Penelope di Martina Badiluzzi, al Piccolo Bellini | Recensione

Penelope, di Martina Badiluzzi, al Piccolo Bellini | Recensione

La piccola sala del Teatro Bellini continua a sorprendere

È di scena al Piccolo Bellini di Napoli dal 14 al 19 novembre Penelope, monologo scritto e diretto da Martina Badiluzzi, con il sostegno della dramaturg Giorgia Buttarazzi, e interpretato da Federica Carruba Toscano. Le musiche sono di Samuele Cestola, in arte Samovar. Penelope di Martina Bdiluzzi è una produzione Oscenica, in coproduzione con Romaeuropa Festival, Primavera dei teatri, Pergine Festival, Scena Verticalecon il sostegno di Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna L’Arboreto – Teatro Dimora / La Corte Ospitale, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Carrozzerie N.O.T., Teatro del Grillo.

La Penelope di Martina Badiluzzi non è più solo colei che aspetta Ulisse

Penelope di Martina Badiluzzi si inscrive in un progetto dell’autrice più vasto, che mira a indagare l’universo femminile attraverso l’interesse verso figure di donne del passato, scavando nella loro intimità con l’urgenza di riscontrarvi quel punto di comunicazione con l’attualità. In questo caso, la rilettura contemporanea tocca proprio lei, celebre personaggio dell’Odissea a cui si è portati a pensare all’ombra di Ulisse: Penelope, la donna che per antonomasia aspetta il suo uomo partito per la guerra, colei che pare quasi immobilizzata nell’attesa.

«Penelope è rimasta sola, si annoia. Soffre l’afa di un agosto che sembra non voler finire e la angoscia il persistente odore di bruciato che penetra dalle finestre di casa sua. Per questo ha deciso di lasciare lo sfarzo delle sue stanze per andare a vivere nel corridoio di casa circondata da un coro di ventilatori a ristorarla dal caldo. Non potendo rivolgersi a nessuno, immagina l’incontro con l’uomo che ama, per emergere da un’estate senza fine, come un miraggio o un’apparizione. La forma del discorso che le è più affine è l’interrogazione; ogni cosa, vista dalla sua solitudine, comincia con un’incomprensione, con un non capire profondo. Attorno a questa donna è il vuoto, l’assenza degli affetti e di un interlocutore, Ulisse non c’è, è andato alla guerra con gli uomini e non è tornato. Penelope si inscrive in questo vuoto, in questo noioso ripetersi della Storia e delle dinamiche relazionali» – sostiene la drammaturga e regista Martina Badiluzzi sul suo spettacolo.

Ed è proprio in questo vuoto in cui Ulisse non c’è che Penelope ruggisce, ritagliandosi uno spazio in cui esprimersi. Allora, la Penelope di Martina Badiluzzi si dà voce, una voce forte, ironica, frizzante, manifestandosi come una donna non più incastrata in quel deserto, in quella non-storia. La storia se la crea, se la costruisce riappropriandosi della propria libertà d’essere. In questa spinta ontologica, denuda e annienta tutti quegli stereotipi che sembrano fin troppo ancorati nella cultura odierna, nei modi di concepire ciò che è stato. Di conseguenza, Penelope discute anche sull’urgenza di ri-concepire il presente: rileggere quel personaggio dell’Odissea, al quale si pensa ma soltanto dopo avere pensato prima ad Ulisse, assume il senso di scardinare comportamenti radicati e di compiere, invece, qualche passo verso una profonda e vera libertà.

Sono tante, soprattutto nella società di oggi, le riattualizzazioni dei miti passati. Ma sicuramente non è da tutti i giorni assistere a uno spettacolo che, in questo bussare alla porta per entrare in casa del passato, lo faccia fino in fondo osando senza timore, se pur con la delicatezza dovuta nell’affrontare un tema sottoposto a un inevitabile scarto temporale e generazionale. Perciò, si ha finalmente la percezione viva che questo, Penelope di Martina Badiluzzi, sia uno spettacolo veramente contemporaneo, che veramente parli alle esigenze attuali, che veramente risponda al bisogno di un teatro sentito vicino e non più morto.

Ph. Ufficio Stampa      

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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