Pier Paolo Calzolari al Museo Madre: una mostra che non fa rumore

Pier Paolo Calzolari

Pier Paolo Calzolari al Museo Madre dall’8 giugno al 30 settembre: Painting as a butterfly, una mostra che non fa rumore

Se dovessimo pensare al mondo di Pier Paolo Calzolari trasposto al Madre, ci verrebbe in mente un viaggio: un viaggio serpentino che ha in sé le scaglie di un rettile e la polvere delle ali di una farfalla, quella che è presente nel titolo della retrospettiva dedicata esclusivamente alla produzione pittorica e disegnativa di Calzolari, Painting as a butterfly, presente al Museo Madre (Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee) dall’8 giugno al 30 settembre 2019.
Calzolari, uno dei più importanti artisti italiani contemporanei, ed esponente a partire dagli anni Sessanta delle ricerche afferenti all’Arte Povera, ha accolto la stampa il 7 giugno al Madre, all’anteprima stampa della sua retrospettiva, e guardarlo negli occhi è stato come penetrare il mistero di uomo che sa di aver scritto la storia dell’arte italiana, ma che rimane arroccato in una semplicità disarmante e quasi scandalosa, poiché si tende a incensare gli artisti, a farne icone e quasi a stuprarli, ma Calzolari è lì, rassicurante e disadorno, e ti affida una massima che sembra una sententia ciceroniana: non bisogna guardare le sue opere tentando di operare chissà quale masturbazione mentale o intellettuale, ma bisogna polverizzare il momento, goderselo cercando di lasciarsi alle spalle il proprio bagaglio culturale e il proprio vissuto.
Approcciarsi all’opera di Calzolari, nume dell’arte povera, richiede un ritorno alla verginità mentale, all’occhio primigenio e scevro da contaminazioni.

Una mostra che non fa rumore, spazio dell’armistizio e arte dell’attesa: nelle viscere del mondo di Pier Paolo Calzolari

L’approccio all’arte di Calzolari richiede una tabula rasa autoimposta silenziosamente e faticosamente, con un sacrificio che ricorda quello della Passione di Cristo. Le uniche guide ammesse in questo viaggio di ritorno ad un’Itaca fatta di ghiaccio e piombo, sono soltanto Andrea Viliani e Achille Bonito Oliva, nocchieri della Ναῦς di Pier Paolo Calzolari.
Il suo mondo di muschio, legno, foglie di tabacco e colori miscelati con il sapore robusto della natura, lascia sulle papille gustative una sensazione di materiale organico e radici.
Le parole di Achille Bonito Oliva parlano di un artista erotico, erratico ed eretico, da pronunciare tutto d’un fiato, e ciò illumina i chiaroscuri dell’opera di Calzolari, che allestisce una vera e propria pittura dell’attesa, un movimento fisico di nomadismo e avvicinamento.
Il ghiaccio conferisce una luce bianca purissima e difficile da trovare in natura, e il fuoco è il suo opposto e il suo lato complementare: il fuoco è parte attiva di una delle opere principali di Calzolari, una tela dal rosso quasi pompeiano, annerita e consunta dallo sbuffo di un mangiafuoco.
Quell’annerimento, quella bruciatura, è parte principe dell’opera, è quella farfalla dalle ali bruciate che mostra all’uomo la corrosione e la consunzione, un erotismo della vanitas.

L’erotismo è sublimato anche nella donna-fiore, in cui la carne vibrante del corpo femminile sembra raggiungere la solidità delle figure marmoree: la moda veste l’umanità, ma l’arte, l’arte di Calzolari, la mette a nudo.
Un caleidoscopio di figure e colori a volte allucinati e stralunati avvolgono lo spettatore come spire di una farfalla, opere in movimento, grandi tele che vorticano quasi a risucchiare la pupilla che osserva.

Lo sguardo narrante dello spettatore è il vero protagonista delle opere di Calzolari, che compie un atto di abdicazione dal messaggio, dal mero messaggio artistico che si configura quasi come un atto di ostilità verso la vita: lo spazio della sua opera è uno spazio dell’armistizio, dove vi è un amplesso tra due silenzi, quello dell’artista e quello dello spettatore.
Il connubio tra i due silenzi non fa rumore, scivola via come la rugiada che imperla le ali di una farfalla, come i capricci barocchi di Calzolari, che non sono interessati alla descrizione dell’estasi di un santo in forma orgasmica, ma alla descrizione dello stesso orgasmo.

E tutti i silenzi, la materia e lo spazio trascolorano, si annullano e si condensano in un amalgama primordiale di noci, gusci di animali, neon e feltro, e tutto esplode alla fine in una luce carezzevole e onirica, quella luce giallo ocra che chiude l’esperienza, riaffiorando nel ventre di un museo che non è Matrigna, ma Madre nel senso più puro del termine.

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A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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