L’arte giapponese in Van Gogh: il sogno nipponico

L'Arte giapponese in Van Gogh: il sogno nipponico

L’arte giapponese in Van Gogh, uno dei pittori più influenti dell’Europa, ha influenzato ampiamente la sua tecnica artistica basata sull’ideale di un mondo che, anche se non è riuscito a vedere con i suoi stessi occhi, era stimato e apprezzato proprio per le minuzie tipiche nipponiche fuori dalla portata degli impressionisti occidentali.

Che cos’è l’impressionismo

L’impressionismo è un movimento artistico nato in Francia nella seconda metà del XIX secolo, insediatosi in particolar modo a Parigi, luogo di ritrovo di artisti, letterati e intellettuali. Il precursore dell’impressionismo fu Édouard Manet, il quale vide il passaggio dalla visione dettagliata e ferma del realismo a un modo di dipingere dinamico, movibile, di forte trepidazione e passione afferrando nel fenomeno visivo la forma, il colore, e la luce della semplice realtà quotidiana, volenterosa di narrare la spensieratezza dietro il retroscena di afflizioni della vita.

L’arte giapponese in Van Gogh: Le lettere a  Theo

La raccolta epistolare di Van Gogh al fratello Theodorus Van Gogh, scritta dal 1872 al 1890, contiene una dichiarazione del pittore olandese nella quale rammenta della nascita della sua nuova tecnica artistica ispirata dall’arte giapponese, personificata visibilmente nel suo autoritratto realizzato nel 1888 dedicato a Paul Gauguin, in cui c’è una rappresentazione insolita di se stesso: 

L'Arte giapponese in Van Gogh: il sogno nipponico
Fonte immagine: Wikipedia

Egli sosteneva di aver inclinato gli occhi come i giapponesi, modellato la testa in un’impastatura massiccia su uno sfondo chiaro in una quasi totale assenza di ombre: incorpora in questo autoritratto l’esaltazione della sua personalità non come risultato della rappresentazione di un semplice impressionista occidentale, ma quanto più concepisce il ritratto come quello di un monaco buddista. Le parole di Van Gogh aprono un panorama molto più vasto sull’arte giapponese, in cui entra in un intimo ambito discorsivo e esplica la sua ammirazione verso i giapponesi.

Cosa afferma Van Gogh sull’arte giapponese?

L’arte giapponese in Van Gogh prende una piega poetica ricca di significato: nelle rappresentazioni pittoriche nipponiche, Vincent vedeva lo studio del singolo filo d’erba, in quanto poi si formava l’interezza del dipinto dalle piante, dai tratti dei paesaggi, le stagioni, gli animali e poi dalla figura umana. C’è stupore da parte del pittore olandese di come i giapponesi riuscissero a congiungersi con la natura in maniera così spontanea e semplice tanto da sembrar fiori loro stessi, secondo le sue parole. Ammirava la loro chiarezza e la cura che mettevano nei loro lavori apparentemente sempre stimolanti e fatti nelle giuste tempistiche. Sostanzialmente l’arte giapponese non ha soltanto formato il suo stile, ma anche l’ideologia. 

Fonte immagine: Wikipedia

In uno dei suoi dipinti più famosi, prendiamo in analisi L’Autoritratto con l’orecchio bendato realizzato nel 1889, laddove dopo aver avuto l’ennesimo diverbio con colui che era uno dei suoi più cari amici, ossia Gauguin, si recise il lobo del suo orecchio sinistro e successivamente, in ospedale, crea l’autoritratto.

I colori freddi e la pesante rivestitura costituita dal cappello e dal cappotto alludono al vuoto e al senso di estraneità che si ritrovava ad interfacciare Van Gogh in questo periodo così tumultuoso e tormentato circondato da una società che ormai lo aveva omologato come una persona instabile. Insieme all’angoscia persistente che trasmette il dipinto, non mancano però le xilografie giapponesi sullo sfondo, ritraenti l’immagine leggiadra di due geishe in un paesaggio.

Fonte immagine: Wikipedia

Questo dipinto si chiama Donna al Cafè Le Tambourin ed è stato realizzato nel 1887, in cui viene rappresentata l’amante di Van Gogh, Agostina Segatori, con la quale ebbe una breve storia d’amore. Malgrado l’atmosfera nebbiosa e gli occhi persi della donna suggeriscano una grande malinconia, ritroviamo ancora una volta il ribadimento dell’arte giapponese in Van Gogh come imperitura passione con la presenza di due geishe sullo sfondo.

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Il ponte di Langlois, a differenza dei precedenti quadri nei quali Van Gogh configura un’era della sua vita di logorio e inquietudine, quest’ultimo tratteggia un periodo per lui felice e gioioso. La locazione nella quale adagia questa composizione artistica è un paesino di nome Arles, in cui lui si rifugia per allontanarsi dall’atmosfera turbinosa di Parigi. Nelle lettere a Theo rinomava il piccolo paesino per i colori vivaci e la cromaticità perfetta che secondo lui rappresentavano a pieno le stampe giapponesi; difatti la visione di questo luogo era oltremodo simile a quello che lui immaginava della dimensione nipponica, entusiasta di aver raggiunto un luogo che potesse essere tanto bello quanto il Giappone.

La quasi ossessione dell’artista, motivo per cui venne abbastanza criticato, è la prova che l’arte e la cultura, l’identità nazionale e personale non si progrediscono presso un’unica entità ma da una pluralità di fattori. Fu così che l’arte giapponese in Van Gogh ha fatto sì che arrivasse alla consapevolezza secondo cui egli come identità personale non è il risultato di un’unica cultura o nazione: ciò lo ha espresso in modo coinciso nell’autoritratto del 1888, dove si vede un Van Gogh che si riconosce così tanto con i giapponesi da rappresentarsi come tale.

Fonte immagine di copertina: Pixabay

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