La Prigione di Abashiri: dal diciannovesimo secolo ad oggi

La Prigione di Abashiri: dal diciannovesimo secolo ad oggi

L’inespugnabile prigione di Abashiri (Abashiri Keimusho網走刑務所) nacque per esigenze di tipo politico e per problemi legati al tasso di sottopopolazione della zona a quei tempi.

Nacque come semplice carcere, principalmente per samurai del periodo Tokugawa, ma il ruolo simbolico attribuitogli, così come gli accadimenti a cui è stato relegato fino ad oggi, hanno adescato un ricco interesse verso produttori cinematografici e turisti, che oggi visitano Abashiri per saperne di più della fantomatica prigione, tra leggenda fusa a momenti aspri della sua storia.

Come anticipato, la prigione di Abashiri è stata eretta nei pressi dell’omonima città di Abashiri, in Hokkaido, l’isola del Giappone più a nord. Fu completata ufficialmente nel 1890, dopo il frangente storico ricordato come Restaurazione Meiji (1866 – 1869). Ne seguì una struttura sociale e politica completamente diversificata rispetto al precedente periodo Tokugawa. Sommariamente, si abbandona il bakufu 幕府, o shogunato, a favore del ripristino dell’autorità imperiale.

Tracciarne le coordinate temporali e spaziali è fondamentale affinché si riesca a comprendere la stessa edificazione del nostro soggetto in esame.

Quella di Abashiri è la prigione più a nord del Giappone, nelle prossimità del fiume Abashiri e ad est del Monte Tento. Oltre a ragioni di tipo politico, come affermato nell’introduzione, vi era il problema del territorio sottopopolato. Ricordiamo inoltre che vi fossero tensioni con l’Impero russo, per cui sviluppare la terra il più in fretta possibile si rivelò un’opzione valida per preservare la zona dell’Hokkaido.

Nell’aprile del 1890, furono spediti in custodia del carcere migliaia di samurai arrestati durante la ribellione di Satsuma del 1877, controffensiva generata dal senso di insoddisfazione dei guerrieri verso il nuovo governo Meiji. Tra questi vi erano molti crimini di matrice politica legati a movimenti che si generarono in seguito alla stessa Restaurazione.

Per quanto si trattasse di prigionieri, grazie al loro contributo si è assistito ad un’implementazione dell’Hokkaido, tanto quanto dell’impianto stradale che serviva a congiungere la zona di detenzione con l’area meridionale dell’isola. I lavori forzati, a cui erano sottoposti i detenuti, rendevano le condizioni di vita di questi ultimi davvero ostiche, infatti durante la realizzazione della strada che congiunge Abashiri ad Asahikawa morirono tantissimi uomini sopraffatti dalla dura vita a cui andarono incontro. Ad oggi questa strada è stata ricordata con il nome, con un background parecchio oscuro, di Strada dei Prigionieri, in giapponese Shuujindouro 囚人道路.

L’intervento della popolazione locale e di studiosi durante gli anni ’60 contribuì alla riscoperta della storia della prigione in relazione a questi tragici episodi e ne promosse la diffusione. Ciò avvenne tramite l’aiuto offerto nel prelevare i resti dei poveri prigionieri collassati durante l’edificazione della strada.

Erano condizioni davvero ardue quelle nella prigione di Abashiri dei primi tempi: si moriva di malnutrizione, mancanza di risorse e incidenti spiacevoli. I samurai erano anche tenuti a costruire dighe, serbatoi d’acqua e condutture per potersi garantire acqua potabile utile al proprio sostentamento e irrigazione dei campi limitrofi. Fortunatamente, la qualità di vita al suo internò finì col migliorare, al punto che la prigione stessa divenne modello da cui prendere esempio.

Purtroppo, nel 1909 un terribile incendio portò alla distruzione di parte dell’opera originale, ma lavori di ristrutturazione garantirono la sua sopravvivenza. Nel 1912 furono ultimati, e nel 1984 avvenne una rilocalizzazione della prigione, che fu poi battezzata come Museo della Prigione di Abashiri.

Le operazioni all’interno del carcere, infatti, si tennero solo fino al 1984, per poi proseguire in uno nuovo che fu messo su non molto lontano dalla zona dell’attuale museo.

La pianta della prigione di Abashiri è unica nel suo genere, ricca di influenze stilistiche sia giapponesi che occidentali. Analizziamo alcune delle sezioni più rappresentative.

La divisione della prigione di Abashiri

1. Edificio dell’Amministrazione

Come suggerisce il nome, era il cervello dell’organizzazione del carcere. Racchiudeva l’ufficio del custode, una sala per le riunioni e uffici per la Divisione degli Affari Generali, Divisione di Detenzione, Divisione per gli Approvvigionamenti, Divisione per l’Educazione e quella per i lavori carcerari.

Lo stile architettonico è accuratamente in linea con quello del tipico edificio governativo dell’era Meiji (1868 – 1912). Forbito di bellissimi dettagli e da un’illuminazione che sembrava non lasciar mai avanzare il buio della notte, si parlava di un luogo insonne in una terra lontana.

