Lo zoo di vetro, di Antonio Latella | CTF

Lo zoo di vetro, di Antonio Latella | CTF

Il Campania Teatro Festival continua anche con i suoi appuntamenti internazionali e propone al Teatro Nuovo Lo zoo di vetro, un grande classico del drammaturgo americano Tennessee Williams, tradotto in greco.

Un incontro internazionale

Per il Campania Teatro Festival, nell’area dei suoi appuntamenti internazionali, viene riproposto il testo di Lo zoo di vetro, grande classico americano di Tennesse Williams, nella sua traduzione in greco, grazie al lavoro di Dimo Kuvidis. Viene messo in scena il 17 ottobre 2024 al Teatro Nuovo di Napoli dal regista Antonio Latella insieme agli attori Maria Kallimani, Vaggelis Abatzis, Lida Koutsodaskalou e Nikos Milias. Una menzione particolare va anche al lavoro dei sopratitoli e, dunque, al lavoro di interpretazione da parte di Violetta Zefki.

Famiglia Nazione, sono entrambe parole che ricorrono molto spesso nei testi dell’autore Tennessee Williams e tanto più le si ritrovano in Lo zoo di vetro. Sono due concetti che appaiono imprescindibili e che ricorrono in una rappresentazione, in cui, il racconto di una famiglia diventa quello di una Nazione. La narrazione di quei piccoli contorni, finanche della propria autobiografia, diventa un qualcosa di molto più vasto ed estendibile. Rielaborare il sé, quell’intimità profonda attraverso la memoria – vetro trasparente, limpido e fragile – che consente di parlare della realtà con il filtro della mente e dell’anima, in tutto il suo potenziale tanto illusorio quanto di indicibile verità.  

Infatti, Antonio Latella presenta così Lo zoo di vetro: «Guardare attraverso il vetro. Guardare attraverso le emozioni dell’anima. Togliere le impurità del vivere e cercare un’“assoluta” perfezione, anche se sappiamo bene che così non si può vivere, come ne sono consapevoli tutti i protagonisti di questa nostra grande storia. Allora perché ricordare? Perché raccontare la storia della propria famiglia al grande pubblico, perché far diventare una questione privata una questione pubblica? Forse esiste una risposta, ma credo che questa risposta vada cercata nella vita privata di Williams stesso. Un autore che chiede a tutti noi di allontanarci dal realismo e provare a rivisitare questa storia attraverso gli occhi della mente, andare oltre ciò che si vede per provare a vedere nell’oscurità.».

Lo zoo di vetro: un linguaggio distante dal realismo

Già dal testo di partenza, Lo zoo di vetro, presuppone un linguaggio teatrale ben distante dal rigido e referenziale realismo, ponendosi anzi l’obiettivo di recuperare quel potenziale illusorio del teatro, quello che stimola una lettura soggettiva attraverso il filtro della mente e dell’anima. E la rappresentazione di Latella ne coglie l’input: lo spettacolo si svolge per tutta la durata a scena aperta, luci accese e abbattendo la quarta parete, divisoria tra pubblico e palcoscenico, recuperando in questo modo l’illusorietà del teatro e, allo stesso tempo, quell’inevitabile realtà che vi si cela. È un gioco continuo tra dentro e fuori, illusione e realtà.

Già soltanto per questo, Lo zoo di vetro non è sicuramente un testo facile da rendere. In più, la versione di Latella propone un linguaggio teatrale basato principalmente, se non quasi unicamente, sulla potenza della parola, del logos, rendendo molto più complesso seguire uno spettacolo distante innanzitutto nella lingua parlata. Eppure, la compagnia insieme al regista riescono a comunicare quei filtri vitrei della mente e dell’anima, con un ritmo ben sostenuto e, c’è da dire, impeccabile. L’unico elemento “stonato” è stato la gestione dello spazio, a partire dalla collocazione dei sopratitoli fino a tutto l’allestimento, che ha reso davvero difficile usufruire e godere della scena nel suo insieme. Sembra banale, eppure non è scontato notare quanto l’esperienza di andare a teatro non si esaurisca solo e unicamente a ciò che viene proposto sul palcoscenico, bensì si amplia a un viaggio percettivo e sensoriale e, per questo, reale, molto più complesso.

Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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