Le poesie di Antonia Pozzi tradotte da Aksana Danilčyk

Antonia Pozzi tradotta da Aksana Danilčyk

La traduzione dei versi di Antonia Pozzi in bielorusso ad opera di Aksana Danilčyk, poetessa e traduttrice, è un’operazione letteraria dal valore molteplice.[1]In primo luogo l’antologia costituisce un episodio della ricezione della poesia di Antonia Pozzi che valica i confini nazionali; in secondo luogo, l’antologia testimonia il riscontro di “affinità elettive” sia con l’io poetante di Aksana sia con la circostanza culturale bielorussa: la traduzione infatti è da collocarsi nel seno di una specifica operazione culturale in atto in Bielorussia che vede l’emergenza di una rinnovata attenzione rivolta alla sensibilità poetica femminile, con particolare riferimento a quella nazionale.

Interessanti a tal proposito le considerazioni di Larisa Poutsileva sulla poesia femminile contemporanea bielorussa: Poutsileva, antologizzando alcune poetesse (tra cui la stessa Aksana), propone un’analisi della poesia femminile posta in relazione alla circostanza politica attuale del paese, per cui si evidenzia, in risposta agli atteggiamenti paternalisti del governo, un affiancarsi del “documentarismo” poetico al lirismo femminile in termini di riscatto e di affermazione di ideali e identità personali.[2]

In tale contesto si inserisce la traduzione di Antonia Pozzi a cura di Aksana: ella, nell’ambito dei suoi studi sulla poesia femminile bielorussa, estende il suo campo di ricerca al lirismo di cui sono impregnati i versi della poetessa milanese. Un lirismo, si badi, come giustamente hanno osservato Eugenio Montale e, sulla sua scia, Antonella Anedda, svincolato da letture verificate secondo una significanza autobiografica dei versi di Pozzi, la cui vita appare, poeticamente e umanamente, sublimata tragicamente.[3]

Il dato biografico agisce nella misura occasionale dell’impressione di un’immagine nella forma scritta e assume il medesimo significato nell’arte fotografica, “sorella” di quella della poesia.[4] Una siffatta sensibilità, inoltre, sembra poter essere in parte accomunata con quella della stessa Aksana, anch’ella dedita alla fotografia, nella cui poetica si riconosce una forma di lirismo icastico espresso, oltre che con i versi, anche nell’arte fotografica.[5] In altre parole, mettendo a fuoco l’antologia in questione, si potrebbe dire che, attraverso la sua anima di traduttrice, Aksana realizza in concreto l’avvicinamento della sua sensibilità lirica a quella di Antonia Pozzi; un dialogo che, prima dell’allestimento dell’antologia, si era esplicitato anche con traduzioni apparse in sede di periodici.[6]

In questo senso, come si accennava, pare inoltre opportuno ricordare che l’esigenza di studio della poesia di Antonia Pozzi è da ricondurre nel solco della più ampia ricerca di Aksana mirata all’approfondimento delle dinamiche occorrenti entro il signum della poesia femminile bielorussa del Novecento. È la stessa traduttrice a validare questo pensiero, ponendo in relazione la sua ricerca relativa allo studio delle strategie della poesia femminile bielorussa in atto nei primi decenni del XX secolo da cui deriva il suo accostamento allo studio del lirismo di Antonia Pozzi. Pertanto trova ragione d’essere il riferimento a poetesse come Zinaida Bandaryna (1909-1959), Natallia Višneŭskaja (1908-1989) e Jaŭhenija Pflaŭmbaŭm (1908-1996), nel solco di un progetto di edizione di opera di poesia femminile bielorussa.

Ciò si traduce nel recupero di forme e intenti del lirismo femminile con cui si potrebbero porre in relazione, in termini di spontaneità, i versi di Antonia Pozzi: un lirismo, quello bielorusso della prima metà del Novecento, tuttavia, stroncato da una politica subordinazione paternalista di genere attuata dalla pratica staliniana.

