Baarack e la sua storia: il lato oscuro della selezione

Baarack

Baarack, pecora sfuggita a un allevamento intensivo e ritrovata coperta da 35 kg di vello, ha messo in luce il lato oscuro della selezione.

Circa un mese fa è stata ritrovata e soccorsa una pecora, reduce da anni di vagabondaggio in un bosco nello Stato di Victoria, in Australia, a circa 60 km a nord di Melbourne.

Baarack, così come è stata chiamata dai volontari dell’Edgar’s Mission Farm Sanctuary vicino a Lancefield, dopo la segnalazione da parte di un cittadino, era scappata da un allevamento intensivo ed aveva girovagato allo stato brado; tuttavia, poiché le attuali specie ovine richiedono almeno una tosatura annuale per il loro benessere, questa pecora coraggiosa aveva accumulato circa 35 chili di vello sul suo manto, che le rendevano difficile muoversi, alimentarsi e perfino aprire gli occhi, sicché l’animale al suo ritrovamento era sottopeso e a stento in grado di adoperare la vista. Nonostante tali condizioni iniziali non del tutto felici l’animale, intenzionato a vivere libero nella foresta, è stato in primo luogo tosato: la lana ricavata – che, come già detto, senza una regolare tosatura continua a crescere in modo incontrollato, causando sofferenze all’animale – era pari alla quantità che, in condizioni normali, crescerebbe in circa cinque anni. Risollevatasi dal carico della lana in straordinario eccesso, Baarack ha iniziato gradualmente ad adattarsi alla temperatura circostante e familiarizzare con gli altri ovini presenti nella struttura, nella quale vivrà libera e fruirà delle cure necessarie.

Che cos’è la selezione artificiale

La storia della pecora Baarack è un prodotto diretto dell’allevamento selettivo umano per la lana, raccolta a scopo commerciale, ed ha mostrato al mondo come la selezione umana delle specie animali abbia alterato la loro vita. Gli animali, infatti, dopo le piante, sono state l’oggetto privilegiato della sete di predominio umano sul mondo: mentre in natura la selezione è operata spontaneamente in relazione alle varianti che consentano agli organismi viventi un migliore adattamento, la selezione artificiale è operata dall’uomo fin dai tempi più remoti in modo tale da isolare determinate caratteristiche a suo proprio beneficio; ciò consentirà, in agricoltura e in allevamento, di ottenere nuovi individui basandosi sul fenotipo, ovvero sulle caratteristiche visibili esteriormente, che siano ritenute migliori rispetto a quelle di origine.

L’uomo, pertanto, è in grado di apportare cambiamenti negli esseri viventi che lo circondano; l’allevamento selettivo sia di specie vegetali che animali è stato praticato, infatti, fin dalla preistoria, finché fu istituzionalizzato come pratica scientifica durante la rivoluzione agricola britannica nel XVIII secolo, in special modo in relazione al programma di allevamento delle pecore.

Baarack è riuscita coraggiosamente a sfuggire all’allevamento selettivo

La coniazione della definizione di “allevamento selettivo” (selective breeding) si deve a Charles Darwin, quale pratica di allevamento intenzionale di animali e piante da individui dotati di caratteristiche desiderabili, a imitazione, dunque, del più ampio processo di selezione naturale alla base della teoria evoluzionistica.

Tuttavia, la selezione artificiale ha dei rovinosi effetti collaterali sul fisico e sul comportamento degli animali destinati alla produzione massiva di carne, latte e uova: aspettative di vita ridotte, problemi di deambulazione, malformazioni fisiche alla nascita e crescita ponderale eccessiva, solo per citarne alcuni. Occorre, dunque, informarsi e comprendere quali siano non solo le conseguenze di tali pratiche selettive, ma anche le responsabilità dell’agire umano. Oggigiorno il marketing, infatti, si tutela e si cela dietro l’uniformante etichetta di “benessere animale”, catturando l’attenzione del potenziale cliente. Eppure, in simili strutture il benessere degli animali è ben lungi dall’essere garantito, a causa della mancanza di spazi adeguati e dell’alto numero di esemplari, il cui controllo sfugge pressoché totalmente all’allevatore; pertanto, nonostante il rispetto formale delle norme vigenti in materia, gli standard di tali allevamenti restano comunque bassissimi da un punto di vista etico.

Simili abusi dovrebbero, dunque, spingerci a imboccare una nuova strada, fatta di acquisti consapevoli ed etici, come le alternative plant-based nate dall’amore e dal rispetto verso il mondo animale, che stanno avendo una diffusione e differenziazione sempre più ricca tra i prodotti alimentari di uso quotidiano. Chiaramente, sarà un traguardo molto difficile da raggiungere, giacché viviamo in una società in cui l’allevamento selettivo è radicato da sempre; per questo, la meta dell’abolizione dello sfruttamento animale in ogni sua forma deve partire da piccoli gesti quotidiani, al fine di costruire gradualmente le basi di un futuro diverso.

Abbiamo, purtroppo, allontanato dalla nostra cultura il concetto stesso di “natura”; di essa siamo, tuttavia, parte nella nostra infinita fragilità. E parrebbe proprio che questa lunga pandemia in atto lo stia opportunamente rammentando a tutti noi. 

Immagine in evidenza: wikipedia

A proposito di Adele Migliozzi

Laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico, coltivo una grande passione per la scrittura e la comunicazione. Vivo in provincia di Caserta e sono annodata al mio paesello da un profondo legame, dedicandomi con un gruppo di amici alla ricerca, analisi e tutela degli antichi testi dialettali della tradizione locale.

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