La novella delle papere. L’autodifesa di Boccaccio

La novella delle papere

La novella delle papere serve a Giovanni Boccaccio sia per ribadire gli ideali del Decameron che per rammentare l’irresistibile forza dell’amore.

Il Decameron di Giovanni Boccaccio è una delle opere più celebri della letteratura italiana medievale. Summa della tradizione novellistica, l’opera dell’autore certaldese raccoglie novelle diverse per trama, ambientazione temporale, collocazione geografica e genere: avventura, dramma, fiaba, beffa… tante narrazioni diverse legate da un solo e unico collante: l’amore.

Che assuma l’aspetto della generosità di Federigo degli Alberighi, della follia di Elisabetta da Messina o della pura carnalità con sfumature comiche come nelle novelle raccontate da Dioneo, il più spinto e “anarchico” membro della brigata dei narratori, rappresenta una necessaria costante per la macchina narrativa di Boccaccio.

Ma fu proprio il voler focalizzarsi su questa tematica tanto cara alle donne, destinatarie principali dell’opera, a procurare a Boccaccio non poche critiche da parte di molti detrattori. Ciò lo costrinse a scendere in prima linea per difendere i valori della sua opera e, proprio come fanno i suoi giovani narratori, risponde raccontando una novella: la novella delle papere.

La novella delle papere. L’Introduzione alla quarta giornata

Nell’Introduzione alla quarta giornata Boccaccio sospende la narrazione che fa da cornice al Decameron, quella della brigata, per prendere lui stesso la parola. Assieme al Proemio e alla Dedica alle donne rappresenta la terza occasione in cui è l’autore a parlare in prima persona.

Rivolgendosi alle «Carissime donne», Boccaccio dichiara che l’«impetuoso vento e ardente della ‘nvidia» si è scagliato sulle sue novelle che circolavano ancor prima che il Decameron fosse ultimato, finendo per essere accusato dai «savi uomini» di curarsi fin troppo del genere femminile e dell’amore in un età in cui non dovrebbe farlo più (Come spiega anche nel Proemio, Boccaccio ha quasi 40 anni quando scrive il Decameron). Egli dovrebbe piuttosto volgere le sue attenzioni alle «Muse in Parnaso» lasciando perdere la stesura di narrazioni di lingua e argomenti umili come le novelle e dedicarsi alla poesia, l’unico genere degno di conferirgli dignità letteraria.

Ci sono poi altri detrattori che lo accusano di scrivere novelle ispirate a fatti non veri e altri ancora che lo invitano «ad aver del pane» invece di perder tempo dietro a queste «frasche»: dovrebbe guadagnarsi da vivere come ogni essere umano normale e smetterla di perdere tempo dietro a queste sciocchezze.

Boccaccio decide di rispondere a ognuna di queste accuse raccontando la novella delle papere, da molti critici designata come la centunesima della raccolta.

Trama

Un tempo a Firenze viveva un tale Filippo Balducci, uomo benestante sposato con una donna che amava moltissimo. Quando ella morì le lasciò un figlioletto che Filippo, afflitto dal dolore, decise di portare con sé sul «monte Asinaio» (il monte Senario, nei pressi del Mugello) per dedicarsi alla vita da eremita. I due trascorrono la vita all’interno di una celletta, in completa solitudine ed estranei a tutto ciò che accade nel mondo.

Trascorrono gli anni e il figlio di Filippo è divenuto maggiorenne. Sapendo che il padre, oramai anziano, si reca spesso a Firenze per sbrigare alcune faccende si offre di seguirlo per aiutarlo. Non conoscendo però nulla del mondo esterno il ragazzo gli chiede continuamente di illustrargli tutte le cose che gli passano sotto gli occhi: i palazzi, le case, le chiese.

E proprio da una di queste chiese si riversa per strada «una brigata di belle giovani donne ornate» (aggettivi che indicano l’appartenenza alla nobiltà), di ritorno da un matrimonio appena celebratosi.

Il ragazzo non riesce a distogliere lo sguardo da loro e chiede spiegazioni a Filippo il quale gli risponde che si tratta di «papere», cercando di sopprimere in lui qualsiasi appetito sessuale. Tutto inutile perché egli, folgorato da quella visione quasi angelica e addirittura più bella degli stessi angeli dipinti che il padre gli ha mostrato sin da quando era piccolo, vorrebbe tanto «avere una di quelle papere» così da «darle a beccare».