Ritornando ad Antonia Pozzi, infine, può sorgere una domanda in merito alla tendenza della sua poesia: a quale corrente potrebbe essere ascritta? Una domanda che, in fin dei conti, sembrerebbe apparire oziosa dato, come si diceva, il libero respiro della sua poesia spontanea, priva di intellettualismi accademici, per cui sembra valere, con le opportune differenze, la definizione recata dalla fascetta di accompagnamento dell’edizione einaudiana di Lavorare stanca (1943) di Cesare Pavese: ovvero che il suo io poetante rappresenta “una delle voci più isolate della letteratura italiana”.

Antonia Pozzi e Aksana Danilčyk: conversazione con la traduttrice

Aksana, come e quando è nato l’interesse per Antonia Pozzi e in cosa il suo lirismo può avvicinarsi alla sensibilità della poesia bielorussa?

L’interesse per Antonia Pozzi è scaturito da una sua poesia che mi ha fatto leggere un collega, conoscendo il mio interesse per la poesia in generale e per quella italiana in particolare. Era il 2008, credo, e la poesia in questione era Il volto nuovo. Poi ho letto altri suoi testi nei quali mi ha colpito una limpidezza, una fragilità e un’estraneità al mondo сhe al momento mi è sembrata pavesiana. Pavese mi piaceva.

Posso dire che la mia percezione della poesia di Antonia Pozzi è avvenuta soprattutto al livello emotivo; ho cominciato a rifletterci sopra molto più tardi. Successivamente ho approfondito le mie conoscenze della sua opera, della sua vita e anche del periodo in cui visse, perché – indipendentemente da Antonia Pozzi – ho iniziato a studiare la poesia femminile bielorussa del periodo tra le due guerre. Tutto è cominciato per questo semplice motivo; prima non ne sapevo quasi nulla e quasi nulla fra l’altro sapevo della poesia femminile italiana, pur avendo studiato la letteratura italiana.

Ho scoperto di aver studiato solo la poesia dei maschi, che però non dava le risposte alle mie domande. È anche vero che conoscevo qualche scrittrice italiana come Grazia Deledda, Natalia Ginsburg, Elsa Morante, ma si trattava più che altro della narrativa. La situazione con la conoscenza della poesia femminile bielorussa di quel periodo non era affatto migliore, ma per altri motivi: nessuno ce ne aveva parlato. D’altro canto, proprio in questi giorni si è terminato un bellissimo progetto con la pubblicazione dei libri di opere scelte di tre poetesse che iniziarono la loro attività poetica negli anni venti del secolo scorso in Bielorussia sovietica nell’ambito dell’associazione letteraria di giovani poeti “Maladniak”, attiva tra il 1923 e il 1928. Si tratta di Zinaida Bandaryna, Natallia Višneŭskaja e di Jaŭhenija Pflaŭmbaŭm.

Nel 1926 è uscito il loro piccolo libro comune (per ciascuna sono stati presentati sette testi) intitolato Versy (“Poesie”) come segno di pari opportunità e di liberazione della donna proclamata dal partito comunista. Le ragazze, in quell’epoca giovanissime, sono state molto attive come letterate, ma già all’inizio degli anni trenta hanno smesso di pubblicare le loro opere a causa del cambiamento del clima politico e sociale. Zinaida Bandaryna fu l’unica a pubblicare un proprio libro di poesie, Vesnazvet (“Fior di primavera”), nel 1931. Dopo questa pubblicazione ci fu silenzio per tanti anni. Solo alla fine delle propria vita Jaŭhenija Pflaŭmbaŭm, moglie di Maksim Lužanin[7], poeta anche lui, ha pubblicato due libri di poesie. Tuttavia molti loro testi sono rimasti inediti. Nell’ambito del progetto prima accennato, ho curato i libri di Z. Bandaryna e  J. Pflaŭmbaŭm, invece il poeta e studioso di letteratura Viktar Žybul, con il quale già realizzai tempo fa l’”Antologia di poesia femminile bielorussa del periodo tra le due guerre”, ha curato il libro di N. Višneŭskaja.

