Cabaret – The Musical: lustrini, amore e nazismo al Teatro Diana

Cabaret – The Musical

Cabaret – The Musical: recensione dello spettacolo con Arturo Brachetti, Cristian Catto, Diana Del Bufalo, regia di Brachetti – Cannito, andato in scena il 7 febbraio al Teatro Diana di Napoli.

«Willkommen! And bienvenue! Welcome al Cabaret».
Sì apre così uno dei musical più conosciuti e amati della storia: Cabaret. Sfacciato, controverso e deliziosamente geniale, l’opera capolavoro di Joe Masteroff è stata ripresa, imitata e trasposta in mille vesti, teatrali e non. Tra questi, menzione al merito per il suo adattamento cinematografico, vincitore di numerosi Oscar, diretto e prodotto da Bob Fosse nel 1972. A riportarlo nuovamente in auge in Italia, dopo la versione più cruda di Saverio Marconi, è quel genio creativo di Arturo Brachetti, insieme a Luciano Cannito. Con loro, una compagnia di splendidi talenti e ottime riconferme come Diana Del Bufalo e Cristian Catto.

La trama di Cabaret – The Musical

Nella vivace Berlino del 1930, un rifugio per spiriti liberi provenienti da tutto il mondo, Clifford (Cristian Catto), un giovane scrittore americano, giunge con la speranza di trovare ispirazione nella fervente scena artistica e culturale della città. Tuttavia, la sua visione romantica iniziale viene subito messa alla prova quando scopre il Cabaret Kit Kat Club, un luogo eccentrico gestito da un eccentrico Maestro delle Cerimonie (Arturo Brachetti).

Qui, Clifford incontra Sally (Diana del Bufalo), una ballerina inglese che incarna spensieratezza e disincanto. Le loro vicende si intrecciano con quelle di Fraulein Schneider (Christine Grimaldi) e Herr Schultz (Fabio Bussotti), coppia di anziani che cercano consolazione l’un l’altro dopo una vita mediocre e solitaria. Sullo sfondo, la salita al potere del partito nazista col conseguente odio antisemita, di cui fiero rappresentante è Ernst Ludwig (Niccolò Minonzio), migliore amico di Cliff, le cui minacce saranno motivo di rottura tra Schneider e Schultz. Rottura che avverrà anche tra i due giovani, in seguito all’aborto di Sally, che non seguirà l’americano nel suo viaggio di rientro a casa. Proprio quel treno per Parigi diventerà il punto di partenza per la narrazione del romanzo che non era stato in grado di scrivere. Nel Kit Kat Klub, invece, il Maestro delle Cerimonie tenterà di riaccogliere il pubblico, ma l’atmosfera è ormai cambiata. Ciò che prima era emblema di libido e piacere è ora un’oscura e inquietante rappresentazione della società in declino. E l’uomo che gemeva di piacere nella scena iniziale, si ritrova a essere senza più dignità e sorriso, condotto, perché omosessuale e gestore di bordello, verso il campo di concentramento.

Cabaret – The Musical, recensione dello spettacolo al Diana

A trent’anni dal suo “no” a Saverio Marconi, che già gli aveva proposto questo ruolo, Arturo Brachetti, un Peter Pan torinese di 66 anni, ha deciso di mettersi nuovamente in gioco, sfoderando nuovi assi nel suo già smisurato repertorio. Brachetti sul palco canta, balla e gestisce le fila di uno spettacolo freneticamente in bilico tra allegria e dramma. La sua cifra stilistica e il suo contributo si notano nella regia, firmata insieme a Cannito. Sono, infatti, presenti alcuni quick change, che però non gravano sull’economia del testo, bensì sono utili ad esaltarne l’indubbia spettacolarità.
Il suo talento è stato degnamente affiancato da una performance attoriale collettiva di spessore. Diana Del Bufalo, soprattutto dal punto di vista canoro, è stata impeccabile. La sua Sally è una sognatrice, svampita nei modi ma determinata nelle azioni. Nel personaggio anche Cristian Catto, nome che si sta affermando come uno dei miglior talenti italiani nell’ambito musical.

Il vero protagonista di Cabaret – The Musical è, però, il Kit Kat Klub, status symbol di una società stanca della violenza e che in quel limbo del peccato ama nascondersi, sospendendo apprensioni, moralità e pregiudizi. Ed è per questo che è sempre cruciale realizzarne al meglio i suoi ambienti, le sue luci e le sue perverse dinamiche. Missione riuscita, questa, alla Fabrizio Fiore Entertainment, grazie ad una produzione imponente e alla splendida scenografia di Rinaldo Rinaldi, che con i suoi scenari mobili rende vivido e realistico il locale.
Interessante, inoltre, la scelta di posizionare l’orchestra in posizione soprelevata, in bella vista ad un pubblico impegnato a seguire, a suon di applausi, il corpo di ballo (i costumi sono a cura di Maria Filippi). Francesco Cenderelli, Simone Centonze, Elisabetta Dugatto, Felice Lungo, Ivana Mannone Stefano Monferrini, Gaia Salvati, Susanna Scroglieri saltano, cantano, ma soprattutto sorridono e si divertono con la naturalezza di chi sta facendo strada in questo mestiere. Per due ore il Teatro Diana, quindi, si trasforma in una piccola Broadway.

Meraviglioso e straziante il finale, che chiude il sipario sul Kit Kat Klub ma non sulla storia, quella con la s maiuscola, che di corsi e ricorsi è piena. Ed è così strano pensare che uno spettacolo ambientato negli anni ’30 possa essere ancora attuale, con un mondo che balla indifferente mentre antisemitismo e crudeltà regnano sovrani.

«Auf Wiedersehen… à bientôt…»

Fonte immagine: Ufficio stampa

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Direttore di Eroica Fenice | Docente di italiano e latino | Autore di "A un passo da te" (Linee infinite), "Tramonti di cartone" (GM Press), "Cortocircuito", "Cavallucci e cotton fioc" e "Ribut" (Guida editore)

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