Mad Max è una saga cinematografica di fantascienza post-apocalittica e d’azione, nata dal genio creativo di George Miller, il regista australiano autore anche di altre pellicole come Le streghe di Eastwick (The Witches of Eastwick, 1987), L’olio di Lorenzo (Lorenzo’s Oil, 1992), Bebe va in città (Bebe: Pig in the City, 1998), Happy Feet (2006), Happy Feet 2 (2011) e Tremila anni di attesa (Three Thousand Years of Longing, 2022), nonché l’episodio Terrore ad alta quota (Nightmare At 20,000 Feet) del film antologico Ai confini della realtà (Twilight Zone: The Movie, 1983), diretto assieme a Joe Dante, Max Landis e Steven Spielberg.
Dalla trilogia con protagonista Mel Gibson a Mad Max: Fury Road con Tom Hardy e allo spin-off Furiosa
Questa serie cinematografica iniziò nel 1979 con il film Interceptor (Mad Max), basato su un soggetto di Byron Kennedy e dello stesso Miller, a cui seguono Interceptor 2- Il guerriero della strada (Mad Max 2, 1981) e Mad Max oltre la sfera del tuono (Mad Max Beyond Thunderdome, 1985); in questi film, il ruolo del protagonista fu affidato all’attore statunitense Mel Gibson. A questa trilogia si aggiunge un quarto capitolo, Mad Max: Fury Road (2015), con Tom Hardy nei panni di Max Rockatansky ed uno spin-off dedicato alla coprotagonista Furiosa dal titolo Furiosa: A Mad Max Saga (2024), in cui l’eroe è interpretato dallo stuntman Jacob Tomuri.
Mad Max, un successo oltre i confini culturali grazie alla figura del suo eroe
Nonostante il primo capitolo fosse stato realizzato con un budget molto ridotto, l’impatto di Interceptor e di Interceptor 2-Il guerriero della strada sulla cultura pop è stato notevole; si consideri, ad esempio, il manga (ed anime) Ken il Guerriero (北斗の拳?, Hokuto no Ken) del duo Tetsuo Hara e Buronson. Il protagonista Kenshiro è ispirato sia dal personaggio interpretato da Gibson che dall’attore e artista marziale Bruce Lee. Un successo capace di superare le barriere culturali di un paese, grazie al fatto che George Miller arricchì questa saga d’azione e di fantascienza con suggestioni antropologiche sul tema del mito e della mitopoeisi.
Dal road movie alla fantascienza post-apocalittica con suggestioni del cinema d’azione e quello avventuroso
Cristina Resa, archeologa e autrice di saggi del cinema, sottolinea, in un suo articolo pubblicato sulla rivista Medium (dal titolo Mad Max oltre Fury Road: un approfondimento), come la trilogia originale di Mad Max/Interceptor abbia conosciuto un’evoluzione stilistica raccogliendo generi diversi. Interceptor è un road movie ambientato in un futuro prossimo in cui si assiste alla fine delle regole sociali; infatti, il poliziotto Max e i suoi colleghi devono affrontare gang criminali in motocicletta che spargono terrore e sangue per l’Australia. La società violenta ricorda quella di un altro film degli anni Settanta: Arancia Meccanica (A Clockwork Orange, 1973) di Stanley Kubrick tratto dal romanzo omonimo di Anthony Burgess.
In seguito, nel capitolo Interceptor 2- Il guerriero della strada, la storia si sposta in un mondo post-apocalittico, dove una guerra nucleare ha distrutto l’Australia trasformandola in una landa desolata, in cui le persone comuni devono affrontare la minaccia di gang criminali che guidano automobili, motociclette o veicoli blindati, i quali indossano abiti stravaganti in pelle e borchie e sfoggiano creste mohawk. Questa volta la vicenda risente delle influenze del cinema western, dove un eroe taciturno e solitario deve salvare una piccola comunità da una banda di malfattori. Inoltre, si tratta di un sequel stand-alone che può essere visto anche senza conoscere la pellicola precedente.