Quindi, con questo progetto realizzato dall’iniziativa editoriale femminile intitolata appunto “Pflaŭmbaŭm”,  abbiamo cercato di ristabilire la giustizia storica facendo tornare i loro nomi nel campo letterario per assicurare un certo continuum nello sviluppo della poesia femminile bielorussa. Anche da qui parte il mio interesse per il contesto poetico europeo in generale e per quello italiano in particolare.

Ritornando ad Antonia Pozzi, posso dire che stilisticamente le sue poesie hanno svariati elementi in comune con la poesia bielorussa contemporanea, ma sto cercando di capire la sua posizione anche nella poesia italiana. Sto leggendo le riflessioni di Graziella Bernabò e di altre studiose. A volte, comunque, mi sembra che la poesia di Antonia Pozzi stia al di fuori del suo tempo; poteva rimanere così per un certo periodo. Che cosa sarebbe però successo dopo, come sarebbe evoluto il suo pensiero? Non lo sapremo mai. Come vedi ci sono molte cose personali nel mio interesse verso la poesia di Antonia Pozzi. D’altronde se l’unico motivo valido per fare l’arte è quello dell’esigenza interna, la stessa cosa potrebbe valere anche per lo studio di letteratura.  

Nel tuo approfondire la poesia di Antonia Pozzi, quali sono nello specifico, oltre quanto hai accennato, le assonanze tra la sua poetica e quella della poesia femminile bielorussa?

È un po’ difficile parlarne in modo generico perché la poesia femminile bielorussa non è omogenea, come non lo è nemmeno quella italiana: ogni poetessa ha proprie peculiarità connesse alle tematiche, allo stile, ai mezzi linguistici, alle strategie d’autore… Anche la stessa autrice col passar del tempo può privilegiare certi aspetti della propria attività creativa, trascurando degli altri. La stessa concentrazione sulla natura e sul legame della natura con lo stato emotivo dell’io poetante che vediamo in Pozzi possiamo ritrovarlo nelle poesie di Natallia Arsenneva[8], l’aspirazione alla bellezza vediamo anche nelle opere di Jaŭhenija Pflaŭmbaŭm; lo stesso accade anche per gli elementi espressionistici e la presenza costante dei fiori, che però nell’opera di Pozzi assumono una simbologia molto più erotica rispetto alla poesia bielorussa. Ciò, in realtà, vale anche rispetto alla poesia italiana di allora, come sottolinea, ad esempio, Graziella Bernabò.

Un altro argomento importante in Antonia Pozzi è quello della poesia e del ruolo del poeta, il riconoscimento della propria personalità poetica o le riflessioni sul proprio essere poeta; elementi che troviamo anche nelle opere delle scrittrici bielorusse menzionate, parliamo delle poetesse del periodo tra le due guerre. Va comunque rilevato che si tratta di un argomento molto presente anche nei testi scritti nella seconda metà del Novecento.

La poesia femminile bielorussa contemporanea parla più liberamente del corpo della donna rispetto al secolo scorso e dei problemi che affronta una donna nel mondo di oggi. Stilisticamente, poi, si usa molto di più il verso libero. Credo che una spiritualità, una forza vitale e la ricerca di Dio presente nelle poesie di Pozzi possa attrarre alla lettura delle sue poesie anche le autrici bielorusse contemporanee. Viviamo anche noi in un periodo assai complesso e abbiamo bisogno di un appoggio nella scrittura e nella lettura.                  

In quanto poetessa, Aksana, mi sorge questa domanda: pensi che esista una differenza tra il sentire poetico femminile e quello maschile? Se sì, in cosa pensi vi si possa ritrovare?

