Clitennestra di Roberto Andò al Teatro Grande di Pompei

clitennestra

Dà inizio alla rassegna Pompeii Theatrum Mundi  la Clitennestra di Roberto Andò, in scena il 16 e 17 giungo al Teatro Grande di Pompei.

Dopo mesi di convulse contrattazioni e di incertezze sul futuro e sulla fattibilità della rassegna, ha finalmente inizio Pompeii Theatrum Mundi: ad aprire le danze, il 16 e 17 giugno, è un grande classico, uno dei personaggi più controversi e iconici del mondo classico: la Clitennestra di Roberto Andò.

Il riferimento di Andò per la costruzione del personaggio e del testo è il romanzo di Colm Tóibín, La casa dei nomi, ma anche ovviamente l’Orestea di Eschilo. Il mito in cui si inserisce la storia di Clitennestra è quello atroce e funesto degli Atridi. La colpa che si trasmette ereditariamente di padre in figlio è quella del capostipite che si declina sempre ed inevitabilmente nelle forme del delitto infame ed efferato, del delitto familiare. La colpa indicibile di Atreo diventerà la colpa di un padre, Agamennone, che uccide sua figlia, la colpa di una moglie, Clitennestra, che spegne con il sangue la sua sete di vendetta, la colpa di un figlio, Oreste, che vendica suo padre con il delitto. 

Il tempo della storia è un tempo enorme, che non può coincidere con il tempo della narrazione e che sfugge a un ordine cronologico: è il tempo del dolore, dell’offesa subita, del rancore, della vendetta pianificata, ponderata, meditata e poi finalmente consumata; è il tempo della follia che è figlia di tutto il sangue versato, la follia che nasce e si alimenta in un nucleo familiare che si sgretola sotto i colpi dell’offesa, dell’individualismo spietato, della sete di vendetta. 

Diversamente da Eschilo, Tóibín e con lui Andò si sottraggono al giudizio: sulla scena a parlare è solo il dolore, il rancore, la perdita. Le donne di questo mito, che sono le vere protagoniste della Clitennestra di Andò, urlano in scena tutto il dolore e la follia che la violenza subita ha generato in loro. Clitennestra (Isabella Ragonese), Ifigenia (Arianna Becheroni) ed Elettra (Anita Serafini) regalano un’interpretazione intensa, patetica e drammatica delle più profonde ferite che la violenza, l’abbandono e la solitudine possono infliggere all’essere umano.

Sono ferite inferte da uomini fragili e vili come Agamennone (Ivan Alovisio) a donne che con forza, dignità e determinazione cercano di portare avanti esistenze ormai piegate, corrose e compromesse dalla sofferenza, dall’offesa, dal rancore. Nella Clitennestra di Andò, dunque, non c’è giudizio morale, non c’è condanna, ma solo la ricerca dalla quale emergono le ragioni umane di tanto sangue. 

Ad assistere a questo teatro di sangue e sentimenti c’è un coro muto, spettatore e allo stesso tempo testimone silente, dall’estetica pirandelliana e primo-novecentesca. Del popolo che assiste muto alle oscenità che si consumano, solo una donna (Katia Gargano) prende la parola per tentare di spiegare, di dipanare quanto avviene sulla scena, quanto sta accadendo nella torbida interiorità dei personaggi. 

A rendere ancora più inquietante la Clitennestra di Andò è una scena mirabilmente costruita da Gianni Carlucci, in cui la morte è protagonista assoluta. Lapidi, terra e sangue sono il tessuto di una scena agghiacciante e disturbante in cui i personaggi si muovono con agilità e disinvoltura macabre. 

Andò riesce dunque nell’impresa non facile di restituire con fedeltà e autenticità il dramma del mito degli Atridi. Non ci sono forzature, tentativi sterili di attualizzazione del mito, morali spicciole ad accompagnare un mito che ha nel suo tessuto la potenza della tragedia. 

Fonte immagine: Lia Pasqualino per Teatro di Napoli  

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