La questione dell’educazione musicale multiculturale e/o interculturale è esplosa con evidenza, soprattutto in Europa negli ultimissimi decenni, a causa dei flussi migratori. La presenza nelle classi di bambini stranieri con diverse competenze linguistiche e culturali è stata vissuta come un’urgenza pedagogica che ha attirato l’attenzione di esperti e governi. A livello internazionale, le prime indicazioni in merito alla scolarizzazione dei bambini stranieri sono contenute nella raccomandazione n.18 dell’UNESCO del 1982 in cui si parla del riconoscimento di una pari dignità di tutte le culture, delle relazioni interculturali come fattore di arricchimento e della necessità di preparare in senso interculturale gli insegnanti.
In Italia vi sono una serie di decreti presidenziali e circolari ministeriali che, dopo aver previsto l’ammissione dei ragazzi stranieri nelle strutture scolastiche, raccomandano strategie di sostegno per l’apprendimento dell’italiano. Ma, le facilitazioni per l’apprendimento della lingua si sono presto rivelate insufficienti a un inserimento scolastico che fosse rispettoso. Strategie più articolate sono invece: la valorizzazione di forme di comunicazione non verbale (compresa la musica), l’interazione con diverse culture di provenienza, attraverso contatti con le famiglie, le comunità di immigrati e l’utilizzazione di insegnanti specializzati con competenze linguistiche adeguate.
Da un altro lato, c’è stata una crescita di atteggiamenti razzisti che ha sollecitato un ampliamento del concetto di educazione alla multiculturalità, fino a farlo diventare uno dei postulati formativi necessari a una pacifica convivenza democratica. Il conseguimento di una convivenza pacifica riguarda non solo l’integrazione scolastica, ma l’intero tessuto sociale nazionale.
Per questo, la cosiddetta pedagogia interculturale in Italia ,come altrove, sta spostando le sue attenzioni dagli studenti stranieri a quelli dei paesi ospitanti. Quella a cui stiamo assistendo non è la prima migrazione di massa della storia, ma temi come: accoglienza, integrazione e rispetto della cultura d’origine sono, tutto sommato, recenti. In paesi come gli USA, la multietnicità è una realtà consolidata da tempo e ovviamente c’è una maggiore esperienza.
Anche in stretto riferimento alle tematiche musicali è possibile in quel paese trovare riflessioni sull’evoluzione del concetto di multiculturalità, nonché osservazioni e valutazioni di quanto avvenuto nella realtà scolastica. In molti paesi europei, solo a partire dagli anni 90 si sta assistendo a un dibattito consistente e al moltiplicarsi di iniziative. In Italia, il primo convegno dedicato all’educazione musicale multiculturale è stato organizzato ad Assisi nel 1993. Si è attualmente, dunque, in una fase sperimentale in cui gli insegnanti non sono ancora capaci di agire con disinvoltura su questi temi.
Per multiculturalità si intende soprattutto la pacifica convivenza di culture e aspetti diversi, non necessariamente comunicanti tra di loro; per interculturalità si intende invece un’interazione dinamica tra le culture. Portati nell’ambiente pedagogico, i due concetti danno vita all’educazione multiculturale e all’educazione interculturale. In quest’ottica l’educazione multiculturale è l’adeguarsi alla multiculturalità che è un dato di fatto. L’interculturalità è un processo artificiale che va progettato e perseguito attraverso la costruzione di un abitudine all’apertura nella quale l’educazione può giocare un ruolo molto importante.
La multimusicalità
Dal punto di vista musicale, la differenza tra il concetto di multiculturalità e di interculturalità sembra più labile (facile a scomparire) rispetto ad altri ambiti. Se la multiculturalità è entrata nelle nostre case attraverso l’immigrazione, possiamo dire che la multimusicalità è entrata da tempo nelle nostre case, nelle nostre automobili, nei nostri supermercati. Stando seduti possiamo ascoltare indifferentemente musica del Medioevo europeo, della foresta centroafricana o della discoteca sottostante. La multiculturalità, quindi, è parte costituente del panorama musicale contemporaneo. Quest’affermazione non ha nulla a che fare con le scelte musicali individuali né con le leggi del mercato; alcune musiche sono più note, ascoltate, amate, consumate di altre.
Sul piano didattico, l’insegnante si trova, quindi, in una posizione obbligata: formare alla musica di oggi significa formare alle musiche; un insegnante di educazione musicale che a livello base forma i suoi allievi solo nella conoscenza della musica colta occidentale, senza prendere in considerazione altri repertori, generi e culture musicali, svolgerebbe un compito inadeguato. Qualche anno fa, la realtà degli Stati Uniti fu definita insalata musicale e mise al primo posto la necessità di dare agli allievi tutti gli strumenti necessari per orientarsi in quella situazione. Ormai la realtà europea si sta velocemente uniformando a quella statunitense e per rendersene conto basterebbe dare uno sguardo ai programmi previsti dalle istituzioni concertistiche anche di più vecchia tradizione: tutti ormai prevedono appuntamenti con musiche extraeuropee.
Obiettivi di approccio
Il primo obiettivo di approccio all’educazione multiculturale musicale dovrebbe essere quindi la definizione di conoscenze e metodi analitici che mettano in grado gli studenti di apprezzare qualsiasi proposta musicale. Perseguire questo obiettivo non è una cosa facile perché richiede un serio ripensamento di programmazioni, metodi, libri di testo, supporti e sussidi ormai consolidati.
