Parthenope, recensione del potente capolavoro di Paolo Sorrentino

Parthenope. Recensione del potente capolavoro di Paolo Sorrentino

Parthenope, la nostra recensione del potente capolavoro di Paolo Sorrentino.

Il genio di Paolo Sorrentino compie un nuovo miracolo: Parthenope. Per una co-produzione italiana e francese, il film viene presentato in anteprima mondiale il 21 maggio 2024 al Festival di Cannes, e distribuito nelle sale cinematografiche italiane dal 24 ottobre 2024.

Celeste Dalla Porta è la protagonista assoluta con la sua Parthenope, prendendo il pubblico per mano e accompagnandolo a visitare, a vedere e perdersi nei meandri delle sue contraddizioni, nella sua bellezza dirompente, in un viaggio temporale ed emotivo intenso e travolgente, fino a lasciare il posto alla divina Stefania Sandrelli, nel ruolo di Parthenope adulta.

L’intero cast è una costellazione di talenti: da Isabella Ferrari a Silvio Orlando, da Luisa Ranieri a Gary Oldman, fino a Peppe Lanzetta. Paolo Sorrentino non erra in nessuna scelta, affidando in maniera esemplare la drammaticità della narrazione a giovani e impeccabili talenti, quali Daniele Rienzo (Raimondo, fratello di Parthenope) e Dario Aita (Sandrino, loro amico sin dall’infanzia). La sua è una regia da sempre indubbiamente singolare, affascinante. Una regia per nulla commerciale, che non fa sconti, mettendo al servizio del pubblico il piglio audace dell’intelligenza emotiva, la verità raccontata tra dolcezza ed eccesso. Paolo Sorrentino non è per tutti, lo aveva già dimostrato con La grande bellezza (2013). Ma ecco, con Parthenope supera se stesso e qualunque aspettativa.

Trama

Parthenope è il racconto di un viaggio nelle contraddizioni di un’esistenza, quella della bellissima e giovane Parthenope, nome scelto non a caso, quello della sua città, della bella Napoli dalla miriade di sfumature intrinseche e misteriose. Si parte dalla nascita di Parthenope, nel 1950, nelle acque splendide della città, passando per la sua giovinezza, dove la leggerezza della spensieratezza cammina a braccetto con il dolore, per le perdite, le delusioni, per ciò che impara a vedere sin da ragazza.

Parthenope seduce con lo sguardo, lo stesso attraverso cui il pubblico segue le sue vicende, la sua storia, le vicissitudini, le sofferenze, la saggezza, l’intelligenza, il mistero, la crescita e la bellezza, tutto incarnato in un corpo sinuoso e in un animo poliedrico, gli stessi che caratterizzano Napoli. Un nome e una responsabilità: il peso dell’intera esistenza sulle spalle, di scelte che non hanno mai nulla a che vedere con la convenienza e il tornaconto personale. Parthenope vive e sfugge, si perde e lascia perdere. Parthenope è devota a se stessa, a suo fratello Raimondo, alla verità e al tempo a cui cerca di dare un senso. Si giunge poi ai giorni nostri, con toni più sbiaditi, colori meno accesi e una nostalgia malinconica per qualcosa di prezioso che è durato troppo poco, seppur impregnato di sofferenza e disperata speranza.

Parthenope. Recensione quale dichiarazione d’amore

Con Parthenope probabilmente Paolo Sorrentino dà davvero vita a un capolavoro encomiabile. Forse il suo prodotto migliore, viscerale, drammatico e bellissimo. Figlio delle contraddizioni che serpeggiano sempre più frequentemente raggiungendo un elevato picco di maturità, le stesse che costituiscono la patria natia del regista: la Napoli del mistero, della perfezione e della decadenza. Amore e odio nel medesimo respiro, verso una città  e i caratteri che la pullulano, che dona e sottrae, che concede e nega, che punisce e perdona, che ammalia e ripudia, che incanta, seduce e si perde.

Già dal trailer, lo spettatore viene inevitabilmente coinvolto e turbato dalla bellezza delle immagini che scorrono, preannunciando un racconto della vita e del tempo probabilmente senza precedenti. Un coinvolgimento emotivo totale e totalizzante, sin dalle note struggenti, malinconiche e meravigliose di Era già tutto previsto di Riccardo Cocciante, le cui parole si insinuano nella mente, avviluppando l’anima in una morsa d’amore e struggimento, senza possibilità di difesa. Brividi sotto la pelle all’ascolto delle prime parole che irrompono con dolcezza e potenza nel trailer.