È un argomento parecchio discusso, fra l’altro anche per quanto riguarda la letteratura bielorussa. Se ci allontaniamo dagli stereotipi connessi all’emotività più forte delle donne, posso anche ammettere di no. Tuttavia ci sono degli argomenti sicuramente più frequenti nella poesia femminile come ad esempio la maternità; di conseguenza si dà più valore alla vita umana, alla protezione della vita umana, ma non solo: faccio un passo indietro. Nel 1997 in Italia sfogliando una rivista per le donne (“Amica”? “Grazia”? non me lo ricordo più) ho trovato un articolo intitolato L’ultima dannata di Elisabetta Rasy che parlava di Anne Sexton. L’articolo è stato scritto in occasione della pubblicazione in italiano di alcune raccolte poetiche di Sexton e ce l’ho ancora. Non vi erano riportati i testi delle poesie, bensì solo i titoli quali Casalinga, Al mio amante che torna da sua moglie, La sua specie, ecc. Ciò mi ha colpito lo stesso nonostante la mancanza dei versi. Qualche anno dopo ho letto anche le  poesie di Anne Sexton e ciò che mi parve interessante fu la scoperta che già nel 1983 alcune di esse erano state pubblicate in bielorusso… Studiando l’opera (che per me voleva dire l’esperienza) di altre donne ho cercato di capire la mia vita, di trovare il mio percorso, diventando amante, moglie, madre, ecc., cercando di rimanere me stessa e di non abbandonare la scrittura. Per queste esperienze sicuramente non mi sarebbe stato d’aiuto leggere nelle poesie scritte da maschi.

Comunque, il sentire poetico è molto personale quindi ogni poeta che ha la capacità di seguire la propria strada senza imitare gli altri (le influenze sono inevitabili, ma sono un’altra cosa) si distingue da altri indipendentemente dall’uomo o donna che sia. Ecco, per esempio, per me Antonia Pozzi e Cesare Pavese hanno la stessa profondità del sentire poetico.

Mi sembra interessante questo accostamento, a cui già accennavi, tra Antonia Pozzi e Cesare Pavese: oltre alla capacità di seguire la propria strada senza imitare (almeno palesemente) altri poeti, in cosa intravedi la vicinanza tra i due?

Entrambe sono persone, per così dire, senza pelle e questo si sente nelle poesie; per quanto riguarda Pavese, anche nella narrativa. Il carcere è emblematico. C’è anche l’impossibilità di trovare un amore corrisposto e un disagio di stare al mondo che sicuramente non può essere spiegato solo con le condizioni sociali. Ma nello stesso tempo c’è anche un’apertura al mondo e un’aspirazione ad abbracciare la natura, a vivere la vita in tutta la sua pienezza. E un rammarico per il fatto che non sia stato possibile.   

Più nello specifico, in riferimento alla tua traduzione in bielorusso delle poesia di Antonia Pozzi, quali sono i criteri che hai adoperato nel tuo lavoro? Parlaci del libro che hai allestito.

È un libro di poesie scelte, quindi si doveva subito porre un limite quantitativo, per cui, prima di tutto, ho tradotto le poesie che piacevano a me e poi quelle che rappresentavano meglio le peculiarità dello stile e dell’io poetante di Antonia. Sono molto interessanti le poesie sulla montagna e quelle che si avvicinano alla “linea lombarda”. Insomma, ho cercato di presentare la poetessa al lettore bielorusso in tutta la sua originalità.

Aksana, un tratto che mi fa avvicinare il sentire di Antonia Pozzi al tuo è il comune interesse, oltre che per la poesia, anche per la fotografia. Credo che, per certi versi, per entrambe, in particolari occasioni, possa al contempo parlarsi di “poesia fotografica” e “fotografia poetica”, intendendo, nel primo caso, un’immagine fermata su carta attraverso la scrittura e – nel secondo caso – un’impressione poetica istantanea mediante la fotografia. Nella tua lettura e nella tua traduzione di Antonia Pozzi come hai inteso il binomio poesia-fotografia? Come hai rapportato questo accostamento artistico al tuo sentire di poetessa?

