La pazza di Chaillot di Jean Giraudoux | Recensione

La pazza di Chaillot di Jean Giraudoux | Recensione

Manuela Mandracchia veste i panni de La pazza di Chaillot

Al Teatro San Ferdinando di Napoli c’è aria di commedia con La pazza di Chaillot. Il testo del drammaturgo Jean Giraudoux, adattato da Letizia Russo, prende vita sul palcoscenico grazie alla regia di Franco Però ed agli attori, tra i quali una formidabile Manuela Mandracchia nei panni della pazza del quartiere parigino, assumendo i tratti di una farsa grottesca che con sorriso amaro rende il pubblico aperto a certe riflessioni importanti e inquietantemente attuali ancora ai giorni nostri.

La fiaba noir conquista il pubblico napoletano

La pazza di Chaillot sembra essere uno spettacolo piovuto dal cielo e calzante perfettamente con gli ultimi anni che si stanno vivendo. Durante i lockdown per l’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19 si è rischiato di dimenticare il profumo di un abbraccio e la bellezza di ciò che circonda l’esterno, per non parlare delle questioni più recenti legate alla guerra, che tuttora ricopre di orrore, ansie e paure la vita di quanti la stanno vivendo in prima persona ed anche di chi la guarda ogni giorno dall’esterno in un’incertezza tremenda.

Ecco, in questo clima assistere ad uno spettacolo come quello di La pazza di Chaillot ha il sapore della riscoperta di quei particolari pure minimi che fanno amare la vita e la leggerezza di una ventata fresca tra i capelli che distende la tensione: 110 minuti che hanno il senso di una riflessione profonda sull’avere il coraggio di apprezzare l’amore per le piccole cose.

Aurelie è la contessa pazza del quartiere Chaillot e appaiono folli anche i suoi compagni perché si impegnano a promuovere attraverso piccoli gesti la pace con sé stessi e con il resto del mondo, sono percepiti diversi e poco pratici nel loro essere relegati in un mondo che si reputa ben distante da quello esistente. La realtà, al contrario, è rappresentata dai loschi affaristi, disposti ad annientare il prossimo pur di arricchirsi le tasche e cavalcare l’incedere di un capitalismo sfrenato. Come se fosse una fiaba con personaggi buoni e cattivi che si alternano nella vicenda, con momenti comici ed altrettanti degni di un noir grottesco, il pubblico assiste a quello scontro, sentendo come ormai all’ordine del giorno la crudeltà degli antagonisti ma, allo stesso tempo, rimanendo ammaliati dal potere evocativo delle semplici parole della pazza di Chaillot.

Nella battaglia dei pazzi contro gli affaristi in cerca del petrolio, vien fuori anche la forza di lottare per preservare la cura per l’ambiente e sebbene La pazza di Chaillot sia stata scritta durante l’occupazione tedesca dall’autore francese, quanto è attuale in un periodo storico dove sono sempre più evidenti i segni delle continue violenze sulla natura e di una forte crisi ambientale? Ma un tale avvicinamento alla natura diventa ancora una volta metafora della capacità di amare, di prendere per mano ogni forma di essere vivente e di apprezzare la vita come un dono.

Quest’umanità in conflitto è espressa con tipologie semplici, eppure di forte impatto nella sua stravaganza, sia caratterialmente che visivamente nella dirompente esplosione di colori dei poveri contrastante con il canonico grigiore degli affaristi senza anima: un’opposizione che prende forma anche grazie ai costumi di Andrea Viotti. Il tutto ha come sfondo la particolare scenografia di Domenico Franchi. Un rettangolo di erba in pendio, che si riveste di sedie e tavolini o di un colorato tappeto persiano a seconda degli spazi che vuole rappresentare e che nasconde un ingresso magico per fare apparire e scomparire gli abitanti di Chaillot: così lo scenografo sintetizza lo spirito surreale e costantemente al confine tra sogno e realtà di una fiaba noir, che, infine,  con le luci di Pasquale Mari conduce verso la speranza un’umanità stanca ma che non vuole disperdersi e con le musiche di Antonio Pofi accarezza amaramente e delicatamente il dolore di personaggi che «tornano a guardarci negli occhi per dirci: ecco come tutto quello che conoscete è iniziato» – Letizia Russo.

Fonte immagine di copertina: Teatro di Napoli 

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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