Medea di Seneca, quando la passione vince

Medea di Seneca, quando la passione vince

Medea di Seneca: la tragedia e il personaggio. Approfondimento

Medea è una delle preziosissime nove tragedie di argomento greco scritte da Lucio Anneo Seneca, le uniche pervenuteci dell’intera letteratura latina. La Medea di Seneca trae ispirazione dall’omonima tragedia greca di Euripide e ne condivide la trama.

La trama

Giunto nella Colchide presso il Tempio del Sole alla ricerca del Vello d’oro che qui era custodito, accompagnato dagli arditi e valorosi Argonauti, Giasone incontra Medea, figlia di Eeta, re della Colchide, e di Idia.

Dopo aver ascoltato il motivo dell’impresa di Giasone, folgorata dalla sua bellezza, la donna è disposta a tutto pur di aiutarlo. Lo ravvisa sulla crudeltà del padre e gli promette di mostrargli il modo per conquistare il vello senza rischiare la vita.

Medea  uccide il terribile drago custode e conquistata la desiderata preda, Giasone la fa sua sposa per poi scappare.  Ma seguiti da Eeta, per aver maggior tempo a disposizione, Medea fa in mille pezzi suo fratello Apsirto spargendo i resti delle sue membra dietro di sé così da ostacolare il cammino del padre fino a indurlo a cessare di rincorrerla.

Imbarcatasi sulla nave Argo insieme al marito e agli Argonauti, Medea giungerà a Corinto dove vivrà insieme al consorte con cui avrà due figli. Dopo alcuni anni Creonte, Re di Corinto vuole concedere sua figlia Glauce in sposa a Giasone, dando a quest’ultimo il diritto di salire al trono. Giasone decide di sposare la giovane e ripudiare Medea, resosi conto di non poter contare su di lei come moglie e in nome dell’amore per i suoi figli.

Il dolore del tradimento acceca Medea e alimenta la sua atroce vendetta. Intimata da Creonte a lasciare Corinto, chiede al re di concedergli un ultimo giorno presso la città per poter dire addio ai figli avuti con Giasone. Fingendosi rassegnata, Medea dapprima si vendica di Glauce inviandole come dono nuziale, per mezzo dei suoi due figli, un mantello infettato di “magici veleni”.

Ignara di ciò, la novella sposa lo indossa morendo tra gli spasmi. Analoga sorte spetta al padre Creonte, che corso in suo aiuto, perisce avvelenato. Ma a Giasone spetta il male peggiore. L’ultima scelleraggine viene compiuta: Medea uccide prima uno e poi l’altro figlio. Infine, a bordo del Carro del Sole fugge ad Atene.

Giasone a causa di queste terribili vicende, non potendo sopportare il dolore, si uccide.

Medea, l’analisi del personaggio

Medea è una delle personalità più dirompenti e complesse della mitologia greca. Figlia del Sole, maga dai poteri malefici, demoniaca e passionale, il suo nome deriva dal greco e significa “astuzia” , la sua indole è scaltra e vendicatrice.

Oltre alla tragedia senecana ed euripidea, la tradizione classica vanta vari autori che trattarono il mito di Medea: Apollonio Rodio, Draconzio e lo stesso Ovidio che ce ne racconta nelle Metamorfosi e nelle Heroides.

Ognuno tratta il mito di Medea da una prospettiva singolare, cogliendo di volta in volta una sfaccettatura diversa della sua personalità; ma tutti, unanimemente ritraggono in lei la figura  dell’amante tradita e ne evidenziano una  natura ora cruenta e spietata ora tormentata e impaurita, più o meno giustificata dal suo incommensurabile dolore. Seneca appare invece particolarmente severo nei suoi confronti.

Le sue tragedie sono solite mettere in scena le dinamiche della passione: in Medea la protagonista uccide i propri figli sotto gli occhi degli spettatori. Lo stesso Giasone diventa vittima e spettatore.

