Tra il XVI e il XIX secolo, in Italia si sviluppò un singolare e controverso fenomeno in ambito musicale: quello dei castrati. Si trattava di cantanti maschi sottoposti alla castrazione prima della pubertà, con l’obiettivo di preservare la voce infantile e acuta, unita però in seguito, alla potenza e all’estensione di un corpo adulto. Questa pratica, nata in ambito ecclesiastico e poi diffusasi nei teatri d’opera, segnò profondamente la storia della musica barocca e classica, lasciando un’impronta indelebile nella cultura italiana.
Origini: come e perché nasce questa pratica
Nell’antichità, le donne erano escluse dagli ambienti ecclesiastici, e il perché viene fatto risalire a un celebre versetto delle lettere di San Paolo ai Corinzi: “Mulieres in ecclesia taceant” ovvero “Le donne tacciano in chiesa”. Questo passo venne interpretato non solo come un divieto alla partecipazione attiva delle donne nei riti religiosi, ma anche come una proibizione a cantare nei cori sacri. Tuttavia, la musica liturgica necessitava comunque di voci acute. Per colmare questa assenza, nacquero quindi i castrati.
L’operazione: una pratica nascosta e pericolosa
La castrazione a fini musicali avveniva generalmente tra i 7 e i 12 anni, ma solo dopo che la famiglia, spesso spinta dalla speranza di un futuro di successo per il figlio, si fosse consultata con un maestro di canto, il quale ne valutava le potenzialità vocali. Se il ragazzo avesse mostrato le qualità giuste, si sarebbe proceduto con la pratica chirurgica.
L’operazione consisteva nella rimozione chirurgica dei soli testicoli, effettuata tramite un’incisione con un coltello e la legatura dei vasi sanguigni. Per ridurre il dolore, si usavano metodi rudimentali di sedazione: tra questi, la somministrazione di oppio in dosi elevate, oppure la pressione sulla carotide, una manovra che poteva provocare una temporanea perdita di coscienza simile al coma.
Nonostante queste precauzioni, l’operazione era tutt’altro che sicura. I rischi erano altissimi: emorragie, infezioni dovute alla scarsa igiene, e complicazioni post-operatorie. In molti casi, quella che doveva essere una promessa di carriera nel mondo della musica si trasformava tragicamente nell’ultima esperienza di vita.
Essendo una pratica del tutto illegale, perché a tutti gli effetti una mutilazione condannata dalla Chiesa e punibile con la scomunica, non esistono dati certi sul numero di ragazzi che vi furono sottoposti. Non sappiamo quanti morirono durante l’operazione né, soprattutto, quanti furono effettivamente castrati. Proprio perché proibita, la castrazione non veniva registrata in documenti ufficiali, e tutto avveniva nel più totale riserbo, spesso con la complicità silenziosa delle famiglie e delle istituzioni locali.
Gli effetti della castrazione
Sulla voce
La castrazione, eseguita prima della pubertà, impediva lo sviluppo normale degli ormoni sessuali maschili, in particolare del testosterone, responsabile dei cambiamenti corporei e vocali tipici dell’adolescenza. Le corde vocali, non essendo quindi influenzate da questi ormoni, restavano piccole e sottili come quelle di un bambino e rimanevano più vicine alle cavità di risonanza, generando così una voce brillante, chiara e acuta. A questa si univa però la potenza di una cassa toracica adulta, sviluppata normalmente, creando un timbro unico nel suo genere: estensione da fanciullo, forza e capacità respiratoria da uomo. Il risultato era una voce straordinariamente flessibile, perfetta per il canto lirico, che il ragazzo avrebbe mantenuto per tutta la vita.
Sul corpo e la psiche
Nonostante la castrazione raggiungesse l’obiettivo desiderato di preservare la voce acuta, essa comportava anche numerosi effetti collaterali indesiderati. Innanzitutto, i castrati perdevano per sempre la capacità di procreare e il loro desiderio sessuale diminuiva drasticamente. A livello fisico, potevano soffrire di vampate di calore, disfunzione erettile, osteoporosi, e avevano un aumento del rischio di infarti e diabete.
Dal punto di vista sociale, inoltre, i castrati erano spesso guardati con diffidenza e considerati “diversi”, soprattutto nelle classi popolari. Pur ricoprendo ruoli di élite in ambito ecclesiastico o ottenendo fama e successo nel mondo musicale, erano comunque percepiti come figure ambigue, e tendevano a essere emarginati sia dagli uomini che dalle donne.
I castrati che non ce l’hanno fatta
Non tutti i castrati finivano sotto i riflettori dei teatri o tra i cori delle grandi basiliche. Per uno che ce la faceva, tanti altri restavano nell’ombra. Molti, pur avendo subito un sacrificio irreversibile, non riuscivano a entrare nelle scuole ecclesiastiche o nei circuiti musicali prestigiosi. E allora? Che ne era di loro?
Alcuni, consumati dalla frustrazione e dal dolore, sprofondavano in una profonda depressione, lasciandosi lentamente morire. Altri covavano rabbia per tutta la vita, incapaci di perdonare la propria famiglia, che aveva scelto per loro quel destino irreversibile. E poi c’erano i dimenticati: quelli che, privati di un futuro e di una voce nel mondo, erano costretti a sopravvivere tra lavori miseri, a volte degradanti, vivendo ai margini della società che un tempo li aveva illusi di potersi elevare.
I castrati più famosi
Come abbiamo detto, alcuni castrati riuscivano davvero a emergere e a trovare il successo. Tra questi, il più celebre fu Farinelli, pseudonimo di Carlo Broschi, considerato il castrato più famoso del Settecento. A differenza di molti suoi colleghi che cantavano nelle chiese, Farinelli si esibiva per le corti europee, ed era amatissimo in Spagna, Inghilterra e Italia. Era noto per la sua incredibile estensione vocale, il perfetto controllo tecnico e la straordinaria espressività che mostrava in scena.
Oltre a lui, va ricordato anche Francesco Bernardi, conosciuto con il nome d’arte Senesino, altro castrato di grande fama, specialmente per il suo ruolo nelle opere di Händel.
Infine, una figura storicamente significativa è Alessandro Moreschi, l’ultimo castrato noto della Cappella Sistina. È anche l’unico di cui siano sopravvissute registrazioni vocali, che rappresentano oggi una rara e preziosa testimonianza sonora di questa controversa tradizione musicale.
La scomparsa dei castrati
Con l’Unità d’Italia, nel 1861, il reato di evirazione fu ufficialmente riconosciuto su tutto il territorio del nuovo Regno grazie all’estensione del codice penale sabaudo, che lo contemplava espressamente.
Nel frattempo, anche la Chiesa cominciò a prendere le distanze dalla pratica della castrazione. Un primo passo arrivò nel 1878, quando Papa Leone XIII vietò l’ingaggio di nuovi castrati. Ma la svolta definitiva arrivò nel 1903: Papa Pio X, con il motu proprio Tra le sollecitudini, decretò che le voci acute nel canto sacro dovessero essere affidate esclusivamente ai fanciulli, secondo l’antica tradizione della Chiesa. Fu questo l’atto che sancì la fine ufficiale dei castrati nella musica liturgica, e di conseguenza anche in Italia.
Fonte immagine: Wikimedia Commons di Autore ignoto