La lingua cinese e l’apprendimento dell’italiano L2 da parte di sinofoni

La lingua cinese e l’apprendimento dell’italiano L2 da parte di sinofoni

Quando in italiano si utilizza il termine “cinese“, in riferimento alla lingua cinese, in realtà ci si riferisce ad un sistema comprendente varie “lingue o dialetti cinesi”, di cui esso rappresenta un segmento, una parte, corrispondente al “cinese moderno standard”, definito anche “cinese mandarino moderno”. Il cinese così inteso è strumento di comunicazione per oltre un miliardo di persone, costituisce la lingua ufficiale della Repubblica Popolare Cinese e di Taiwan; in una realtà, che è stata fino al ventesimo secolo essenzialmente dialettofona, è oggi la lingua utilizzata nella comunicazione di massa e nell’istruzione, comprese pure l’università e le scuole di lingua per stranieri.

Dal punto di vista tipologico, il cinese presenta diverse “somiglianze” con molte lingue del Sud- Est asiatico, come il vietnamita o il thai. In relazione all’idioma di coloro che vivono e lavorano in Italia, sostanzialmente queste persone non sono in possesso di competenze nella lingua standard, al contrario, spesso non la conoscono ed utilizzano i dialetti parlati nella zona da cui provengono. Chiaramente, questa non è la situazione degli studenti cinesi che si iscrivono alle università italiane, in quanto, essendo il cinese standard lingua dell’istruzione, ne hanno una certa padronanza.

Tra le caratteristiche particolari della lingua cinese da evidenziare sono quelle legate alla fonologia, fra cui il carattere tonale: nel cinese standard ad una sillaba possono essere associati quattro diversi valori tonali. A proposito della sillaba, la sua struttura in cinese si presenta piuttosto semplice, in quanto può essere costituita dal solo nucleo vocalico o, per esempio, in coda può avere solo consonanti nasali, come nel caso delle parole nán ( sud) o bāng ( aiutare).

Rispetto alle lingue europee, inoltre, l’inventario relativo alle sillabe è limitato a 405 sillabe; di conseguenza, vi è una certa difficoltà -da parte degli apprendenti cinesi, come dimostrato anche da numerosi studi- nell’apprendimento del sistema fonologico dell’italiano, che presenta strutture sillabiche articolate. Da tenere in considerazione pure l’assenza di alcuni suoni nella lingua cinese, come le sonore [v] e [d], resi come [f] e [t] e la resa di ogni suono consonantico come attacco di una sillaba, che ha un ruolo molto importante nell’organizzazione della catena del parlato.

Riguardo l’aspetto morfologico, il cinese viene fatto rientrare nel sistema delle lingue isolanti, assurgendo spesso ad esempio di tale tipologia. Fra le caratteristiche di queste lingue, la tendenza alla corrispondenza morfema/parola, poca morfologia. Ancora, un ordine delle parole rigido, in quanto i ruoli sintattici di soggetto, oggetto ecc vengono identificati tramite la posizione nella frase e la funzione del lessico per la costruzione di quella che viene definita la “cornice” tempo-aspettuale. Si tende a definire il cinese una lingua con parole semplici, cioè senza struttura morfologica interna (come, per esempio, la parola italiana mai), in realtà si hanno parole composte da due o più morfemi, con una corrispondenza tra morfema e morfo, tra unità di significato e forma linguistica concreta.

Nella “combinazione” tra nomi e aggettivi non vi è accordo, per cui gli aggettivi non subiscono modifiche. Il nome non possiede i tratti del plurale e il genere non è una proprietà di tutti i nomi umani/animati. Per quanto concerne quelli inanimati, non vi è distinzione di genere, a cui viene fatto riferimento attraverso il pronome anaforico di terza persona singolare, che presenta forme omofone (). L’appartenenza alla tipologia delle lingue isolanti risulta essere importante nella sintassi e si riflette in quello che è l’ordine dei costituenti di un enunciato. In cinese, esso è l’unico elemento che permette l’identificazione del soggetto e dell’oggetto diretto della frase; l’ordine delle parole permette di identificare i vari elementi dell’enunciato come nomi, aggettivi, verbi, avverbi.

Altra caratteristica del cinese è la funzione del topic, elemento fondamentale nella sintassi di questa lingua, in quanto esso è sempre il primo elemento nella frase. Fra l’altro, visto che nella lingua cinese non esiste accordo, il soggetto non corrisponde all’elemento con cui il verbo si accorda, per cui vi possono essere frasi con un topic senza soggetto.