Il secondo obiettivo dell’educazione multiculturale musicale sarebbe l’abitudine a una tolleranza musicale, ovvero riconoscere pari dignità a tutte le espressioni musicali. Ma i bambini e, soprattutto gli adolescenti, sono tutt’altro che relativisti dal punto di vista musicale a causa di ragioni affettive e cognitive. In età giovanile, infatti, la musica è vissuta come uno dei luoghi in cui si costruisce l’identità personale e di gruppo. Ma, l’adesione a una corrente musicale a volte è così profonda che diventa una passione esclusiva che rende poco disponibili verso altri generi. Anche il raggiungimento della tolleranza musicale quindi necessita di specifiche strategie didattiche che difficilmente risulteranno efficaci se si baseranno solo su discorsi di principio, senza promuovere invece una profonda ricerca.
World music
L’interculturalità, se accettiamo la definizione di territorio artificialmente costruito dal confronto culturale è anch’essa una dimensione problematica, ma sicuramente più naturalmente presente nell’ambito musicale. C’è la cosiddetta World music che è un prodotto interculturale nato da un confronto e risultato di un processo creativo estremamente artificioso. Si potrebbe studiare a scuola questo genere ma non sarebbe sufficiente a rispondere agli obiettivi di un’educazione interculturale per tre motivi almeno: si rischierebbe di generare confusioni perché sotto l’etichetta di World music si stanno raccogliendo esperienze disomogenee. Per il modo in cui viene veicolata presenta problemi di approccio non differenti da quelli di altri prodotti musicali; la formazione interculturale non può limitarsi alla somministrazione di prodotti preconfezionati e sperimentali come la tipologia di questo genere.
Più interessante sarebbe quindi avviarsi per un’altra strada, ovvero quella di riprodurre nelle attività scolastiche i procedimenti creativi che gli danno vita , cioè il confronto diretto con prodotti culturali variegati allo scopo di produrne uno nuovo.
Spesso, nel dibattito sull’educazione in contesti multiculturali è stato richiesto alle discipline musicali di svolgere un ruolo di mediazione nei confronti degli alunni stranieri. La forza della musica sta nella capacità di parlare e di far parlare al di là delle barriere linguistiche. In effetti, alcune esperienze con bambini stranieri hanno dimostrato che la musica può riuscire a sbloccare situazioni di incomunicabilità verbale, di chiusura e di disagio profondo.
Alcuni studi hanno dimostrato che è inutile cercare costanti nei sistemi concreti di organizzazione della musica, poiché si è giunti alla conclusione che un brano musicale presentato a un pubblico eterogeneo non è mai inequivocabilmente lo stesso per tutti gli ascoltatori. Recentemente, nella pedagogia musicale ha trovato eco un approccio comportamentista alla teoria degli universali, secondo il quale le eventuali costanti andrebbero ricercate non nei prodotti musicali concreti, ma nei bisogni e nelle motivazioni di fare musica. Questa posizione si affianca a un altro terreno di ricerca degli universali: quello della psicologia cognitiva basato sull’individuazione di costanti nei processi percettivi.
C’è stata la teoria delle condotte di Delande (gli uomini vivendo in società sullo stesso pianeta incontrano più o meno gli stessi problemi e trovano delle soluzioni comparabili) alla quale si sono ispirati alcuni insegnanti per compiere esperienze didattiche con finalità interculturali.
Tracciando un possibile scenario in cui i protagonisti siamo un Io e un Altro, diversi per origini e cultura, possiamo vedere che ascoltando una sequenza sonora l’Altro comincia a muoversi, mentre Io non conosco le caratteristiche e i significati dei suoi movimenti, ma credo di comprendere perché reagisce così. Ci sono una serie di possibilità:
- Ciò a cui sto assistendo non è sentito dall’Altro come un’esperienza musicale , mentre Io potrei interpretarlo come tale.
- L’Altro esegue movimenti di danza che Io osservo, anche incuriosito, ma che ritengo sgradevoli e poco accettabili.
- La sua danza, al contrario, risulta per me attraente e posso spingermi fino ad imitarlo.
- Non mi interesso alla sua danza e mi metto a ballare a modo mio etichettando queste quattro opzioni usando i parametri della comprensione culturale, intesa come accettazione, comprensione e condivisione culturale delle motivazioni dell’Altro.
Nel primo caso non c’è né comprensione né condivisione. Io non capisco né perché l’Altro si muove né in base a quali regole lo sta facendo; un’ eventualità di questo genere è ,in effetti, poco verificabile nei contesti scolastici. Nel secondo caso c’è comprensione ma non condivisione; didatticamente quindi saranno necessari percorsi tesi alla valorizzazione del prodotto culturale in questione. Nel terzo caso c’è comprensione e condivisione, didatticamente siamo in una situazione ottimale favorevole alla crescita. Nel quarto caso c’è condivisione ma non comprensione: Io sento quella musica come ballabile ma reagisco applicando le mie regole.
Dunque, l’educazione multiculturale musicale è strettamente legata ai temi di inclusione e integrazione, in quanto, il potere della musica (con il passare del tempo) porta gli alunni stranieri ad integrarsi al meglio nelle proprie classi.
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