Infine, in Mad Max oltre la sfera del tuono si cambia direzione; infatti, secondo Resa, il regista e sceneggiatore Miller si sarebbe ispirato al cinema avventuroso di Spielberg e quello di Chris Columbus. Max incontra una comunità di bambini tribali scampati ad un disastro aereo (possibile citazione al romanzo Il signore delle mosche di William Golding). Alla fine di questo capitolo, una fanciulla racconta ad alcuni bambini la storia di un’eroe solitario, ossia quella di Max Rockatansky.
Una saga cinematografica non lineare ma antologica
Proprio questo aspetto, secondo l’autrice dell’articolo, permetterebbe di creare un ponte fra i tre film con Mel Gibson e quello con Tom Hardy. La saga non conosce una vera e propria continuity come per Star Wars oppure Pirati dei Caraibi (Pirates of the Caribbean), piuttosto, l’idea è che le vicende di Max siano paragonabili alla stregua di racconti trasmessi oralmente, per i quali esisterebbero diverse versioni. In questo modo la saga del regista australiano sembrerebbe somigliare alle varie opere del Ciclo Bretone, che presentano diverse versioni dei personaggi di Re Artù, Lancillotto e Ginevra o Merlino, vicende leggendarie originatesi dal passaggio dall’Età antica a quella medievale.
Le radici della cultura aborigena nella saga fantascientifica di Miller
In un altro articolo, dal titolo George Miller e il cinema come mitologia, la stessa autrice afferma che il regista australiano paragona i film alle Songlines, ovvero i racconti orali della cultura aborigena tramandati attraverso il canto. Infatti, tale popolazione originaria di quell’isola dell’emisfero meridionale, pur presentandosi ai primi colonizzatori europei come primitivi, possiede un vasto repertorio di miti.
In una voce dell’Enciclopedia dei Ragazzi della Treccani, l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi spiega che nella ricca mitologia aborigena esiste una vicenda mitica paragonabile alla medesima funzione delle opere epiche di Omero per la civiltà greca: il Tempo del Sogno.
Lo storico Stuart Macyntire nel suo libro Storia dell’Australia (A Coincise History of Australia) afferma che, attraverso i miti dell’altyerre (o come lo chiamano gli antropologi anglosassoni Dreaming o Dreaming Time, il Tempo del sogno), tramandati oralmente, questa popolazione indigena cerca di spiegare le origini delle alture, delle colline, delle piante e degli animali presenti in quell’isola istituendo un forte legame simbolico con la propria terra. In quest’epoca primordiale passato, presente e futuro non erano divisi, ma rappresentavano un’unica entità temporale.
Serra spiega che è possibile desumere queste informazioni dal cortometraggio documentaristico 40,000 Years of Dreaming (White Fellas Dreaming: A Century of Australian Cinema (1997), in cui Miller illustra al pubblico le influenze della cultura australiana nel suo film. Max Rockatansky è paragonabile al bushman, l’uomo solitario e taciturno che vive nelle lande rurali dell’Australia.
Il viaggio dell’eroe Max Rockatansky dal Giappone alla Scandinavia
In Mad Max, la dimensione locale coesiste con una globale, la quale dimostra la capacità del protagonista di superare qualsiasi barriera e di trovare dei corrispettivi in ogni cultura grazie all’inconscio collettivo dell’umanità di Gustave Jung. È il tema del viaggio dell’eroe, oggetto di studio dello storico delle religioni statunitense John Joseph Campbell descritto nel saggio L’eroe dai mille volti (The Hero with a Thousand Faces, 1949).
L’autrice dell’articolo afferma che lo stesso Miller ha confrontato l’immagine di Max Rockatansky presso culture diverse geograficamente; infatti, secondo il pubblico nipponico la figura dell’ex-poliziotto sarebbe assimilabile a quella di un samurai fuorilegge, mentre, nel caso di quello scandinavo, Max somiglierebbe ad un guerriero vichingo solitario.
Fonte immagine di copertina: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Mad_Max_Fury_Road_logo.png [User:Village Roadshow Pictures, Kennedy Miller Mitchell, RatPac-Dune Entertainment] Pubblic Domain