Film anni ’70, 5 capolavori da non perdere

Film anni '70, 5 capolavori da non perdere

Film anni ’70, 5 pellicole da vedere e rivedere 

I film così come la musica degli anni ’70 hanno molti meriti: hanno lanciato le carriere di attori celebri, rinnovato alcuni generi scrostandoli da archetipi obsoleti, dato vita a franchise ancora oggi esistenti. Dall’immensa filmografia di quegli anni abbiamo scelto cinque film che non possono mancare nella cineteca personale di un cinefilo e che magari possono costituire un interessante punto di partenza per chi vorrebbe approfondire questo capitolo della storia del cinema.

Film anni ’70, la nostra top 5

Picnic ad Hanging Rock – Peter Weir (1975)

Prima del professor Keaton de L’Attimo fuggente e dell’ingabbiato Truman Burbank in The Truman Show, Peter Weir gira uno dei film più enigmatici, claustrofobici e stranianti di tutti i tempi: Picnic ad Hanging Rock.

Tratto dall’omonimo romanzo di Joan Linsday il film è ambientato in un’Australia selvaggia, dove la civiltà è simboleggiata dalla presenza di alcune ragazze e professoresse del prestigioso collegio Appleyard. È il giorno di San Valentino del 1900 e per l’occasione viene organizzata una gita presso il gruppo roccioso di Hanging Rock. La quiete viene presto spezzata dalla scomparsa di tre di loro: Miranda, Irma e Marion. Partono subito le indagini, che ben presto assumono connotati inquietanti e a tratti disturbanti.

Non è forse il più semplice e scorrevole tra i film anni ‘70, ma è innegabile che eserciti sullo spettatore un certo fascino. Contribuiscono a ciò l’immensità dell’outback australiano, il conflitto tra la civiltà e la natura misteriosa ed incontaminata, la grazia delle ragazze rappresentate come ninfe terrene, le incrinazioni che inevitabilmente infrangono la sfera di repressione imposta dalla morale vittoriana del collegio.

La vita è un sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Miranda, che cita una poesia di Edgar Allan Poe).

Piccolo grande uomo – Arthur Penn (1970)

Uno dei nomi più importanti della New Hollywood è senza dubbio quello di Arthur Penn che, come gran parte dei registi, si è impegnato nel rielaborare i generi classici. È successo anche con il western che è, citando Andrè Bazin, “il cinema americano per eccellenza”: Il risultato è Piccolo Grande Uomo.

Jack Crabb è l’unico testimone vivente della battaglia di Little Big Horn e ad un giornalista racconta la sua vita tra gli indiani quando, ancora bambino, viene trovato ed accudito da una tribù di Cheyenne. Da loro Jack impara le tattiche di guerra, la loro religione e il concetto di vivere in armonia con la natura, a cui alterna delle tragicomiche visite nel mondo civilizzato. Il tutto fino allo scontro con il leggendario generale George Armstrong Custer.

Negli Stati Uniti usciti dalla contestazione e dall’assassino Kennedy e testimoni del conflitto vietnamita e della presidenza Nixon, Piccolo grande uomo divenne il riflesso della società statunitense allora contemporanea. Ribellandosi a John Ford e al mito della frontiera, Arthur Penn trasforma i “barbari” pellerossa in protagonisti puri e poetici e li oppone alla violenza e al nichilismo dei pionieri americani. Una similitudine tanto semplice quanto potente per descrivere l’opposizione tra un’America tradizionalista e perbenista dei padri e quella ribelle e anticonformista dei figli. Interprete principale è Dustin Hoffman, che con la sua performance istrionica riesce ad adattarsi ai diversi stili della pellicola. C’è anche Faye Dunaway, che già lavorò con Penn in Bonnie and Clyde del 1967 e che qui interpreta la dolce e seducente moglie di un pastore protestante.

 Non mi hai sentito gridare “Viva Giorgio Washington!” e “Benedetta mia madre!”? Ma quale indiano direbbe delle cretinate del genere? (Dustin Hoffman/ Jack Crabb)

Io e Annie – Woody Allen (1977)

Restiamo negli Stati Uniti spostandoci però a New York, dove Woody Allen gira una pellicola che tra i film anni ’70 è quella che contribuisce maggiormente al rinnovo della commedia: Io e Annie.

Alvy Singer (Woody Allen stesso) è un comico televisivo di successo che ha chiuso la propria storia con Annie Hall (Diane Keaton) e decide di raccontarla a noi spettatori. Il protagonista scava addirittura nella sua infanzia, principio della nervosi e delle fobie da cui è affetto e che hanno compromesso la sua relazione.

