Il latte fa male? La parola alla divulgazione scientifica

Il latte fa male? La parola alla divulgazione scientifica

Negli ultimi anni, in concomitanza con lo sviluppo di intolleranze alimentari via via più diffuse, si è rivolta sempre maggiore attenzione alle eventuali motivazioni della loro insorgenza e alla chimica degli alimenti, al fine di stabilire la loro “idoneità” o meno alla nutrizione umana adulta. In tale contesto, ha assunto notevole rilevanza la riflessione sul consumo di latte vaccino, da alcuni individui ben tollerato, da altri abusato, da altri ancora perfino “demonizzato”. Pare utile, dunque, sfatare qualche mito e chiarire qualche dubbio, facendo costante ed ovvio riferimento alla divulgazione scientifica, l’unica in grado di districare la questione spesso confusa al riguardo e fornire dei punti fermi cui attenersi, senza gli inutili allarmismi di alcuni che sono giunti perfino a definire l’impiego di latte «innaturale» e «contro la stessa fisiologia umana» (Latte e uova: perché uccidono, AgireOra Edizioni).

Innanzitutto, chiariamo che il lattosio è il principale zucchero del latte, un disaccaride composto a sua volta da una molecola di glucosio e una molecola di galattosio, ovvero da due zuccheri semplici; tutti i mammiferi neonati possiedono la proteina lattasi, che agisce spezzando il lattosio nelle sue due componenti, rendendole assorbibili e utilizzabili dall’organismo. In origine, la natura aveva previsto che la lattasi non venisse più prodotta negli adulti, nei quali, al termine dello svezzamento, l’eventuale latte ingerito e metabolizzato dai batteri intestinali originava la produzione di gas e il richiamo di acqua per effetto osmotico, generando gli spiacevoli effetti – quali flatulenza, diarrea, costipazione – associati alla cosiddetta “intolleranza al lattosio”. Tuttavia, 1/3 della popolazione mondiale presenta la “persistenza della lattasi”, ovvero non ha alcun problema a consumare il latte da adulto: quindi, gli individui hanno capacità diverse di digerire il latte.

Una mutazione genetica all’origine della capacità di consumare latte da adulti

Colpisce il fatto che la capacità di produrre lattasi anche da adulti non sia distribuita omogeneamente: in Scandinavia essa supera il 90%, ma si riduce procedendo verso l’Europa meridionale. Ci affidiamo, dunque, alla valutazione in merito del noto divulgatore scientifico Dario Bressanini, al quale abbiamo fatto riferimento in un precedente articolo: «L’avvento del latte animale come alimento per l’uomo è stato reso possibile all’inizio del Neolitico, circa 10.000 anni fa, con il passaggio dalla vita nomade del nostro avo cacciatore-raccoglitore alla vita più stanziale basata sull’allevamento e l’agricoltura. In quel periodo pecore, capre e bovini vennero per la prima volta domesticati in Anatolia e nel vicino oriente per poi diffondersi nei millenni successivi in tutta Europa. (…) I primi studi effettuati in Europa hanno dimostrato che negli individui “lattasi persistenti” è presente una mutazione genetica che dona la capacità di digerire il latte da adulti. I nostri antenati del Neolitico, però, non erano ancora in grado di farlo perché la mutazione è apparsa in tempi più recenti. Questo tratto geneticamente dominante è comparso e si è diffuso meno di 10.000 anni fa in alcune popolazioni dedite alla pastorizia solo dopo l’abitudine, culturalmente trasmessa, di nutrirsi con il latte munto. (…) Non è stata la presenza del latte come alimento a “causare” la mutazione. Poiché oggi la persistenza della lattasi è diffusa in molte popolazioni, si può concludere che la mutazione genetica casuale, apparsa indipendentemente in popolazioni diverse, sia stata selezionata e diffusa in quelle dedite alla pastorizia in un periodo di tempo abbastanza breve. La mutazione ha donato un vantaggio evolutivo a chi la possedeva e ai loro discendenti (…)» (Darwin e l’innaturalità del bere latte, Scienza in cucina).

Concludendo: il latte fa male?

Pertanto, gli individui che possono bere latte sarebbero stati “geneticamente selezionati”, dal momento che la tollerabilità del latte e dei prodotti caseari risulta legata a un particolare gene, apparso indipendentemente in molte popolazioni dedite all’allevamento: qui, essendo le condizioni ambientali favorevoli a tale forma di sostentamento e al facile reperimento di latte e derivati, esse hanno usufruito di tale mutazione genetica con cui sfruttare questa risorsa di proteine e grassi: nel Sud dell’India e soprattutto in Cina, ad esempio, gli individui adulti sono privi di questo gene e, di conseguenza, intolleranti al lattosio, come si evince dalla loro cultura e cucina.

Concludendo, se tale mutazione è stata selezionata per permetterci di berlo, forse è il caso di non ostinarsi a definirlo “innaturale”, come è stato fatto da alcuni: semplicemente, possiamo limitare il suo consumo, o sostituirlo con latte delattosato e bevande vegetali, queste ultime oggi sempre più facilmente reperibili in commercio – e che possono anche essere agevolmente autoprodotte in casa -, laddove avessimo particolari fastidi digestivi, legati o meno alla tollerabilità al lattosio, o remore di tipo etico del tutto giustificabili e meritevoli d’essere rispettate.

[L’immagine in evidenza è stata tratta da www.assolatte.it/it/home/prodotti

A proposito di Adele Migliozzi

Laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico, coltivo una grande passione per la scrittura e la comunicazione. Vivo in provincia di Caserta e sono annodata al mio paesello da un profondo legame, dedicandomi con un gruppo di amici alla ricerca, analisi e tutela degli antichi testi dialettali della tradizione locale.

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