrire una solida profondità concettuale sui profili dei protagonisti, vista la non la corrispondenza tra la pellicola di Anna Karenina ed il romanzo di Tolstoj, l’autrice inglese tuttavia dichiara anche che non bisogna cercare, però, alcun rimando con il romanzo. La scrittrice tuttavia ne scruta, in seconda battuta, tutto il suo potenziale ” immaginativo” di cui è tuttavia capace il l cinema.

È quindi proprio in riferimento alla funzione immaginativa del cinema, da doversi ovviamente intendere nella sua accezione di creare immagini, che Virginia Woolf ne intravede il suo vero potenziale, e cioè il riuscire a riprodurre la “perfetta opera d’arte” di cui ci parla.
Nella pellicola, ci fa notare la stessa Woolf, che l’immagine «un bacio» significa così amore, un sorriso rappresenta «la felicità» ed «un carro funebre» raffigura la morte.
L’autrice si chiede però, a tal punto, in merito agli “stratagemmi”, che il cinema si veda costretto ad utilizzare per essere anche ed allo stesso tempo, intellegibile e comunicativo.

Così, tenta di azzardare alcune ipotesi, e lo fa partendo dal ricordo della proiezione del Dr. Caligari  – un film muto del 1920 diretto da Robert Wiene – in cui compare in un angolo dello schermo un’ombra, che aveva la sagoma di un girino che aveva cominciato a gonfiarsi enormemente, a suggerirle, per qualche istante, che tale immagine rappresentava perfettamente la «mostruosa fantasia della mente malata di un pazzo».

Virginia Woolf quindi intravede nel cinema il potere di creare delle immagini in quanto capaci di assumere persino un ‘carico emotivo’ nei momenti d’intensa emozione. Ma la Woolf, asserisce anche tuttavia, di vedere che «In futuro», le pellicole cinematografiche saranno composte, oltre che dalle immagini, anche da un qualcosa di “astratto” , che lo renda così in grado di garantire , in toto, tutta quella “grande destrezza” di cui lei ne era già portavoce.
Il cinema è quindi totalmente capace, col suo linguaggio “immaginativo”, di mostrare la sua propria potenzialità, con la sua “arte vestita” d’immagini, con cui il regista prontamente può rimandare allo spettatore la mente. Quindi Virginia Woolf scruta nel cinema tutta la sua componente immaginativa, e cioè di “creare un’immagine”, così pure gli «innumerevoli simboli per emozioni che non sono riuscite ancora a trovare parola».
Pertanto, il linguaggio cinematografico è per lei in un istante in grado di catturare le emozioni, di ricreare ad “occhi svegli” cose che potevano essere solamente viste in un sogno e di supplire le ricorrenti lacune di un romanzo.

Fonte immagine: Wikipedia

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