L’innovazione senecana rispetto al dramma antico (in cui il lutto veniva narrato da un nunzio) sembra avere l’intento preciso di mettere in evidenza  lo sfogo della passione, la sua genesi e le sue drastiche conseguenze.

La Medea di Seneca non è più la disperata e abbandonata moglie distrutta dal dolore raffigurata da Euripide, ma colei che non riesce a tenere a freno il proprio furor e si lascia vincere da esso. A nulla servono le preghiere del coro né gli ammonimenti della nutrice, è decisa fin dall’inizio a dover dar corso alla sua vendetta. Di fronte a tale spietatezza anche Giasone appare diverso, non è più l’insensibile traditore, ma un uomo angosciato, colpito dalla pietas nei confronti dei suoi figli, consapevole di essere in parte responsabile della loro morte.

La durezza di Seneca nei confronti di Medea è ben giustificabile se si attua un’analisi della passione che guida la moglie nel compimento del dramma. Medea viene colpita da quella malattia di spirito che gli stoici chiamavano pathos descritta da Seneca nel De ira come una forza inarrestabile, una bestia selvaggia. Ma se per gli stoici questa malattia sopraffà la volontà come un cavallo imbizzarrito, per Seneca questa forza subdola può essere domata dalla ragione prima che si concretizzi irreversibilmente in una malattia.

È esattamente quello che non fa Medea – usare la ragione – e in una prospettiva didattica ed educativa dell’opera, la figura dell’amante tradita diventa qui quella di un antiexemplum, un esempio negativo che vuole far meditare gli uomini sul male per salvaguardarli dall’infelicità.

È la passione il primo ostacolo alla felicità terrena e Medea, immobile fin dall’inizio nelle sue intenzioni è per Seneca un personaggio che ha scelto la sua perdizione. Non c’è pietà per lei.

Medea di Seneca e Medea di Euripide, il confronto

Mentre il dramma di Euripide del 431 a.C. ci presenta una Medea principalmente come una moglie tradita e sofferente, la versione di Seneca, scritta tra il 61 e il 62 d.C., offre una visione completamente diversa del personaggio.

Nella tragedia di Euripide, Medea è una donna disperata che denuncia il suo stato di abbandono. È una moglie tradita e un’eroina sofferente, poiché è concepita fin dall’inizio come un personaggio infernale, condannata prima ancora di compiere le sue azioni drammatiche. La sua condizione è tale da suscitare pietà e partecipazione da parte del pubblico, che la vede priva di parenti, protezione e difesa. Anche il Coro si schiera a suo favore, solidale con la sua sofferenza.

Nel dramma di Seneca, al contrario, Medea appare sin dall’inizio come un personaggio infernale e non le vengono riconosciute attenuanti. È descritta come completamente perfida e malvagia, senza alcuna considerazione per parenti, protezione o difesa. Questa rappresentazione fa emergere un sentimento diffuso di repulsione nei confronti di Medea.

Nella versione di Euripide, Giasone può apparire come un uomo crudele e insensibile, ma anche ingrato, poiché la abbandona nonostante tutto ciò che Medea ha fatto per lui. Tuttavia, le sue azioni sono giustificate da scuse valide, come il desiderio di condurre una vita dignitosa e ottenere la protezione di Creonte. Alla fine, Giasone appare innocente e buono, mentre Medea compie un gesto estremamente crudele uccidendo i propri figli.

Nella versione di Seneca, invece, Giasone è rappresentato come un uomo innocente e fondamentalmente buono. Le sue giustificazioni per il suo comportamento sono convincenti, e appare come un padre amorevole che mette al primo posto i suoi figli. Medea, d’altra parte, è presentata come una donna completamente perfida e malvagia, senza alcuna pietà.

Infine, nel finale delle due tragedie, le differenze sono evidenti. In Euripide, Medea fonda il culto dei figli uccisi, mentre la Medea di Seneca non sale sul carro del dio Sole e lei stessa completa il suo misfatto.

In copertina “Medea di Seneca” di Anselm Feuerbach. Fonte immagine: Wikipedia.

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