Attraverso gli occhi della giovane e bella Parthenope, Sorrentino ci racconta la storia del tempo che trascorre inesorabile, lasciando dietro i rimpianti, le perdite, il desiderio svanito d’appartenenza e una malinconia che straborda anche da un debole sorriso agli angoli della bocca. Sorrentino, attraverso gli occhi di Parthenope, ci racconta una Napoli bella e dannata, splendida e perduta, mescolando sublime e miseria. Perché Parthenope è una città che raccoglie tutto. È una donna dove c’è posto per tutto. E proprio come Napoli, Parthenope non sa, o meglio, non vuole approfittare della sua dirompente bellezza per raggiungere obiettivi: «Lei può prendersi tutto. Senza neanche chiedere». Eppure Parthenope resta fedele alla sua genuinità, pur perdendosi nella giovinezza dedita a una leggerezza, che si bagna di dolore, creando un vortice emotivo e riflessivo saldo e vibrante. Parthenope sa districarsi, nonostante la giovane età, tra idee balorde, esperienze eclettiche e decisioni consapevoli. È saggezza e umiltà: «Io non so niente, ma mi piace tutto».

Il caleidoscopio di sfumature dà in Parthenope la misura dello smarrimento, che costituisce per Sorrentino un dolce e doloroso naufragare. E tal senso si coglie pienamente nello struggimento affidato alla giovane Parthenope, che insieme al fratello Raimondo e all’amico/amore Sandrino, riescono a raggiungere e far raggiungere uno straordinario picco emotivo, in particolare nella scena del ballo a tre, ben evidente nel trailer, in cui si esprime appieno tutto il sentimento giovanile in bilico tra felicità e malinconia, intriso di una smodata voglia di assoluto eterno. Impossibile osservare senza lasciare che almeno una lacrima ci righi il viso!

Parthenope è ipnotico, fragile, bulimico, ammaliante, potente, immersivo, totalizzante, spezzato, audace, spregiudicato, vero. Etereo e concreto. Un vortice emotivo travolgente, tagliente. Commovente, al di là del dicibile e dell’immaginabile.

Parthenope ti fa innamorare, per forza. Uno straordinario elogio alla bellezza e alla sofferenza che reca inevitabilmente con sé. In Parthenope infatti, «il tempo scorre accanto al dolore».

Parthenope è davvero la bellezza che salverà il cinema. Parthenope è magnificamente profana e straordinariamente santa. Quella di Parthenope è una bellezza inedita, che toglie il fiato, umile e sofisticata insieme. Getta nella disperazione e guarisce dal morbo. È condanna e salvezza. «Triste e frivola, determinata e svogliata, viva e sola». C’è tutto, ma proprio tutto, in un’anima straordinaria, su un corpo bellissimo e seducente, addosso a una città che vive attraverso i suoi occhi, a tratti un po’ spenti per quanto hanno visto e sopportato. Parthenope è confusione e risanamento, riuscendo persino a compiere miracoli, a sciogliere il sangue «int’e vene», come nell’ampolla di San Gennaro. Parthenope è fuoco che arde, attraverso la purezza cristallina della sua essenza santa e violata. Parthenope ha sempre la risposta pronta, saggia, ammiccante ed astuta. È affamata di conoscenza, curiosità e libertà, lasciandosi trasportare dalla marea degli eventi, districandosi tra aule universitarie e bassi napoletani dove si consumano grotteschi rituali camorristici, che sembrano sottili e audaci riferimenti a pellicole come Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick (1999). Quella di Parthenope è una bellezza stropicciata, in virtù delle contraddizioni e della complessità che la colorano, dall’oro dello sfarzo all’azzurro semplice del mare, dove Parthenope nasce.

Ma la pronta saggezza di Parthenope non intende «confondere l’irrilevante con il decisivo», di cui spesso la città stessa si bagna: «a Napoli si vive e si muore per cose futili».

Parthenope è fiera, sicura di sé, della bellezza che riesce ad emanare, seppur non intenzionalmente. Non si vergogna mai, camminando a testa alta, impregnata di quel fascino che accarezza seducente le varie epoche, le varie esistenze, fino a raggiungere la più piena maturità, comprendendo davvero l’importanza di vedere, oltre l’artificio, oltre la perfezione, oltre l’ipocrisia, vedendo e accettando la bellezza del grottesco, dell’insolito, di un ragazzo fatto di acqua e sale, lasciandosi folgorare da un raccapricciante che sa risplendere di luce divina, di autenticità appunto. Quel saper vedere, quando viene a mancare tutto il resto. «Tutto il resto». Quello a cui sembra pensare, attraverso gli occhi di coloro che le si approcciano, quando viene interrogata.

