Dario De Marco, Jonny Costantino e Anna Adornato sono stati i tre ospiti della casa editrice Wojtek della quarta edizione del FLiP.
Dario De Marco, Jonny Costantino e Anna Adornato sono stati tra gli ospiti della quarta edizione del FLiP- Festival della Letteratura Indipendente di Pomigliano d’Arco, la kermesse letteraria dedicata all’editoria indipendente che si svolge nel comune della provincia di Napoli.
I tre autori della Wojtek hanno presentato i propri libri domenica 1° settembre nel Parco Pubblico Giovanni Paolo II di Pomigliano d’Arco con la partecipazione del moderatore Fabio Mastroserio e della presentatrice Emanuela Coco. Le opere in questione sono Novelle per un anno. 9Lx1 (365,25) di Dario De Marco, Piressia di Jonny Costantino e Indivisi: storia di una salvezza di Anna Adornato.
La genesi delle opere di Dario De Marco, Jonny Costantino e Anna Adornato
Mastroserio ha descritto l’opera di Jonny Costantino come un libro dalla «struttura intelligentemente coesa», un’opera che affronta il tema del fuoco dell’arte, ovvero l’idea che i veri artisti siano i possessori di un fuoco interiore originatosi da altri dei loro simili; per esempio, nel libro si immagina una trasmigrazione dell’anima di Emily Dickinson prima in quella di Franz Kafka e poi in quella di Billie Holiday. Invece, per quanto riguarda la raccolta di racconti di Dario De Marco ci troviamo davanti al continuo passaggio dal divertimento all’angoscia, registrando le pulsioni interiori che sconvolgono la nostra quotidianità, un modello di narrativa che si rifà a quella breve di Luigi Pirandello. La stessa quotidianità ritorna anche nel romanzo di Anna Adornato, il quale racconta un passaggio dalla fanciullezza alla maturità in una storia familiare avvolta da drammi.
Dopo la domanda di Mastroserio sulla nascita dei libri presentati al FLiP, Jonny Costantino ha illustrato le origini del volume Piressia con le seguenti parole:
«C’è stata un’intuizione, una visione, quindi la sfida è stata costruire un mondo intorno a questa visione. Oltre alla genesi del libro a me piacerebbe più entrare nel merito perché è un viaggio e chi avrà la voglia se lo viva, e mi piacerebbe poter dire qualcosa sul sentimento che lo ha generato. Queste sono giornate bellissime, […], ci sono tantissimi scrittori e ci si confronta, si parla di letteratura, la letteratura è un giardino fiorito dove tutti i fiori hanno diritto all’esistenza, ma ci sono tante idee di letteratura. Uno poi dice io mi occupo anche di cinema e tutti amano il cinema, ma poi si trovano ad amare il cinema chi gli piace Aldo, Giovanni e Giacomo (con tutto rispetto) e chi gli piace Sokurov e Haneke. […] Son mondi e partite diversi. Per me un libro è il fatto spirituale e materiale della mia esistenza, un libro come un film è un segnatempo e un segnavia e ho messo un puntello su sette anni che sono stati segnati da altre visioni, […] è stato una sorta di basso continuo. […] la struttura nasce su se stessa, si produce dal centro, io lavoro per cerchi concentrici e la struttura, che sono le ossa e lo scheletro, si produce insieme alla carne, al grasso, alla peluria e cresce su sé stessa. […] ogni macchina verbale e visuale è struttura ed espressione, io credo nella struttura ma credo di più nell’espressione [….]. La scrittura come un luogo sovrano che può offrire fierezza allo scrittore, dopo la nascita di un mondo è lui che comanda e dice cosa devi fare. Il tema della vita e dell’arte come una chiave performativa, non c’è la performance e la vita avventurosa, ma un principio di equivalenza e di vasi comunicanti, non alzare troppo il livello della propria arte».
Mentre in Jonny Costantino è il “fuoco dell’arte” ad aver generato il romanzo, nel caso di Anna Adornato tutto parte dal tema dell’inquietudine della morte:
«Il libro nasce da degli intenti e dei propositi letterari ma a che fare con una mia ossessione per la morte, io sono ossessionato dalla mia morte, la vedo dietro l’angolo, si insinua ovunque, [….]. Mi sono chiesta: “Quali sono le estreme conseguenze dell’amore e cosa succede se una persona che ama perde il suo affetto più grande e come ci si correda al cospetto della perdita e del lutto, la premessa di base che ha portato alla stesura del libro”».
