Oppenheimer: storia della vita e della bomba | Recensione

Oppenheimer: storia della vita e della bomba | Recensione

Oppenheimer, la nostra recensione

Dall’antichità l’essere umano si è sempre distinto dagli altri animali per la sua abilità intellettiva, ma questa nella storia è stata spesso fraintesa: gli umani non hanno mai saputo di più avendo sempre delle risposte pronte, perché ciò non sarebbe corrisposto a maggior intelligenza ma a maggior cultura, piuttosto essi erano consapevoli di non sapere avendo sempre delle domande pronte e in questo si è manifestata la loro unicità. Socrate e tutta la filosofia successiva lo avevano già capito, infatti sapevano anche che l’essere umano oltre a porsi delle domande è sempre arrivato a delle risposte, non innate, ma costruite tramite la razionalità (insita nell’intelligenza e nel suo senso critico) e il dialogo con gli altri. Dagli albori le risposte a loro volta hanno costituito la cultura, che crescendo estendeva le frontiere del mondo conosciuto a discapito dello sconosciuto. Fin quando esisteva uno scarto consistente tra i due mondi, gli esseri umani razionalizzavano anche ricorrendo a dei concetti sovrannaturali, che li trascendevano e da cui addirittura dipendevano, ma lo scarto nel tempo si è ridotto esponenzialmente e ha sostituito il sovrannaturale con il naturale: gli umani hanno compreso di tenere le redini del proprio destino, dunque di poter decidere la vita e la morte della propria specie. Il momento esatto della storia in cui ciò è avvenuto è l’esplosione della prima bomba atomica, sganciata sul centro della città di Hiroshima il 6 agosto 1945. Di questo parla Cristopher Nolan nel suo nuovo film uscito nelle sale italiane il 23 agosto 2023, ovvero “Oppenheimer”, storia della vita dello scienziato omonimo e della sua creazione: la bomba atomica.

Una nuova biografia

La pellicola è di genere storico-biografico ed il soggetto è tratto dalla biografia “Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato” di Kai Bird e Martin J. Sherwin: la storia narra su vari piani temporali, attraverso flashback e flashforward, la formazione in giovinezza, la complessa vita privata, i primi anni da insegnante e le grandi imprese da ricercatore con tutte le conseguenze politiche e personali del fisico statunitense Robert J. Oppenheimer, direttore del progetto Manhattan per la costruzione della prima bomba atomica.

La complessità della sceneggiatura, tra il cinema di Nolan e la filosofia di Bergson

La trama già anticipa la struttura intrecciata della sceneggiatura in pieno stile Nolan: in particolare ciò che colpisce è la semantica del testo affidata alle immagini, in quanto più che nella regia è nella fotografia che vengono distinte le scene di vita del protagonista, secondo la sua percezione e a colori, da quelle degli aneddoti storici, secondo la percezione oggettiva e in bianco e nero. Questa differenziazione viene compresa dalla maggior parte degli spettatori, al di là delle dichiarazioni pubbliche del regista, nella seconda metà del lungometraggio, quando è chiaro che ciò che si vede a colori è negli occhi e nella mente di un Oppenheimer tormentato; tuttavia non è solo in questo che si risolve la complessità dell’opera, poiché Nolan gioca continuamente passando dal soggettivo all’oggettivo ma anche dal passato al futuro continuamente: è impossibile delineare quale sia il presente della storia, anche se il più accreditato sembra essere il piano temporale dell’udienza di conferma dell’antagonista Strauss al Senato per il Segretario del Commercio, mentre gli altri piani sono tutti flashback della vita pubblica e privata del protagonista eccetto un unico flashforward. Questa concezione del tempo della storia e della vita si avvicina di molto al concetto di tempo del filosofo Bergson, ovvero alla distinzione tra tempo fisico (quello delle scienze, oggettivo e misurabile) e tempo soggettivo (quello della coscienza, irreversibile per la sua unicità in ogni attimo): è proprio quest’ultimo quello insito nel racconto ed è particolare che l’autore l’abbia voluto usare per una storia di scienza, forse perché egli oltre ad analizzare la coscienza del fisico voleva proprio sottolineare i limiti della scienza e il potere dell’irrazionalità, raccontando quindi la vita di Oppenheimer e la storia della bomba.