La novella si chiude con un finale aperto dove Filippo, tentando invano di contenere l’entusiasmo del figlio, si pente di averlo portato con sé in città.

Le fonti de La novella delle papere

La novella delle papere non viene inventata da Boccaccio di sana pianta. Egli si ispira alla Storia di Barlaam e Iosafas, una traduzione in latino della Vita di Buddha risalente al IX secolo e che fu usata da molti autori cristiani come exemplum, un racconto morale che fungeva da ammonimento. In questo racconto si narra di un principe che vive in isolamento fino alla maggiore età e che una volta portato in città a scoprire il mondo rimane affascinato da quello che i suoi precettori chiamano “demoni”, ma che lui considera come la cosa più bella che abbia mai visto: le donne.

Se la fonte originale è caratterizzata da una misogina di fondo che tende, è il caso di dirlo, a demonizzare l’intero genere femminile in quanto discendente diretto di Eva, con la novella delle papere Boccaccio vuole invece ribadire la propria fedeltà a quel mondo fatto di baci intensi, di unioni passionali di membra (sottolineato dall’ambiguo desiderio del figlio di Filippo di “dar da beccare a una papera”) e, soprattutto, di amore.

Non a caso la novella delle papere si può leggere come un’iniziazione all’amore e ai suoi misteri, celebrato come rito della giovinezza e della vita in netta opposizione alla severa moralità di cui si circonda Filippo Balducci il quale, morta la moglie, risponde al lutto sbarazzandosi delle proprie ricchezze per divenire monaco. Sembra quasi che Boccaccio, come nota anche Giuseppe Toscano, usi la figura di Filippo per prendersi gioco del mondo clericale (già abbastanza messo alla berlina in molte novelle del Decameron), riprendendo le circostanze biografiche che portarono Iacopone Da’ Todi a prendere i voti: la morte della moglie e la rinuncia alle proprie ricchezze.

La risposta alle accuse

Ma in tutto questo discorso come si inserisce la novella delle papere nell’autodifesa di Boccaccio? È lo stesso autore a dircelo.

Innanzitutto Le novelle del Decameron non nascono soltanto dalla voglia di narrare e di portare avanti una tradizione che ha i suoi precedenti nella letteratura orientale (in primis Le mille e una notte), ma anche perché dettate da quella forza irresistibile e a cui nessun essere umano può sottrarsi che è l’amore. Ognuno di noi, così come accade al figlio dell’eremita, difficilmente resiste al dolce viso e alle belle forme di una donna. Lo stesso vale anche per Boccaccio, il quale sarà sempre dalla parte delle donne (nonostante un’opera tarda come Il Corbaccio rappresenti il tradimento dei suoi ideali).

Nella stessa prospettiva va letta anche la risposta alla seconda critica, quella dell’età avanzata. Boccaccio ricorda che persino i poeti considerati “grandi” dagli uomini di cultura hanno scritto d’amore quando, in teoria, non avrebbero dovuto più farlo: Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti e, ovviamente, Dante. Inoltre uno scrittore non può starsene sempre e soltanto a versificare, come suggeriva l’immagine delle «Muse in Parnaso», ma ha l’obbligo e il dovere di sperimentare continuamente nuovi generi. Anche quelli bassi e umili, come la novella.

Ma la risposta più appassionata viene data a tutte quelle persone che lo hanno invitato a trovarsi un lavoro serio per portare il pane a casa, invece di stare sempre a scrivere: gli scrittori sono già ricchi. Essi posseggono un patrimonio immenso, costituito dalle poesie e dalle prose che leggono e scrivono e che gli danno la possibilità di essere immortali, al contrario di molti che «nel cercar d’aver più pane, che bisogno non era loro, perirono acerbi». Al mondo del commercio, di cui lo stesso Boccaccio faceva parte e che non sempre era visto di buon occhio nel medioevo (i mercanti, accumulando ricchezze, si allontanavano dagli ideali pauperistici del cristianesimo), si oppone quello della letteratura, che pur non arricchendo l’uomo materialmente lo arricchisce nell’animo con la saggezza.

Ultima, ma non meno importante, la risposta alla presunta veridicità delle novelle: «Quegli che queste cose così non essere state dicono, avrei molto caro che essi recassero gli originali». Boccaccio è sicuro di quel che scrive e invita i suoi detrattori a portargli i testi originali che ovviamente non esistono, per cui l’accusa finisce per essere infondata.

Fonte immagine: Google immagini

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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