Altre differenze tra la lingua cinese e l’italiano L2

Un’ ulteriore differenza tra la lingua italiana e quella cinese sta nella resa dei segni grafici, che non veicolano solo un suono, ma anche un significato; ogni carattere coincide inoltre con un morfema, il che significa che esso è un’unità grafica, a cui “risalgono” una sillaba -da intendersi come unità sonora- e un morfema, che rappresenta invece un’unità di tipo semantico. Un carattere-sillaba rappresenta quindi una parola, da intendere però come monomorfemica, dunque non scomponibile. In più, la maggior parte dei caratteri cinesi ha un significato lessicale, da cui deriva la mancanza, per esempio, di flessione e derivazione, nonché della distinzione tra parti del discorso. Da qui consegue una difficoltà, da parte degli apprendenti cinesi, in relazione al vocabolario dell’italiano, che presenta molte parole semplici, con una ricca morfologia flessiva. Ulteriore difficoltà nell’apprendimento dell’italiano L2 viene ad essere costituita dall’assenza di fenomeni tipici delle lingue flessive, come l’alterazione.

Anche il verbo cinese è caratterizzato da un’unica forma, non ha distinzioni di numero, persona, tempo e modo: ciò ha come “conseguenza” il fatto che il nome o il pronome soggetto coincidono con chi/ciò che compie l’azione e che l’aspetto o collocazione temporale dell’azione vengono espressi da elementi lessicali come nomi o avverbi. Pure il modo del verbo viene espresso attraverso l’utilizzo del lessico; l’aspetto “verbale”, invece, è reso nella lingua cinese da morfi particolari e specifici ed esso è indipendente dalla collocazione dell’evento nel presente, passato o futuro. Da ricollegare alla mancanza/assenza di flessione è il ” fenomeno” secondo cui in cinese non vi è distinzione tra forme finite e non finite: questo fa sì che vi sia, in sinofoni con un basso livello di competenza nell’italiano L2, l’uso dell’infinito come verbo principale e ha come effetto pure la mancanza dell’accordo in relazione alla persona. L’unica forma di accordo è quella data dal pronome di terza persona singolare , alle cui tre forme grafiche corrispondono i tre generi maschile, femminile e neutro.

Passando agli enunciati/frasi della lingua cinese, in precedenza si è evidenziato che normalmente, nella frase, il soggetto precede il verbo, seguito da un oggetto, per cui si riconosce la struttura soggetto/verbo/oggetto, anche se vi sono altre costruzioni in cui l’ordine di disposizione degli elementi costituenti della frase cambia. In ogni caso, l’elemento che compare in prima posizione è sempre il topic, per cui si hanno frasi nelle quali manca il soggetto, ma il topic è presente.

Riguardo la subordinazione, molto è da ricollegare all’assenza della distinzione tra forme finite e non finite nel cinese, il che conduce, spesso, specialmente nelle prime fasi di apprendimento di LS, all’utilizzo di forme all’infinito e all’assenza di connettori; questi vengono resi attraverso l’uso di come, che rappresenta una marca di subordinazione polifunzionale.

Una difficoltà per l’apprendente cinese di italiano L2 viene rappresentata, nell’ambito della subordinazione, dalla frase relativa, che in cinese presenta un ordine opposto di relativa e nome, e la cui produzione è meno libera, in quanto il punto di attacco di una relativa può essere solo un nome comune, non un pronome o un nome proprio. Invece di tale “costruzione”, nella lingua cinese si hanno altre costruzioni, come le coordinate, che vengono utilizzate largamente nel cinese lingua materna.

Da quanto esposto, concludendo, si può dire che per gli apprendenti cinesi, la lingua italiana rappresenta, presuppone qualche difficoltà in più, soprattutto per ciò che concerne alcune categorie grammaticali, come il numero o il genere e in relazione alla morfologia flessiva.

Si possono indicare fondamentalmente tre motivi per cui l’apprendimento della morfosintassi italiana risulta essere difficoltoso per gli apprendenti cinesi:

  • Ha un “riflesso” sulla morfologia, se si prende in considerazione l’aspetto fonetico-fonologico, il fatto che, a differenza della lingua cinese -che ha soprattutto parole monosillabiche o bisillabiche- l’italiano ha invece parole polisillabiche, che appaiono essere, per un apprendente cinese, parole lunghe;
  • In cinese, si fa ricorso, dal punto di vista semantico, al meccanismo della composizione, il che, nell’apprendimento dell’italiano, procura difficoltà nella decodifica del significato dei lessemi “prodotti” attraverso la derivazione (tipica nell’italiano);
  • Se si tiene conto dell’aspetto grammaticale, la difficoltà maggiore per un apprendente cinese è costituita dalla categorizzazione in classi di parole, tipica della lingua italiana, che non esiste nel “sistema” della lingua cinese: in questa lingua, uno stesso morfema può essere nome o verbo, senza cambiare forma, in base alla posizione sintattica e i morfemi liberi esprimono valori funzionali, che in italiano sono “affidati” alla morfologia.

Fonte immagine in evidenza: Pixabay

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