Cado sempre dalle nuvole al Mercadante | Recensione

Cado sempre dalle nuvole

Dal 18 al 29 gennaio va in scena al teatro Mercadante Cado sempre dalle nuvole, un progetto di Mauro Gioia, regia di Francesco Saponaro (aiuto regia Salvatore Scotto d’Apollonia). La drammaturgia è di Igor Esposito. Pasquale Catalano ha elaborato le musiche originali dello spettacolo.

Claudia Gerini e Mauro Gioia si dividono il palco, accompagnati dai musicisti Francesca De Filippis, Monia Massa, Annamaria Puggioni, Alberto Toccaceli e dal direttore musicale, nonché pianista e anima viva della messinscena, Giuseppe Burgarella. I costumi, che la protagonista femminile cambia ad ogni scena, come una trasformista un po’ vanesia, sono a cura di Anna Verde (con assistente ai costumi Daria Bonavita). Si occupano della scenografia e del disegno luci – indispensabili per creare l’atmosfera di finzione, sulla falsariga di un reality show – rispettivamente Carmine De Mizio e Cesare Accetta. Le fotografie sono, invece, realizzate da Giovanni Ambrosio.

Anche dai bassifondi si intravedono le nuvole: caduti o reietti, l’importante è mantenere lo sguardo rivolto verso l’alto

La scena si apre con Mauro Gioia al centro del palco, accerchiato da un violino, da una chitarra, da un pianoforte a coda e da un violoncello. La musica di questi strumenti crea un’atmosfera a metà tra la sacralità di un tempo imperituro – quello dei versi pasoliniani, delle riflessioni e profezie del poeta corsaro – e la triste realtà malinconica e sconfortante degli ultimi. Questi proseguono dritti per la loro strada, perché più umani e consapevoli dei borghesi, dei comuni civili, manovrati come burattini da un sistema capitalistico e spietato.

Mauro Gioia canta e, attraverso il suo canto, dà voce alla follia e all’innocenza di chi è rimasto sospeso tra l’accettazione della propria condizione subalterna, di triste marionetta, e la spinta titanica verso un altrove, che lo sguardo può solo sfiorare.

A seguirlo sul palcoscenico arriva Claudia Gerini, che indossa gli abiti di una fedele “perpetua”, di una pudica vergine, e la sua ineluttabile condizione di disperazione la costringe a rivolgere le proprie preghiere a Dio, il Signore povero, lontano dagli sfarzi e dagli inni gloriosi della chiesa ecclesiastica.

La donna – che sembra interpretare una figura femminile a metà tra Anna Magnani in Mamma Roma, e Laura Betti in Desdemona (Che cosa sono le nuvole? è, infatti, il riferimento esplicito dell’intero spettacolo) – d’improvviso si spoglia. Claudia Gerini si scopre il capo, coperto da un velo nero, e mostra la sua vera natura, nascosta dietro una finta pudicizia, tira fuori il suo carattere più eccentrico e provocante, da “battona”, figlia della terra e della miseria.

Mauro Gioia, – che è ora l’Otello che mangia le ciliegie dell’inganno, ora Pasolini stesso, accorto osservatore-critico dell’esterno -, libera la sua voce in un canto celebrativo della visceralità, della tempra bestiale e, al contempo, ancestrale di coloro che sono costretti a vivere ai margini.

I due interpreti, insieme umili e irriverenti, incarnano in sé tutte le contraddizioni dei “ragazzi delle borgate”, che sono posti in contrapposizione rispetto ai poveri d’oggi, poveri di spirito e di sguardo critico sul circostante, poveri intellettualmente, grigi e miseri consumatori che proseguono ignari e ciechi.

Si rievocano quei ragazzi d’allora, il cui spirito è ormai estinto, impossibile da trovare nella modernità, che si presenta “stracciata come un cartellone pubblicitario”, che ha un buco al centro, un vuoto incolmabile.

Qualche tratto-fantasma di qualcuno di questi pasoliniani giovanotti, onnivori di esperienza e di strada, – raccontati dalla penna del controverso scrittore, e veri autoctoni della periferia romana -, si può forse trovare ancora oggi, incastrato tra le rughe di un anziano signore di Napoli, superstite della catastrofe storica.

Cade sempre dalle nuvole l’uomo della contemporaneità, e, allegro e beffeggiato, vive nell’illusione di poter realizzare i propri desideri, la cui inconsistenza li rende effimeri, appena il secondo dopo averli concretizzati.

Così, se da una parte Cado sempre dalle nuvole è un’esibizione-cantata della grande opera di Pasolini, – dalla poesia al racconto, dalla produzione filmica all’analisi sociologica (severa, ma giusta) -, dall’altra è la rivelazione di una profezia che si è avverata. A un punto della rappresentazione, Claudia Gerini indossa un abito lungo di paillettes, come le nostre presentatrici televisive, e sfrutta il proprio corpo, anch’esso ridotto a un prodotto mercificato.

Come il poliedrico autore aveva previsto, anche quel barlume di bellezza rimasto, assoggettato ai canoni e ai giudizi estetici della società, si è trasformato in forme perverse di profanazione di sé, e della propria autentica personalità. Perfino il poeta, adesso più che nel passato, si categorizza come uno che scrive versi sull’ “amore metafisico” per puro esibizionismo del sentimento, e non ricerca altro che l’altrui riconoscimento.

Cado sempre dalle nuvole è uno spettacolo in grado di mettere insieme tutte le comiche, imbarazzanti e drammatiche verità che costituiscono la struttura del presente. Le esibisce e le denigra, ma pure le esalta, come all’interno di uno show televisivo. Le luci stesse rimandano a quell’artificio prodotto dalla TV, dallo schermo, inteso in senso figurativo e reale, che stabilisce una spaventosa distanza tra quello che ci è dato sapere e quello che realmente sappiamo, di noi, delle nostre vite, di come prosegue e gira il mondo, da chi è governato ed in che modo.

Nel presente-schermato che abitiamo, come Pasolini aveva acutamente intuito già tempo fa, la speranza non esiste, è ormai una parola obsoleta, scomparsa dal vocabolario, come lo era già per i suoi garzoni delle borgate. Qui ed ora, nel medesimo istante in cui noi assistiamo, comodi e seduti in teatro, a un’esibizione dal titolo Cado sempre dalle nuvole, cade anche ogni convinzione certa sull’odierno, crolla ogni prospettiva di pace, la gestione dell’economia finisce nelle mani di uomini di potere, avidi di successo e di denaro.

Tra una melodia e l’altra, dopo aver interpretato le canzoni di Sergio Endrigo e Domenico Modugno, i protagonisti-testimoni di un’ “Italia senza memoria”, i due cantano insieme e appassionati, «la straziante, meravigliosa bellezza del creato» che viene fuori da Una storia sbagliata (di Fabrizio De André) : la nostra storia personale, quella del nostro paese. Infine abbiamo la sensazione di cadere dalle nuvole, ma senza farci più del male, perché consapevoli ormai della disperazione in cui siamo costretti a vivere.

Così, gettati in una “discarica”, abbiamo imparato ad alzare lo sguardo verso il cielo, come Otello e Jago nel celebre episodio di Pasolini.

A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l'università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna. Si nutre di libri e poesia. I viaggi più interessanti li fa davanti al grande schermo.

Vedi tutti gli articoli di Chiara Aloia

Commenta