Grazie per questa domanda, anzi, per entrambe le domande. Mi piace ogni tanto sfogliare l’album di fotografie scattate da Antonia Pozzi, come Nelle immagini l’anima, l’edizione del 2007, che ho in casa, così la vita di quell’epoca diventa più tangibile e permette di vedere le immagini e le persone con il suo sguardo. Le fotografie di Antonia mi fanno pensare che c’è sempre qualcosa di semplice e di umano, superiore alle vicissitudini geopolitiche, che deve essere fissato e tramandato alle generazioni successive. D’altro canto, riuscire a creare un’immagine visiva è importante quando si fa la traduzione perché a volte le poesie vanno proprio decifrate dalla lingua di partenza alla lingua di arrivo e per decifrarle bisogna proprio “vederle”, “vedere” cosa descrivono.

Per me la fotografia e la poesia sono due aspetti dello stesso approccio, della stessa aspirazione di trasportare la realtà nell’immaginario e di fermare un istante. Mi capita di fare una foto e di scriverci sopra una poesia. Il processo di scrittura a volte è paragonabile con la fotografia in quanto richiede una concentrazione sui dettagli, ma le poesie nascono anche da una tempesta di emozioni e allora sì, si riesce appena a fare in tempo di “fotografarle”.

In entrambi i casi si tratta del codice dell’artista che si manifesta nelle forme visive o verbali ed è una grande soddisfazione riuscire a leggerlo.

Note

[1] Gli scritti di Antonia Pozzi si leggono in A. Pozzi, Tutte le opere, a cura di A. Cenni, Milano, Garzanti, 2009. Sulla sua poetica si vedano A. Cenni, In riva alla vita. Storia di Antonia Pozzi poetessa, Milano, Rizzoli, 2002; G. Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia, prefazione di O. Dino, Milano, Àncora, 2012.

[2] L. Poutsileva, Quattro poete bielorusse: Aksana Danilchyk, Valzhyna Mort, Nasta Kudasava, Katerina Vadanosava, in «Le Voci della Luna», 2023 (LXXXV). Per una panoramica della letteratura della Bielorussa si veda Ead., La giovane letteratura di un antico popolo, in Il carro dorato del sole. Antologia della poesia bielorussa del XX secolo, a cura di L. Poutsileva, Forlì, Capire Edizioni, 2019.

[3] I rispettivi testi introduttivi si leggono in A. Pozzi, Parole. Diario di poesia, Milano, Mondadori, 1948 e in Ead., Poesie, prefazione di A. Anedda, Milano, Garzanti, 2021.

[4] Sul rapporto tra poesia e fotografia in Antonia Pozzi si veda Ead., Nelle immagini l’anima. Antologia fotografica, a cura di L. Pellegatta e O. Dino, Milano, Àncora, 2007.

[5] L’interesse di Aksana Danilčyk per la fotografia è espresso dalla stessa autrice nell’intervista rilasciata nel 2021 a Jaroslava Khomenko nell’ambito del progetto culturale “Linza Frenelya” [“Lente di Fresnel”]. Tracce evidenti del ‘lirismo icastico’, comunque affiancato da versi che determinano impegno civile, appaiono evidenti nella silloge poetica bilingue A. Danilčyk, Il canto del ghiaccio, Monte Compatri, Edizioni Controluce, 2019.

[6] Si vedano le poesie Alpi, Venezia, Fiume, Neve sul Grappa, Pensiero, Morte di una stagione, Preghiera di Antonia Pozzi che Aksana Danilčyk ha tradotto in bielorusso per «Litaratunaja Belaruś» [«Belarus’ Letteraria»], 3, 2022 (CLXXXVII), p. 10.

[7] Maksim Lužanin (1909-2001) – poeta, scrittore, traduttore bielorusso.

[8] Natallja Arsenneva (1903-1997) – poetessa, drammaturga, traduttrice bielorussa.

 

Fonte immagine: Dea Sabina/Eroica Fenice

 

A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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