In seguito è stato Dario De Marco a prendere la parola, il quale ha affermato che il suo Novelle per un anno nacque tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, il quale, essendo reduce di alcuni libri infruttuosi dal punto di vista del guadagno, decise di mettere da parte la sua carriera da scrittore e giornalista per dedicare le giornate ad appuntare qualche traccia narrativa per un racconto. La scelta del genere narrativo breve è dovuto a diversi motivi:
«Il racconto breve consente ambientazioni fantastiche, consente una fuoriuscita della realtà senza che neanche doverle dichiarare. Consente una serie di cose. Ho detto: “Va bene, scrivo una cosa al giorno e scrivo a mano”, perché, ho pensato, [….], senza distrazioni e senza interferenze. Avevo un’agenda settimanale […] e non era neanche una pagina per giorno. In questa pagina ci sono delle righe verticali, per cui ogni pagina sono tre giorni e in una doppia pagina c’era una settimana; quindi, avevo poche righe in cui scrivere, quindi mi sono dato questa sfida e sono arrivato alla fine dell’anno in cui sono arrivato a mantenerla [….]. […] è stato bello scriverlo; perché, come vi raccontavo nelle condizioni iniziali, l’ho scritto senza nessun dovere e senza dover dare conto a nessuno, senza nessun obbiettivo oltre a quello di farlo […]. Ed è stato, quindi, l’anno più assurdo della mia vita e non pensavo che non sarebbe mai stato pubblicabile. All’epoca stavamo parlando del 2016, Wojtek non era neanche nella mente di Ciro Marino e soci; quindi, era una cosa impensabile ed non è stato pubblicato fino ad adesso».
Il rapporto fra la letteratura e la realtà nelle opere dei tre scrittori della Wojtek
L’altro tema che, secondo il parere del moderatore, accomunerebbe l’opera di Dario De Marco a quella del suo collega Costantino è quello del movimento, l’idea stessa che la scrittura sia una manifestazione del desiderio di vivere, il quale si opporrebbe allo stereotipo dello scrittore immobile nella sua camera davanti ad una macchina da scrivere. L’autore di Piressia ha illustrato tale legame fra la vita e la scrittura, dal momento che lo scrittore è il generatore di mondi immaginari che esistono solo nelle sue opere:
«È così, è così, è così. Qualche giorno fa parlavo al telefono con Antonio Moresco e parlavamo di Elias Canetti, come commentatore e autore di brillanti saggi su Kafka [….], […] dice che lo scrittore è il custode degli infiniti mondi della metamorfosi e noi ci metamorfosiamo scrivendo. Continuo questa metamorfosi nel mio libro, mi supero a destra e a sinistra, […] io sono l’altro, l’identità ha un senso, sono un fanatico, l’identità è un punto d’arrivo che ci arrivi sfondando e traguardando l’alterità, un libro è uno strumento magnifico da questo punto di vista».
Successivamente è l’autrice di Indivisi a prendere la parola nel dibattito fra autori, la quale ha espresso la seguente opinione:
«[…] per me la realtà, la vita vera, il qui e l’ora è il motore, è la colonna portante è quello che mi spinge a scrivere. La letteratura non può essere un’idea astratta ma deve essere proprio carne e sangue. Io stessa ho ascoltato vari incontri e pensavo dentro di me, ho guardato gli altri in maniera ammirata e ho sentito la loro dedizione e mi sono sentita una grandissima impostora, che è diverso dalla sindrome dell’impostore. […] Se dicessi che avessi avuto la sindrome dell’impostore significa che mi considero una scrittrice che fa finta, ti lascia e dice che non sono brava abbastanza, io mi considero proprio un’impostora […]. Perché non provo a fare letteratura io ma provo a dare un senso alla realtà che mi attanaglia, l’astrattezza è un nemico enorme che provo a rifuggire».
Infine, Dario De Marco ha concluso il discorso iniziato da Mastroserio e lo ha fatto rifacendosi al libro filosofico di Edoardo Camurri:
«Moresco aveva esordito “Si dice spesso che la realtà supera qualsiasi immaginazione”. Non è vero, non è vero, cioè, altrimenti cosa ci stiamo a fare. Da un lato è vero che chi scrive si nutre e si ciba, assorbe la realtà, è sia un movimento in entrambi i sensi, che va dalla realtà a chi si occupa o si è dato come occupazione quello di mettere cose su carta, ma non ci si può e non ci si deve fermare alla realtà apparente. Adesso, mi viene a mente il libro di Edoardo Camurri che si chiama Introduzione alla realtà. Il presentatore radiofonico e televisivo ha scritto questo libro di poesia bellissimo, molto breve e molto leggibile secondo me (in cui, ad un certo punto) parla di realtà, poi di realtà tra virgolette […] e poi di Realtà che sarebbe la realtà ultima, quella in cui si può arrivare […]. Perché mi è venuto in mente? Perché parlare di realtà sembra (cioè quando io parlo di realtà) che non deve essere un limite all’immagine e alla scrittura. Io intendo la realtà primaria, quella apparente, quella nuda e cruda […] . La letteratura deve essere altro e la scrittura deve andare oltre, per cui io, quando sento parlare, ed è la visione della letteratura vincente in Italia e nel mondo […] è quello del realismo, di un realismo topografico, quasi olistico, perché la realtà è importante e bisogna parlare della realtà; […] va avanti questa idea asfittica di letteratura: la realtà è molto più grande della realtà apparente e la scrittura e la lettura sono dei modi per arrivarci».
Fonte immagine di copertina: Salvatore Iaconis