Il tempo è il fulcro della narrazione, in uno scorrere impietoso, che lascia spazio anche all’incapacità di fare pace col passato, con i suoi fantasmi, con le perdite e con la possibilità di imparare dai propri errori. Ecco tutto il fascino di Parthenope, straordinariamente divina e meravigliosamente umana.

Parthenope non riesci a togliertelo dalla mente, dalla pelle, dagli occhi. Parthenope lo vedi, e non ti molla più! Desidereresti correre al cinema per guardarlo ancora, ancora una volta, per succhiare qualche sfumatura impercettibile – che a primo sguardo si può aver perso – fino in fondo, fino a lasciare che immagini, canzoni, dialoghi e monologhi vadano di traverso, fino a farne indigestione, fino a che, straripanti, fuoriescano dallo schermo, per raggiungere ed incantare gli occhi, l’anima e chi ci sta intorno, appena incrocerà il nostro sguardo umido, perso e felice.

Parthenope continua a scorrerti nel sangue e nell’anima, fluente e dannatamente imperituro, inesauribile nel dono che sa concedere al pubblico, totalmente immerso in una languida bellezza fatta di amarcord, nostalgia e sofferenza, del desiderio di un assoluto cristallizzato in quella giovinezza, destinata a sfociare nei rimpianti e in speranze attese e disilluse. Una bellezza che resta viva proprio per questo: il tempo non la svilisce, ma anzi, lasciando quell’istante di giovinezza perfetta, continua a vivere e nutrirsi della complessità insita nel binomio felicità-sofferenza.

«Abbandonati all’estate perfetta. Siamo stati bellissimi e infelici. Forse è stato meraviglioso essere ragazzi… Ma è durato poco».

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

image_pdfimage_print

A proposito di Emilia Cirillo

Mi chiamo Emilia Cirillo. Ventisettenne napoletana, ma attualmente domiciliata a Mantova per esigenze lavorative. Dal marzo 2015 sono infatti impegnata (con contratti a tempo determinato) come Assistente Amministrativa, in base alle convocazioni effettuate dalle scuole della provincia. Il mio percorso di studi ha un’impronta decisamente umanistica. Diplomata nell’a.s. 2008/2009 presso il Liceo Socio-Psico-Pedagogico “Pitagora” di Torre Annunziata (NA). Ho conseguito poi la Laurea Triennale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nel luglio 2014. In età adolescenziale, nel corso della formazione liceale, ha cominciato a farsi strada in me un crescente interesse per la scrittura, che in quel periodo ha trovato espressione in una brevissima collaborazione al quotidiano “Il Sottosopra” e nella partecipazione alla stesura di articoli per il Giornalino d’Istituto. Ma la prima concreta possibilità di dar voce alle mie idee, opinioni ed emozioni mi è stata offerta due anni fa (novembre 2015) da un periodico dell’Oltrepo mantovano “Album”. Questa collaborazione continua tutt’oggi con articoli pubblicati mensilmente nella sezione “Rubriche”. Gli argomenti da me trattati sono vari e dettati da una calda propensione per la cultura e l’arte soprattutto – espressa nelle sue più soavi e magiche forme della Musica, Danza e Cinema -, e da un’intima introspezione nel trattare determinate tematiche. La seconda (non per importanza) passione è la Danza, studiata e praticata assiduamente per quindici anni, negli stili di danza classica, moderna e contemporanea. Da qui deriva l’amore per la Musica, che, ovunque mi trovi ad ascoltarla (per caso o non), non lascia tregua al cuore e al corpo. Adoro, dunque, l’Opera e il Balletto: quando possibile, colgo l’occasione di seguire qualche famoso Repertorio presso il Teatro San Carlo di Napoli. Ho un’indole fortemente romantica e creativa. Mi ritengo testarda, ma determinata, soprattutto se si tratta di lottare per realizzare i miei sogni e, in generale, ciò in cui credo. Tra i miei vivi interessi si inserisce la possibilità di viaggiare, per conoscere culture e tradizioni sempre nuove e godere dell’estasiante spettacolo dei paesaggi osservati. Dopo la Laurea ho anche frequentato a Napoli un corso finanziato da FormaTemp come “Addetto all’organizzazione di Eventi”. In definitiva, tutto ciò che appartiene all’universo dell’arte e della cultura e alla sfera della creatività e del romanticismo, aggiunge un tassello al mio percorso di crescita e dona gioia e soddisfazione pura alla mia anima. Contentissima di essere stata accolta per collaborare alla Redazione “Eroica Fenice”, spero di poter e saper esserne all’altezza. Spero ancora che un giorno questa passione per la scrittura possa trovare concretezza in ambito propriamente professionale. Intanto Grazie per la possibilità offertami.

Vedi tutti gli articoli di Emilia Cirillo

Commenta