La disumana storia di Saartjie Baartman, una giovane donna di etnia khoikhoi vissuta tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, è una storia di derisione ed annichilimento, a cominciare dal nome stesso della popolazione indigena dell’Africa australe cui apparteneva, gli Ottentotti: i coloni olandesi insediatisi per primi nel XVII secolo intorno al Capo di Buona Speranza, infatti, schernirono i suoni avulsivi del linguaggio locale, così lontani dalla sonorità delle lingue europee, mediante il nomignolo hot-ten-tot, che pare significasse “balbuziente” nel dialetto dei Boeri.
Nata nell’odierno Sudafrica, la giovane rimase orfana fin da piccola, scampata agli eccidi delle guerriglie fra i Boeri e le tribù dei Boscimani; fu, pertanto, assegnata ad una famiglia di Città del Capo e relegata in una condizione di semi-schiavitù all’interno di una fattoria. Tale status di asservimento rese semplice ai suoi sfruttatori ingannarla con la prospettiva di un riscatto sociale, se si fosse imbarcata con loro alla volta del Vecchio Continente per offrirsi alla curiosità degli Europei. Saartjie destava l’attenzione di tali avventurieri europei per le caratteristiche della sua fisicità: come tutte le ottentotte, aveva le natiche ipertrofiche e sporgenti, unitamente ai genitali esterni particolarmente sviluppati e pendenti, definiti “grembiule ottentotto” dagli anatomisti dell’epoca. Erano queste le caratteristiche su cui i due sfruttatori contavano di arricchirsi, costringendola ad esibirsi nelle fiere come fenomeno da baraccone.
Saartjie a Londra e le esibizioni nei freak shows
Sbarcata in Inghilterra nel 1810, Saartjie entrò nel circuito dei freak shows, spettacoli a pagamento particolarmente in voga tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX, consistenti nell’esibizione di persone dall’aspetto inusuale o anomalo, come l’altezza o la presenza di deformità. Come attestano alcune locandine pubblicitarie del tempo, essa doveva apparire una selvaggia e lasciva “Venere nera”, sottoposta alla malsana curiosità del pubblico: fu, a tal fine, esibita seminuda in una gabbia accompagnata da un domatore munito di frusta.
Terminata la sua esperienza inglese negli anni dell’abolizione della schiavitù, Saartjie fu venduta ad un impresario francese che la espose a Parigi in qualità di monstrum, ovvero di un fenomeno vivente della natura da sottoporre agli illustri anatomisti dell’epoca, che la ritrassero in numerose illustrazioni: all’epoca, infatti, l’antropologia era ancora in parte erede delle classificazioni del secolo precedente, che prevedevano anche l’identificazione da parte di Linneo di un Homo sapiens monstruosus.
Gli anni parigini e l’incidenza di Cuvier
Negli anni parigini, Saartjie aveva destato la curiosità del celebre anatomista George Cuvier, che ne richiese la convocazione allo scopo di esaminare a fondo la sua peculiare anatomia, alla stregua degli esemplari animali sui quali aveva costruito la sua fama di padre dell’anatomia comparata. Riuscì, però, a farlo solo alla sua morte: Saartjie, infatti, non sopravvisse al rigido inverno del 1816, logorata dal freddo, dall’alcool e plausibilmente dalla sifilide, o dal vaiolo, a soli 25 anni. Il suo corpo venne dissezionato e dal suo cadavere furono asportati apparato riproduttivo e cervello, immersi nella formaldeide e conservati in teche di vetro. Tali resti, insieme al suo scheletro e a un calco in gesso, furono esposti come un “trofeo scientifico” al Musée de l’Homme di Parigi fino a 1974; essi, infatti, erano considerati significative “prove scientifiche” di quella sub-negritudine ideata da Cuvier, vicina al primo gradino della scala animale, in cui veniva annullata l’appartenenza al genere umano, secondo i parametri di un razzismo scientifico geneticamente immodificabile e cristallizzato nella condanna a un’eterna inferiorità.
L’assurdità antiscientifica raggiunse il culmine quando si dispose di trasferire i resti della donna dalla sala di antropologia a quella della preistoria: in quegli stessi anni, infatti, si erano verificate le prime scoperte delle statuette femminili del Paleolitico superiore, sicché lo studio di Cuvier contribuì a irrigidire intorno alla “Venere ottentotta” quella disumana gabbia di errate interpretazioni scientifiche debordate in seguito dai confini dell’anatomia comparata all’arte della preistoria. I reperti preistorici riproducevano un’immagine alterata dell’umanità, caratterizzata da un’accentuata steatopigia e tratti marcatamente negroidi simili agli ottentotti, che nella scala evolutiva di Cuvier erano al gradino più basso, sicché gli studiosi ritenevano che esse costituissero la rappresentazione plastica della forma umana dei nostri lontani progenitori, ancora conservata dalle donne boscimane. Saartjie, infine, conobbe una “riesumazione” ideologica in contesto fascista, quale esempio volto a mettere in guardia dal meticciamento, ovvero a scoraggiare l’unione fra native e coloni conseguente all’annessione dell’Etiopia.
Si tratta, chiaramente, di spaventosi pregiudizi scientifici, portato di quei tempi, tuttavia ora più che mai giova conoscere la storia di questa giovane donna – i cui resti dal 2002 riposano nel suo paese natale, richiesti da Nelson Mandela dopo la vittoria dell’African National Congress alle elezioni del Sudafrica del 1994 – che costituisce il simbolo della discriminazione africana in Occidente, nonché un’icona della sua terra.
[L’immagine di copertina è tratta da wikipedia]