Recensione dei Tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo di Vladimir Solov’ev (Fazi editore, 2017): la verità “al di là del bene e del male”
Dare alle stampe un libro quale I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo di Vladimir Solov’ev (1853-1900) da parte della casa editrice Fazi può essere vista come un’operazione provocatoria, oltre che divulgativa. Se, in generale, è nelle corde di Fazi editore la missione di diffondere in Italia la voce di intellettuali stranieri come Gore Vidal (et alia), la pubblicazione dei Tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo può essere considerato come un atto volto a suscitare una certa polemica. Considerando l’idea sottostante l’intero libro, che ruota intorno la concezione di verità e menzogna in materia religiosa riflessa nella vita quotidiana, l’intento di Fazi editore sembra quello di voler innescare nella mente il dubbio; un dubbio coerentemente costruito allo scopo di poter fornire un metro di giudizio sulla propria identità di individuo religioso e individuo laico.
Verità e menzogna: i Dialoghi di Solov’ev
Vladimir Solov’ev intende la verità religiosa come la genuina manifestazione del credere in qualcosa di trascendente scevra da costruite sovrastrutture che nel tempo ne vadano a modificare e quindi a tacere il messaggio primigenio. È possibile dedurre come per Solov’ev la menzogna discenda genealogicamente dalla verità arcaica, storpiata nel corso delle epoche, andando così al di là di una manicheistica concezione del bene e del male. Le azioni, le decisioni degli uomini ha ragione di fondarsi, dunque, non su una rappresentazione che l’uomo stesso ha del bene e del male, su quella unica e verace che risiede nell’intelligenza divina. Per Solov’ev, inoltre, la verità di Dio diviene correlativo oggettivo della giustizia universale che valica gli ostacoli di una morale artefatta e fatta di sillogismi.
A titolo di esempio si legga nel Primo dialogo la narrazione del Generale (pp. 25-27), in cui oltre la sottigliezza del teologo si arricchisce del nitore dello scrittore. Nel narrare le vicende della Guerra Turca del 1877, il Generale rievoca l’orrendo spettacolo delle torture perpetrate dalle tribù ottomane ai danni dei villaggi inermi e il fervore per aver massacrato i sacrileghi ottomani adempiendo alla volontà divina che non manifestava pietà verso chi non l’aveva provata. A una tale visione delle cose si contrappone, poi, la figura del Principe, che fonda il suo «ottimismo morale» (p. 29) su una concezione alienata della parola di Dio, rimproverando al Generale la mancata sepoltura offerta ai morti ottomani. Emblematica è la risposta del Generale: «Ma insomma, decidetevi! Prima dite che una persona malvagia è come una bestia irresponsabile, mentre ora, secondo voi, un basci-buzuk che si mette ad arrostire un bambino può rivelarsi un buon ladrone evangelico! E tutto questo soltanto per non sfiorare il male in alcun modo, neanche con un dito. Secondo me, invece, non è importante che in ogni persona ci siano germi sia del male sia del bene, ma quale dei due domini sull’altro» (p. 28). Oltre queste affermazioni comunque tendenziose, si può leggere il pensiero di Vladimir Solov’ev per cui la morale umana debba necessariamente costituirsi “al di là del bene e del male” tenendo ben presente la verità ontologica dei fatti.
Solov’ev e l’anticristo
Per Solov’ev, che analizza contemporaneamente tali dinamiche nel contesto religioso del cristianesimo “sconfessato” quale andava profilandosi nel XX secolo, la menzogna si concretizza, poi, nella figura dell’Anticristo, di cui fornisce una dettagliata descrizione nell’omonimo Racconto (pp. 79-80): di indole narcisistica e superba, tanto da paragonarsi e preferirsi a Dio. Si tratta quasi del riconoscimento del figlio del demonio che si vuole contrapporre al Figlio dell’uomo (p. 81 e p. 88). Egli costituisce, così, la figura agli antipodi della verità cristiana, ovvero Dio, sempre inteso come verità universale e quindi della giustizia.
È possibile leggere queste dinamiche anche in rapporto alla vita laica dell’uomo. Il cristianesimo è una religione che mette in contatto, senza mediazioni, l’individuo con Dio; nel pensiero di Vladimir Solov’ev la verace conoscenza e la coscienza personale divengono la base su cui fondare i rapporti nelle comunità umane. Si tratta di un processo che da individuale diventa appunto comunitario, a differenza dell’Anticristo che fonda il suo inserirsi nella rete sociale nell’ostentazione di se stesso e nella menzogna.