I volti ideali: il genio canoviano in mostra a Milano

I volti ideali di Canova

Nell’esclusiva sede di via Palestro, a Milano, dal 25 ottobre 2019 e fino al 18 febbraio 2020, la Galleria d’Arte Moderna (GAM) ospita la raffinatissima mostra “Canova. I volti ideali”, che presenta, in un percorso espositivo preciso e ben curato, la genesi e l’evoluzione della tipologia di busti perlopiù femminili realizzati dallo scultore veneto all’apice della sua carriera.

Curata da Omar Cucciniello e Paola Zatti, l’esposizione “I volti ideali” è promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Galleria d’Arte Moderna di Milano e dalla casa editrice Electa, e racconta – attraverso 39 opere di cui 24 di Canova – la storia di questo genere più “di nicchia” rispetto al ben noto patrimonio costituito dai capolavori canoviani. Tra queste, cinque sculture mai esposte in Italia prima d’ora, come l’erma di Corinna e la magnifica Musa del 1817.

Si tratta di una serie di volti esclusivamente femminili (ad eccezione dell’unicum Paride), molti dei quali realizzati senza commissione, e dunque su iniziativa dell’artista, disposto sua sponte a tenerli per sé. Le opere in esposizione in “I volti ideali” provengono dai principali musei nazionali (Gallerie degli Uffizi di Firenze, Gipsoteca Canoviana di Possagno, Galleria d’Arte Moderna di Torino, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Museo Correr di Venezia) e internazionali (Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, J. Paul Getty Museum di Los Angeles, Kimbell Art Museum di Fort Worth, Museu Calouste Gulbenkian di Lisbona, Musée des Beaux Arts di Lione, Musée Fabre di Montpellier). Accanto alle ”teste” del maestro del Neoclassicismo sono anche proposti preziosi confronti con opere che vanno dall’antichità ai giorni nostri, e che da un lato indicano i modelli da cui lo scultore prese spunto, mentre dall’altro evidenziano il valore universale della sua arte. Tra questi, meritano un occhio di riguardo le favolose sculture antiche della collezione Farnese (ammirate da Canova a Napoli), gli affreschi del Quattrocento toscano, le teste velate di Antonio Corradini (famoso autore della Pudicizia nella Cappella Sansevero dal cui Cristo velato Canova rimase folgorato nel 1780, durante il suo primo soggiorno partenopeo), ma anche l’arte del Novecento e le sculture di Adolfo Wildt e Giulio Paolini, la cui filosofica Mimesis conclude idealmente il bel tour d’insieme.

La prima opera in cui ci si imbatte, non appena si varca l’ingresso al piano terra dello splendido palazzo, è – non a caso – un volto. Quello reale di Antonio Canova, ma dall’artista stesso eseguito, e dunque, in qualche modo, idealizzato. Dal fermo titolo: Autoritratto come scultore. Pochi anni dopo l’Autoritratto come pittore, custodito alla Galleria degli Uffizi, nel 1799 Canova ha quarantadue anni e decide di rappresentare se stesso con gli strumenti che più reputa propri: lo scalpello ed il mazzuolo. Confinato nella natia Possagno durante i mesi dell’occupazione francese a Roma, Canova è “costretto” a dedicarsi quasi esclusivamente alla pittura. Con il ritratto proposto a mo’ di apertura, invece, l’artista pare voler ricordare a se stesso la sua più autentica vocazione di scultore, rimarcata dalla firma in calce.

È Canova stesso, a partire dal 1811, a dedicarsi a quelle che egli stesso definì “teste ideali”, teste che non sono cioè né i consueti busti-ritratti su commissione né i soggetti mitologici a figura intera che tanto contribuirono ad affermare la sua fama. Si tratta invece di personaggi tratti dai racconti mitici (Clio, Elena, Erato, Calliope), dalla storia antica (le poetesse greche Saffo e Corinna, la Vestale – realizzata in tre versioni e qui riunite per la prima volta -) e dalla letteratura moderna (Beatrice, Laura, Eleonora e Lucrezia d’Este), o, ancora, da concetti astratti (la Filosofia, la Pace, la Riconoscenza).

Il primo esempio di testa ideale realizzato da Canova nel 1811 è la cosiddetta “prima musa” Clio, il cui soggetto gli fu probabilmente ispirato dalle Muse scoperte a Tivoli nel 1774 e prontamente esposte nelle sale del Museo Pio Clementino ai Musei Vaticani. Contemporaneamente, egli scolpisce un altro prototipo di bellezza ideale rappresentato da Elena, donato poi nel 1812 a Isabella Teotochi Albrizzi, nobile veneziana di origini greche, che lo espose nel suo palazzo di Venezia, ove ospitava uno dei salotti più importanti d’Italia. Fu proprio questa collocazione tanto esclusiva a favorire la fama del marmo, che divenne in fretta oggetto di grande ammirazione e di innumerevoli componimenti d’occasione, tra cui i versi di Lord Byron del 1816 (presenti in una teca nella prima sala, in una imperdibile versione dell’epoca).

Una menzione del tutto speciale, nella mostra “I volti ideali”, merita la figura della Vestale, che, realizzata tra il 1818 e il 1819, fu replicata in tre marmi: se il più noto è conservato proprio alla GAM di Milano, gli altri due si trovano invece alla Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona e al J. Paul Getty Museum di Los Angeles. Eccoli, per la prima volta riuniti in occasione della mostra e messi a confronto in un dialogo inedito, in uno snodo centrale dell’iter artistico in esibizione. La Vestale rappresenta l’acme della rarefazione formale imposta da Canova al volto ideale, avvolto completamente nel velo, il volto in tutto e per tutto idealizzato e frontale, in una dimensione quasi soprannaturale.

A tal proposito assumono tutto il loro peso semantico la Dama velata di Raffaele Monti datata 1845, la Vittoria Caldoni di Pietro Tenerani nonché – soprattutto, data la sua ineffabile bellezza – il Busto di velata (Fede; Puritas) del già citato Corradini, dal 1748 di stanza a Napoli, dove progettò la decorazione scultorea della Cappella Sansevero su commissione dell’eccentrico principe Raimondo di Sangro.

Segue una Vergine del 1924, opera del milanese Adolfo Wildt, che già nel 1892 si era misurato con la Vestale canoviana realizzando il velo a contorno della figura scolpita: nella Vergine qui esposta il viso è quasi isolato come una maschera, adagiata su un piano di marmo. Un piano di marmo che chiude e paradossalmente riapre la mostra, con la Mimesi del genovese Giulio Paolini del 1975. L’artista esibisce due calchi della testa della Venere medicea e spiega: “Quando metto uno di fronte all’altro due esemplari identici di una stessa scultura antica non voglio essere l’artefice o il riscopritore di quelle sculture, ma l’osservatore che coglie la distanza che le divide, quindi tutte le possibilità di rapporto o di assenza di rapporto che si determinano tra loro e tra quell’immagine e noi”.

Quando si esce dalla mostra su “i volti ideali”, il rapporto che ormai si è instaurato è più che saldo e fondato. Un valore aggiunto di questa iniziativa sta nel gradito omaggio che si riceve: nell’ambito del progetto #canovamilano, chi visita la mostra al GAM ha infatti diritto ad un ingresso ridotto all’altra, mastodontica esibizione in scena in Piazza della Scala, alle Gallerie d’Italia, “Canova/Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna. Un’occasione unica per ammirare i capolavori del genio canoviano, ripreso ed acclamato col suo scalpello e mazzuolo, in quel di Milano.

[Fonte immagine: GAM – Milano]

A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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