Artemisia, la Gentileschi vista con nuovi occhi | Recensione

artemisia

In scena al teatro TRAM dal 9 al 19 Marzo, c’è il grande ritorno di Artemisia, per la regia di Mirko Di Martino, con Titti Nuzzolese e Antonio D’Avino.

Già dal 2014, infatti, Artemisia ha avuto modo di farsi conoscere e apprezzare dal pubblico, partecipando anche al “Maggio dei Monumenti”. Lo spettacolo ricorda una figura emblematica della pittura Italiana: Artemisia Gentileschi, una donna apprezzata troppo tardi per le sue opere, ma soprattutto per la sua stessa vita, esempio di femminismo storico nell’ostico contesto seicentesco.
 
In un contesto senza tempo e senza spazio ai confini della realtà, il pubblico entra in casa di Artemisia Gentileschi ormai adulta e con tutta la sua vita alle spalle, che si ritrova inspiegabilmente seduta davanti al giudice che anni addietro gli faceva le stesse domande sui fatti accaduti nella casa romana. Nel 1612 quand’era solo un’adolescente, infatti, Artemisia è stata vittima di stupro dall’unico collega e amico del padre, Agostino Tassi, il quale non si è limitato alla sola violenza, ma ha anche ripetutamente illuso la donna, promettendole che l’avrebbe sposata per riparare al danno leso alla purezza di Artemisia, la quale per tempo ha creduto a queste finte promesse, prima che suo padre accusasse l’uomo legalmente.
 
Artemisia vuole ricordare l’artista in quanto donna, che alla fine della sua vita si specchia nelle miserie vissute, rivivendo tramite il giudice, anche la figura paterna e quella di Agostino. Un tentativo, quello di Mirko Di Martino, per mettere a nudo i dubbi, le paure e il desiderio di fama della Gentileschi.
 
Ne viene fuori una donna testarda, tenace, che cerca di sfuggire alla definizione canonica di “donna” presente nel ‘600 e non ancora completamente allontanata oggi. Artemisia non vuole rispettare le aspettative, ma vuole fare arte, vivere e essere rispettata come artista: priva dell’ombra della fama del padre e da quella dello stupro subito, vuole essere libera attraverso la sua arte. Tuttavia la Gentileschi ha una vita difficile, si trova ad essere senza famiglia e, rimasta con il desiderio di compiere ancora un’ultima opera, da sola davanti agli eventi della sua vita, si chiede se l’arte sia stata abbastanza.
 
Facendo un excursus sui quadri della donna, viene mostrato come nella stessa arte in cui lei vede libertà, infatti, il mondo vede continuamente Artemisia diventare protagonista delle sue opere per ricordare uno stupro che ha segnato ogni sfumatura della sua vita.
 
Tutte le donne dipinte, Susanna, Danae, Cleopatra, Giuditta, Sisara sono tutte Artemisia stessa, o siamo noi a voler forzare un pensiero critico sulle opere della Gentileschi? La pièce solleva questo tra gli spunti di riflessione, ma il più pregnante resta proprio legato all’arte come libertà o catena, senza dimenticare la provocazione femminista di questo spettacolo, nel complesso molto denso, ma sicuramente piacevole e interessante, e soprattutto ben interpretato.
 
Immagine in evidenza: Teatro TRAM
 
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A proposito di Chiara Leone

Zoomer classe '98, studentessa della scuola della vita, ma anche del corso magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane all'Orientale. Amante dell'America intera, interprete e traduttrice per vocazione. La curiosità come pane quotidiano insieme a serie tv, cibo, teatro, libri, musica, viaggi e sogni ad occhi aperti. Sempre pronta ad esprimermi e condividere, soprattutto se in lingue diverse.

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