Il Donbass è da anni uno dei teatri principali del conflitto russo-ucraino. Ma oltre i proiettili, le trincee, i droni, i bombardamenti e i blackout, c’è un’altra guerra che si sta combattendo: più lenta, più silenziosa, più nascosta, ma non meno devastante. È la guerra del sottosuolo, dove ogni giorno i minatori si ergono a protagonisti di una resistenza feroce.
Sotto la superficie delle steppe del Donbass, infatti, la guerra ha il volto di chi ogni giorno scende sotto terra per continuare a lavorare, nonostante gli orrori del conflitto bellico. Al rumore delle granate, si oppone il silenzio denso di polvere e sudore dei tunnel nel sottosuolo. Qui la terra sta affondando, letteralmente: le gallerie cedono, i villaggi sprofondano, ma nonostante i crolli e l’insicurezza, migliaia di uomini continuano a portare avanti un ecosistema che è diventato metafora della sopravvivenza. È una lotta contro il tempo, contro la terra che si sbriciola. Molti di questi lavoratori non hanno mai abbandonato la loro regione, ma continuano a scavare: come se restare potesse anche dare un senso a tutto ciò che sta accadendo sulla superficie.

Donbass, storia e presente delle miniere
I centri urbani del Donbass sono nati intorno alle miniere già ai tempi sovietici. L’economia e l’identità collettiva ruotava attorno alla produzione del carbone, simbolo di un progresso che sembrava poter essere eterno. Intere famiglie vivevano grazie a generazioni di minatori.
Da allora, però, il destino delle miniere si è incrinato. Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e l’inizio del conflitto nelle regioni di Donetsk e Luhansk, molte miniere sono state costrette a chiudere. Questo triste epilogo è toccato soprattutto alle miniere che si trovavano nelle aree non controllate dall’Ucraina, che si sono lentamente inabissate. La svolta drammatica è poi giunta con l’invasione russa del 2022: secondo i dati raccolti da New Eastern Europe, oltre metà delle miniere della regione è ormai sommersa dalle acque profonde e fangose. Se questo fenomeno non verrà arginato, nei prossimi 5-12 anni due terzi del territorio del Donbass diventeranno inabitabili.

La causa primaria è la sospensione delle attività di pompaggio e manutenzione, resa impossibile dai combattimenti. Le gallerie, un tempo cuore pulsante della regione, vengono oggi travolte dall’acqua, che non solo ne dissolve i corridoi, ma corrode anche le strutture e mina la stabilità del suolo. I villaggi che un tempo gravitavano attorno alle miniere, da Horlivka a Toretsk, rischiano di affondare letteralmente, inghiottiti da un paesaggio in continua mutazione. Molti di questi stanno diventando città fantasma, dove i pochi rimasti convivono con l’acqua che filtra dal sottosuolo e con l’incertezza del futuro.
In questo scenario, l’elemento idrico assume una valenza simbolica inquietante: l’acqua, normalmente risorsa di vita, qui diventa strumento di cancellazione della memoria, in una terra martoriata in superficie e in profondità.

