Inno a Satana di Carducci: la celebrazione del progresso

Inno a Satana: la celebrazione del progresso

L’Inno a Satana, composto da Giosuè Carducci, fa parte della raccolta Levia Gravia, che l’autore pubblica in una prima edizione nel 1868 a Pistoia. La raccolta prende il titolo da un verso dei Tristia di Ovidio e fa riferimento a poesie dal tono leggero (levia) ma difficili a farsi (gravia): in essa sono contenuti testi che affrontano temi personali e dolorosi, come il suicidio del fratello, temi umanitari e populistici, come la perenne lotta tra ricchi e poveri, ma anche temi di stringente attualità e di forte impegno civile, politico e culturale.

L’Inno a Satana, che dal punto di vista stilistico non ha grandi pregi se è vero che lo stesso autore lo definì una “chitarronata volgare”, può essere inserito in quest’ultima categoria. L’opera nasce come poemetto conviviale scritto nel 1863 per essere letto in un banchetto tra amici, per poi essere rimaneggiato e pubblicato nel 1869 su una rivista bolognese, “Il popolo”, sotto lo pseudonimo di Enotrio Romano.

Il poemetto di 200 quinari raccolti in quartine, celebra la ragione, la scienza, il libero pensiero e il progresso scientifico e tecnologico che da questi deriva; nel mirino del poeta, che interpreta il ruolo del giacobino e del libero pensatore anticlericale, ci sono l’oscurantismo e l’atteggiamento punitivo del cristianesimo e del pensiero romantico. Satana, all’interno dell’inno, diviene, quindi, simbolo di valori laici e illuministici, anti-cristiani e antiromantici.

vv. 57- 64

Tu spiri, o Satana,
Nel verso mio,
Se dal sen rompemi
Sfidando il dio

De’ rei pontefici,
De’ re crüenti:
E come fulmine
Scuoti le menti.

Il proemio dell’inno contiene la tradizionale invocazione alla divinità, che in questo caso è Satana, celebrato come “de l’essere Principio immenso, Materia e spirito, Ragione e senso”, e il riferimento a calici di vino che collocano il componimento in un contesto conviviale. Subito segue l’aspra polemica anticlericale: in uno scenario apocalittico si vedono angeli cadere dal firmamento, uno spennato arcangelo Michele precipitare giù dal paradiso con il brando angelico corroso dalla ruggine, il fulmine di Geova ghiacciarsi. In questo scenario solo Satana, usando le parole dello stesso autore, “vive eterno nella materia variabile, nella gioia d’uno sguardo femmineo, nel lieto umore dei grappoli, nel verso ribelle dei poeti e nell’opere degli artisti, che in ogni tempo a lui, simbolo dell’eterna bellezza, diedero pitture e poemi”.

La polemica anticlericale continua con un richiamo nostalgico alla cultura greco- romana, ai grandi della letteratura latina (Virgilio, Orazio, Livio) e con un invocazione ai grandi riformatori, a coloro che, come Lutero, Savonarola, Wycliffe e Huss si sono battuti con ardore per riformare la chiesa dall’interno. Nella parte finale del poema, Carducci torna sulla celebrazione del progresso e qui Satana assume le sembianze di una locomotiva a vapore.

La macchina viene presentata come un “monstrum”, un prodigio, che attraversa mari, monti e pianure, si solleva su baratri, si nasconde in antri incogniti e in vie profonde. Nelle ultime tre quartine Carducci saluta Satana, rappresentato, come Apollo, sul carro infuocato del sole, e celebra la sua vittoria definitiva su Geova e sulla religione che per secoli ha tenuto in catene la ragione e il libero pensiero.

vv. 189- 200 (Inno a Satana)

Passa benefico
Di loco in loco
Su l’infrenabile
Carro del foco.

Salute, o Satana,
O ribellione,
O forza vindice
De la ragione!

Sacri a te salgano
Gl’incensi e i vóti!
Hai vinto il Geova
De i sacerdoti

Fonte immagine per l’articolo sull’Inno a Satana di Giosuè Carducci: https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Signorelli#/media/File:Luca_signorelli,_cappella_di_san_brizio,_dannati_all%27inferno_05.jpg

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