2. Sezione Futamigaoka

Nel momento in cui abbiamo introdotto il quadro storico di riferimento, si è citato il ruolo degli approvvigionamenti che era centrale al fine del sostentamento dei prigionieri, che purtroppo non avevano potuto contare sin da subito su adeguate risorse. Questa sezione, rappresentava il cuore agricolo e produttivo della prigione di Abashiri e ha il primato di essere costituita dai più vecchi edifici carcerari puramente in legno.

Costruita su una zona collinare, vanta di un bellissimo panorama sul lago Abashiri e il lago Notoro.

3. Sala delle Letture

Probabilmente uno dei luoghi più rappresentativi della prigione. In kana giapponesi きょうかいどう.

Coloro che venivano incarcerati non venivano abbandonati ai loro errori, ma si cercava di riformarli ed impartire loro precetti, in linea anche con la moralità cristiana e buddista, che garantissero loro una via di fuga da recidività o semplicemente, da uno stile di vita all’insegna del crimine. Ministri cristiani e monaci buddisti coadiuvavano al fine di raggiungere il loro obiettivo.

Cardinale anche in termini artistici, in cui si riflette la forte influenza occidentale. In simbiosi con la tradizione locale, un risultato intensamente particolareggiato. Degno di nota è il timpano, su cui di ritrova un ornamento unico a forma di pesce con delle pinne a forma di foglie: è un esemplare di pesce sacro chiamato hiretsuki gekyo.

4. Casa della Prigione e la Casa della Guardia Centrale

La sezione più emblematica dell’intero edificio. Le prigioni si ramificano in 5 edifici a raggiera che partono tutti da un centro comune. Questi vengono chiamati come le 5 ali irradiate. Le diverse case sono numerate da nord a sud, e la quarta e la quinta presentano celle di isolamento per gli individui più temuti o ricercati dall’esterno. La Casa della Guardia, invece, si presenta come un classico gabbiotto in forma ottagonale che garantisce un ottimo monitoraggio dei vari passaggi legati alle varie celle.

Questo enorme plesso carcerario è confinato ad accadimenti piuttosto spiacevoli, come la morte dei detenuti per punizioni oltremodo dolorose e sovraffaticamento degli stessi. Però vantava di punti di forza, quali il suo sistema di sicurezza che impediva ogni forma di evasione.

Ed è in relazione a questa concezione generale che un anti-eroe potè affermarsi.

Shiratori Yoshie

Nato nella prefettura di Aomori nel 1907, Shiratori Yoshie ha ottenuto la fama di cui tutt’oggi gode grazie ai suoi ben 4 tentativi di evasione da diverse prigioni della terra nipponica. Ognuno di questi si rivelò un successo.

Dopo la sua seconda fuga e terzo arresto, fu inviato nella famosa prigione di Abashiri. Per quanto vi sia un fondo di verità, è molto probabile che alcuni dettagli siano stati ingigantiti fortemente, così da riproporre una storia al limite della leggenda. Scopriamo insieme cose accadde quel fatidico 1943.

Shiratori fu trasferito in suddetto carcere e fu un detenuto sottoposto a condizioni piuttosto speciali: aveva manette che non potevano essere in alcun modo tolte senza l’intervento di uno specialista che si recava una volta a settimana nella sua cella per poterlo liberare, così da permettergli di fare il bagno. Per rimuoverle ci voleva all’incirca due ore! Tra l’altro, la sua cella era all’aperto e sottoposta a temperature molto rigide, tipiche dell’Hokkaidō, e sorvegliato da guardie pronte a pestarlo laddove dovesse provare ad alzarsi.

A quanto pare tali sforzi non furono sufficienti: Shiratori puntò a liberarsi delle manette corrodendole. Attuò tale idea con le svariate porzioni di zuppa di miso servitegli.

Poi, il 26 agosto 1944, si lussò entrambe le spalle, permettendogli di entrare nello stretto spazio per il cibo nella porta della cella. Così fuggì dalla prigione, usando un blackout in tempo di guerra come copertura. Del resto era nel pieno del Secondo Conflitto Mondiale. Si rifugiò in una miniera per due anni, finché non apprese della resa del Giappone. Si diresse verso un villaggio a sud, inizio di ulteriori peripezie.

Nella cultura di massa

Così come ogni luogo recondito divenuto influente nella cultura generale del Paese, la prigione di Abashiri ha incuriosito registi, produttori dell’industria videoludica e perfino mangaka.

Nel 1965, ad inaugurare il genere cinematografico Yakuza, esordì Abashiri Bangaichi, tradotto dall’inglese in “La Prigione di Abashiri”. Star protagonista fu l’attore Takakura Ken, che in coppia con il regista Ishii Teruo riscosse enormi guadagni ai botteghini. La pellicola del 1965 fu solo la prima di una lunga serie.

Nel 2012 fu pubblicato il quinto capitolo della famosa saga di videogiochi Yakuza: Yakuza 5. Durante il corso della trama si vedrà far luce sul noto carcere.

Nel 2014 esordisce il manga storico e seinen Golden Kamuy di Satoru Noda, che vedrà la prigione di Abashiri ricoprire un tassello centrale per la fitta rete di nodi che si genereranno durante l’incredibile storia.

Fonte immagine in evidenza: Wikimedia Commons

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