Si tratta di una delle opere migliori di Allen e quella che lo consacrerà al successo. Espedienti come la rottura della quarta parete fin dall’inizio del film, dialoghi tra il passato e il presente, il contrasto tra il pessimismo cronico di Alvy e l’ingenuo ottimismo di Annie e i continui riferimenti alla religione ebraica rendono questo film degli anni ’70 un divertente gioiello, complici anche le trovate comiche che strappano sempre un sorriso (come il confronto tra Alvy e un sedicente professore che critica Federico Fellini). Il film vinse i premi oscar per il miglior regista, il miglior film, la migliore sceneggiatura originale e la miglior attrice protagonista.

Senti, anche da piccolo mi piacevano sempre le donne sbagliate. Forse è questo il mio problema. Quando la mia mamma mi portò a vedere Biancaneve, tutti si innamorarono di Biancaneve. Io no. Io immediatamente mi innamorai della Regina Cattiva. (Woody Allen/Alvy Singer)

Una giornata particolare – Ettore Scola (1977)

Il cinema italiano degli anni ’70 è pieno di grandi registi che hanno dato lustro al nostro paese, tra questi Ettore Scola. Specializzato nel genere della commedia all’italiana, il regista trevisano gira quello che è uno dei suoi più malinconici film: Una giornata particolare.

Il titolo fa riferimento alla visita di Adolf Hitler a Roma, il 6 maggio del 1938. Sullo sfondo di questo evento si consuma la vicenda di Antonietta (Sophia Loren) e Gabriele (Marcello Mastroianni). La prima è una povera casalinga relegata a custodire il focolare domestico, secondo l’ideologia fascista. Il secondo è un radiocronista cacciato dall’EIAR per alcuni atteggiamenti “sbagliati”. I due si incontrano in seguito ad un imprevisto e mentre gli italiani si lasciano attrarre dalle parole pompose di due omini guerrafondai, i due protagonisti ne approfittano per conoscersi meglio.

Ancora oggi vedere Una giornata particolare sorprende moltissimo, non solo perché vediamo la Loren e Mastroianni privati di quell’aura divistica donatagli dalla commedia all’italiana, ma anche per le scelte stilistiche. Scola gira unicamente all’interno di un appartamento popolare del Viale XXI Aprile, microcosmo della narrazione la cui semplicità umana si oppone ai trionfanti suoni e rumori della visita di Hitler trasmessa dalla radio.

Piangere si può fare anche da soli, ma a ridere bisogna essere in due (Marcello Mastroianni/Gabriele)

Taxi driver – Martin Scorsese (1976)

Concludiamo questa rassegna sui film anni ’70 con un’altra pellicola ambientata nella Grande Mela. Il film in questione è Taxi Driver, diretto da Martin Scorsese.

Travis Bickle (Robert de Niro) è un giovane reduce del Vietnam. Sociopatico e in preda ad un disturbo che gli impedisce di dormire la notte accetta di lavorare come tassista notturno. In mezzo allo squallore che popola le strade di New York vede uno spiraglio di luce in Betsy (Cybill Shepherd), una ragazza che lavora per lo staff elettorale del candidato Palpatine. Ma divenendo sempre più paranoico e sempre più ossessionato dalla bassa umanità di prostitute e criminali che infesta la città, Travis arriva alla conclusione che se le istituzioni non faranno giustizia ci penserà lui stesso..

Palma d’oro al Festival di Cannes del 1976, Taxi Driver rientra tra i migliori film degli anni ’70 per l’atmosfera cupa e allucinogena con cui New York ci viene presentata: una città popolata dall’umanità più orrenda e brutale, fatta di cinema a luci rosse e musica jazz (qui il merito va al compositore Bernard Hermann). A ciò si aggiunge l’interpretazione magistrale di Robert de Niro, allievo della Actor’s Studio, capace di mettere in risalto l’inquietudine e l’apatia di Travis come nel celebre monologo allo specchio (tra le altre cose improvvisato e non previsto dalla sceneggiatura originale), nonché il suo disperato tentativo di sentirsi parte del mondo anche cercando di diventare una specie di vigilante. Da segnalare anche la presenza della quattordicenne Jodie Foster che interpreta una prostituta, tanto da essere candidata all’oscar come miglior attrice non protagonista.

La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo. (Robert de Niro/Travis Bickle).

Ciro Gianluigi Barbato

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A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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