Donbass, voci dal sottosuolo
Le miniere del Donbass sono luoghi di narrazione collettiva, non monumenti all’eroismo. I volontari del progetto “Miners’ Stories” hanno raccolto le testimonianze di 28 minatori che, sin dalla scuola sovietica, hanno imparato che “scendere è un gesto quotidiano, tramandato in famiglia”. Viktor Kuznetsov, capo ingegnere in una miniera del Donbass sotto attacco, intervistato da Reuters nel giugno 2023, sottolinea come la produzione continui nonostante i raid russi: “Ci troviamo di fronte a nuove sfide, nuovi problemi… L’anno scorso ci sono state diverse occasioni in cui abbiamo dovuto interrompere la produzione… Ma nonostante ciò… intendiamo aumentare la produzione di carbone nella nostra azienda, anche rispetto al passato”.
Il suo collega Andrii Yurkov ricorda un altro momento di crisi: “Durante uno dei turni, mentre lavoravamo sottoterra, la centrale elettrica è stata colpita e la miniera è rimasta senza corrente. E siamo dovuti uscire dalle uscite di emergenza. Beh, come si dice, la guerra è arrivata anche qui… Non importa quanto cerchiamo di allontanarci dalla guerra: lentamente arriva“.
Queste voci emergono come un coro sommesso: non reclamano eroismo, ma chiedono visibilità. Non cercano applausi, ma spazio. E lo fanno dalla profondità di gallerie che rischiano di inghiottire anche le loro storie, se non saranno protette, recuperate e raccontate. Di seguito, un video reportage realizzato dal Kyiv Independent sui minatori nel Donbass (disponibili sottotitoli in italiano):
Guerra, acqua e pericolo
Sotto i continui colpi della guerra, quindi, le miniere del Donbass non hanno solo perso uomini e macchine: è l’intero sistema infrastrutturale che sta cedendo. Il bombardamento mirato di pozzi, stazioni di pompaggio e dighe ha trasformato l’acqua in un’arma silenziosa: canalizzata nei tunnel, è in grado di saturare le gallerie, innescare spruzzi di gas e persino esplosioni sotterranee. Le infrastrutture minerarie diventano così una vera trappola geologica.
A monte di questa catastrofe, c’è uno scenario ancora più allarmante. Quando le bombe distruggono impianti militari o industriali (come serbatoi chimici, dighe o depositi di combustibili), le acque si infiltrano e disciolgono metalli pesanti (arsenico, mercurio, piombo) e sostanze tossiche, contaminando le falde acquifere. Secondo il Conflict and Environment Observatory, esplosioni e sversamenti chimici stanno già avvelenando acque potabili e irrigue, in quelli che definiscono “motivi di ecocidio”.
Il 2023 è stato segnato dalla tragica rottura della Diga di Kakhovka, un evento che ha generato esondazioni in tutto il sud-est ucraino e rilasciato sedimenti contaminati da minerali pesanti fino al Mar Nero. L’acqua che avanza trascina con sé sostanze tossiche, mentre le comunità restano intrappolate in uno scenario irreale.

Ripresa agricola e sminamento
La rinascita agricola nel Donbass si scontra con un pericolo insidioso: i campi minati e le mine inesplose. Volontari e contadini usano trattori all’avanguardia che arrancano tra pali segnalati, mentre i lavoratori, armati di zappe, dissotterrano palle d’artiglieria, bombe a grappolo e residui della campagna militare.
La bonifica è una missione costante e spesso umanamente lacerante. Come racconta Le Monde in un reportage dal fronte, Aliona “Monka”, comandante della 59ᵃ brigata sminatori, parla di una lotta continua contro il tempo e l’usura mentale delle sue squadre:
“La cosa più difficile per noi è stata cambiare ambiente, passando dalle zone rurali a quelle urbane durante la difesa… Alcune persone crollano moralmente, perché sentono che la loro moglie sta iniziando un’altra vita all’estero… Devo aiutarli a superare i loro tormenti e assumere il ruolo di psicologo”. Ogni operazione è una sfida fisica e psicologica, in contesti in cui il terreno diventa una trappola invisibile.

Donbass, sguardo al futuro
Per quanto possa sembrare assurdo nel mentre che c’è una guerra in corso, il futuro del Donbass si gioca in realtà sottoterra. Secondo la già citata analisi pubblicata da New Eastern Europe, oltre due terzi delle miniere della regione rischiano di essere sommersi entro i prossimi vent’anni se non verranno implementati interventi urgenti di drenaggio e messa in sicurezza delle dighe abbandonate dopo il 2014. Si tratta di una minaccia ambientale latente, che potrebbe rendere intere porzioni del territorio inabitabili o improduttive a causa della contaminazione delle falde acquifere.
Il governo ucraino, anche con l’aiuto dell’Unione Europea, ha avviato un piano di phase-out dal carbone entro il 2035. Tuttavia, nel Donbass questo obiettivo incrocia una memoria collettiva legata al sottosuolo: le miniere non sono solo infrastrutture economiche, ma parte integrante dell’identità delle comunità locali. Smantellare il carbone, dunque, non significa solo cambiare un modello energetico: significa sciogliere un patto sociale implicito.
Oggi il Donbass combatte due guerre. Una è quella che si vede, che scuote i cieli e i confini, fatta di missili e trattati violati. L’altra, più lenta ma altrettanto devastante, si consuma nel buio delle miniere allagate, nei campi disseminati di mine, nell’attesa di un riscatto che non arriva. È una guerra silenziosa, dove l’acqua scava più della dinamite e la memoria pesa più del carbone.
Sotto la superficie, il Donbass affonda. Ma è proprio lì, nel fondo, che si gioca la possibilità di risalire. Non basta ricostruire: bisogna ascoltare ciò che giace sepolto (storie, speranze, ferite) e riscrivere il futuro da sotto, dove la luce non arriva mai. Ma dove, forse, può ancora nascere.
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