Shūkyō: che significa e perché in Giappone non è “religione”

Shūkyō: l'evoluzione del concetto di religione nel periodo Meiji

Il termine giapponese shūkyō (宗教) è la traduzione moderna della parola occidentale “religione”. La sua introduzione e il suo significato sono però profondamente legati a un momento storico di grande trasformazione per il Giappone. Composto dai kanji 宗 (shū), che indica una “setta” o una “scuola di pensiero”, e 教 (kyō), che significa “insegnamento” o “dottrina”, questo termine non esisteva prima del XIX secolo. Capire la sua origine è fondamentale per comprendere il complesso rapporto che la cultura giapponese ha con la fede e la spiritualità.

L’origine del termine: un’invenzione del periodo Meiji

L’introduzione del termine shūkyō fu una conseguenza diretta dell’incontro con l’Occidente a metà dell’Ottocento. Dopo oltre due secoli di “quasi totale chiusura” (politica del sakoku), l’arrivo delle “navi nere” del Commodoro Matthew C. Perry nel 1853 costrinse il Giappone ad aprirsi al commercio internazionale. Durante i negoziati, una delle richieste principali delle potenze occidentali fu la libertà di credo religioso come garanzia costituzionale, in particolare il diritto di praticare il Cristianesimo, che era stato oggetto di feroci persecuzioni sin dal 1600. I diplomatici giapponesi si trovarono di fronte a un dilemma: come tradurre il concetto di “religion”? Fu solo all’inizio del periodo Meiji (1868-1912) che si diffuse il neologismo shūkyō, designato per includere Buddhismo, Cristianesimo e, in parte, lo Shintoismo. Prima di allora, esistevano rituali e cerimonie, ma erano visti come sistemi indipendenti, non come parte di un’unica categoria concettuale.

Shintō di stato: la via degli dei al servizio della nazione

Il periodo Meiji vide cambiamenti radicali nella società del Giappone. La caduta dello shogunato Tokugawa portò alla Restaurazione Meiji e all’accentramento del potere nelle mani dell’Imperatore. Per unificare una nazione uscita da decenni di conflitti, il governo promosse una rinascita dello Shintoismo, trasformandolo in quello che gli storici definiscono “Shintō di Stato“. Questo sistema di credenze, incentrato sulla venerazione dei kami (神), venne riorganizzato per sostenere l’ideologia imperiale. L’Imperatore fu presentato come una figura divina, discendente diretto della dea del sole Amaterasu-ō-mi-kami (天照大御神). In questo contesto, la venerazione dell’Imperatore divenne un dovere civico e patriottico, un collante per la nazione. La questione assunse quindi una valenza più politica che spirituale.

La dicotomia tra shūkyō e shintō

Per consolidare questa nuova ideologia, il governo operò una netta separazione: tutto ciò che non era Shintō di Stato rientrava nella definizione di shūkyō. Lo Shintoismo fu presentato come una pratica secolare, autoctona e intrinsecamente giapponese, una sorta di “morale nazionale” al di sopra della religione. Al contrario, il Buddhismo, il Cristianesimo e le altre fedi vennero classificate come shūkyō, relegate alla sfera privata dell’individuo. La Costituzione Meiji del 1889 garantiva la libertà religiosa (articolo 28), ma solo all’interno di questa sfera intima. Si creò così una forte dicotomia: da un lato il pubblico e il politico, incarnati dallo Shintō di Stato; dall’altro il privato e lo spirituale, rappresentati dallo shūkyō.

Shintō di stato e shūkyō a confronto

La seguente tabella mette a confronto diretto le due categorie, evidenziando le differenze imposte durante il periodo Meiji che ancora oggi influenzano la percezione della religione in Giappone.

Shintō di stato (periodo Meiji) Shūkyō (religione)
Sfera di influenza: pubblica, nazionale, politica Sfera di influenza: privata, personale, intima
Natura della pratica: dovere civico, morale nazionale Natura della pratica: scelta individuale, fede personale
Origine percepita: autoctona, indigena, “giapponese” Origine percepita: esterna, straniera
Rapporto con lo stato: promosso e controllato dal governo Rapporto con lo stato: tollerato ma separato dallo stato

Il concetto di religione oggi in Giappone

Questa eredità storica spiega perché oggi molti giapponesi affermino di “non essere religiosi” (cioè di non appartenere a uno specifico shūkyō) pur partecipando attivamente a pratiche e rituali. È comune visitare un santuario shintoista per Capodanno o per la nascita di un figlio, e allo stesso tempo celebrare un funerale con rito buddista. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Costituzione del 1947 ha sancito una rigorosa separazione tra stato e religione, smantellando lo Shintō di Stato. Tuttavia, la distinzione culturale tra le pratiche comunitarie (spesso shintoiste) e la fede personale (lo shūkyō) persiste. Il termine shūkyō, quindi, porta con sé il peso di essere una categoria importata, che non descrive pienamente la complessa e sincretica spiritualità giapponese.

Fonte immagine: Wikipedia

Articolo aggiornato il: 27/09/2025

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A proposito di Diana Natalie Nicole

Studentessa di Letterature Comparate, sostengo la continuità tra filosofia e letteratura, con qualche benigna interferenza di linguistica, arte e cultura.

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