Grandi interpretazioni per grandi personaggi

È impossibile non delineare la funzione dei personaggi in base alla struttura del film, giacché Robert Oppenheimer è il protagonista indiscusso della storia ma ancor di più il punto di vista su cui si reggono le tante scene legate alla sua vita e allo studio della bomba atomica, anche grazie all’interpretazione di un Cillian Murphy altamente espressivo e volubile nelle varie fasi emotive del personaggio con assoluta naturalezza: il giovane scienziato è impacciato e appassionato alla meccanica quantistica al punto da presagire la sconfitta della finitudine dell’uomo rispetto all’eterna potenza della scienza, ma in seguito grazie ai successi nello studio e nel lavoro acquisisce sicurezza, ottenendo una vita sentimentale movimentata e riuscendo a imporsi con spregiudicatezza fino al culmine del progetto Manhattan. In tale contesto la prima perdita delle certezze sembra essere più nell’amore che nella crisi di coscienza legata alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki: infatti la relazione discontinua ma necessaria con la tormentata amante Jean (Florence Pugh) rende infelice a sua volta il matrimonio con Kitty (Emily Blunt), riscoprendo sempre di più la debolezza del protagonista mascherata dalla sua apparente ineluttabilità, dunque i due maggiori personaggi femminili impersonati da attrici validissime quasi simboleggiano l’irrazionalità contro la razionalità in crisi del fisico, per non parlare della nemesi Strauss (un fantastico Robert Downey Jr.), presidente dell’AEC su cui si regge il piano temporale principale per il suo conflitto prima personale e poi giuridico con il protagonista, che fa emergere al contempo la forza e la debolezza dell’uomo soggiogato dall’invidia. Tutti questi personaggi principali e anche i secondari si muovono nel film nell’eterna lotta tra l’inconscio e il mondo esterno, sfiorando di sfuggita ma costantemente la vita politica di ognuno, perché in fondo tutto è politico nella storia, a partire dalla necessità o meno della creazione e dell’uso della bomba atomica e proprio ciò rappresenta la caduta nella vita di Oppenheimer: il suo desiderio di conoscenza e di potere come moderno Prometeo che però finisce per coinvolgere l’intera umanità, in balia tra il bene e il male perché ormai il suo destino è insito in sé stessa, dunque è esso stesso politico.

Non solo contenuto, ma anche forma: i virtuosismi tecnici

Il comparto tecnico del lungometraggio è intimamente legato nei suoi vari rami, a partire dal montaggio, che è il vero fiore all’occhiello della rappresentazione con il susseguirsi a ritmo rapido e incalzante degli avvenimenti, dei pensieri e delle visioni dello scienziato nei piani soggettivi, oltre al concatenarsi delle scene oggettive nelle spiegazioni e nei colpi di scena maggiori della storia. Il film tiene sempre alta la tensione dall’inizio alla fine, anche grazie alla colonna sonora incredibile: non solo la musica accompagna il ritmo incalzante delle immagini, ma i suoni e le voci si alzano, si abbassano e spariscono del tutto in base alla psiche del protagonista; inoltre, se si pensa alla scena dello scoppio della bomba nel test Trinity, la colonna sonora fa immedesimare lo spettatore nello stato d’animo di Robert andando pure a tempo con la luce, simbolo di conoscenza e di potere in quella sequenza che quasi acceca lo spettatore come gli stessi personaggi. Parlando prima dei colori e ora della luce, è inevitabile descrivere la fotografia della pellicola, per cui prevalgono colori freddi e zone d’ombra in ogni inquadratura, carattere solito di molti film di Nolan nonché perfetto per evidenziare la drammaticità degli ambienti e dei volti. Sul versante del realismo la fotografia è aiutata dalla totale assenza di effetti visivi e nella composizione dei campi e dei piani dalla scenografia, dai costumi e dai trucchi adattati alle epoche descritte in maniera equilibrata, tranne che nell’invecchiamento di alcuni personaggi sul finale in cui si nota facilmente un eccesso di trucco forzato. Infine la regia è ovviamente il collante di tutti questi fattori, soprattutto in questo caso considerando che la sceneggiatura è dello stesso regista: inquadrature sospese nel vuoto di esplosioni atomiche, movimenti di corpi celesti e particelle microscopiche spesso si alternano a piani ravvicinati del protagonista, privilegiando i primi piani; con meno costanza sono utilizzati campi lunghi e piani d’insieme nei dialoghi o per descrivere gli ambienti, mentre eccezionali movimenti di macchina sono impegnati ad esplorare la psiche dello scienziato accompagnando le sue visioni (basti pensare alla scena di nudo durante l’udienza tesa ad eliminare la sua influenza politica).

Conclusione

“Oppenheimer” è questo e molto altro ancora, perché è impossibile citare la moltitudine di grandi prove recitative, virtuosismi tecnici, colpi di scena e riflessioni regalateci da questo film: bisognerebbe solo andare in sala e perdersi in ciò che si vede sullo schermo, perché in fondo è questo il cinema.

Fonte dell’immagine per “Oppenheimer: storia della vita e della bomba | Recensione”: www.comingsoon.it

A proposito di Giuseppe Arena

Ciao, mi chiamo Giuseppe Arena e sono di Napoli. Fin da bambino amo il cinema, infatti ora lo studio alla facoltà di Scienze della comunicazione, presso l'Università Suor Orsola Benincasa; inoltre nel tempo libero, oltre a guardare film, ne parlo pure su "Eroica Fenice" e sulla mia pagina Instagram "cinemasand_". Oltre al cinema, sono appassionato anche di altre arti, comunemente incluse nella "cultura-pop", come le serie-tv e i fumetti: insomma penso che il modo migliore per descrivere il mondo sia raccontare una storia!

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