Attack on Titan: perché piace così tanto?

Attack on Titan: perché piace così tanto?

Quando si parla di serie d’animazione giapponesi di maggiore successo, non si può non nominare Attack on Titan (Shingeki no kyojin, conosciuto in Italia come L’Attacco dei Giganti).

Quest’opera, tratta dall’omonimo manga scritto e disegnato da Hajime Isayama, rientra indubbiamente tra gli anime più influenti e conosciuti degli ultimi anni: sia l’adattamento televisivo, sia il manga da cui esso deriva, sono stati accolti con grande clamore dalla critica e dal pubblico, e molti appassionati dell’animazione del Sol Levante lo definiscono uno dei migliori anime degli ultimi dieci anni, se non addirittura di tutti i tempi.

Dopo ben dodici anni dalla pubblicazione del primo volume, il manga si è concluso nel 2021; per quanto riguarda l’anime, invece, i fan attendono ancora di vedere sui propri schermi l’adattamento dei capitoli conclusivi, la cui uscita è prevista su Crunchyroll per la seconda metà del 2023.

Ma cosa rende Attack on Titan un’opera così famosa e apprezzata, tanto da riscuotere più apprezzamento di altri titoli d’azione molto celebri, quali My Hero Academia o il colosso One Piece? Scopriamolo insieme.

(Attenzione! Da qui in poi, l’articolo contiene spoiler)

Anime sì, ma non troppo giapponese

Attack on Titan piace a tutti. Non solo agli appassionati del mondo dell’animazione e del fumetto giapponese. Ciò può essere probabilmente dovuto alla mancanza di un’ambientazione e elementi che rimandano alla cultura giapponese all’interno della storia (anche la quasi totalità dei personaggi non è di origine asiatica), oltre che alla quasi totale assenza di quei classici elementi spesso presenti nelle opere animate di produzione giapponese che, ai non habitué del genere, possono risultare fastidiosi e stucchevoli (ad esempio, personaggi che urlano in maniera stridula o volti che si deformano per conferire maggiore comicità ad alcune scene); fatto sta che la serie risulta, in un certo senso, quasi occidentale. Ciò ha permesso ad Attack on Titan di essere conosciuto ed apprezzato anche da coloro che, generalmente, gli anime non li vogliono proprio sentire nominare, nonché ad essere stata in grado di avvicinare all’animazione giapponese i neofiti del genere.

Un target non così definito

Attack on Titan è considerato ufficialmente uno shōnen, vale a dire un prodotto che ha come target primario un pubblico di ragazzi adolescenti (orientativamente tra i 9 e i 18 anni). Sebbene gli shōnen siano la categoria di anime più popolari in assoluto per ogni fascia di età, il loro target orientativo rischia di renderli, talvolta, “sempliciotti” agli occhi degli adulti, che continuano a guardarli per nostalgia o per puro intrattenimento, senza però sentirsi particolarmente coinvolti dalle tematiche in essi presenti. Non è, però, il caso di Attack on Titan, la cui collocazione tra gli shōnen ha provocato, in effetti, diversi dibattiti tra gli appassionati dell’opera. Ed effettivamente, se è vero che la prima parte dell’anime (e del manga), incentrata sui combattimenti e sulle scene d’azione, è assimilabile allo shōnen, è impossibile non notare quanto a un certo punto muti la narrazione, arrivando a toccare temi indubbiamente più maturi e complessi, non particolarmente adatti alla fascia di pubblico più giovane. Ciò che ne viene fuori è un’opera a cavallo tra lo shōnen e il seinen (opera indirizzata a un pubblico di giovani adulti), che sembra essersi evoluta assieme al suo pubblico (non dimentichiamo che stiamo parlando di un prodotto che si sviluppa attraverso un decennio!), rendendosi in grado di tenere alta l’attenzione di diverse fasce d’età.

Una molteplicità di generi

Altra particolarità di quest’opera è quella di poter essere definita come appartenente a diversi generi narrativi: la cornice è indubbiamente quella di un anime dark-fantasy ambientato in un universo postapocalittico, ma la narrazione si muove su diversi fronti. Vi è infatti moltissima azione, che trova la sua maggiore espressione nelle epiche battaglie contro i giganti; l’inquietante fisionomia dei giganti e le drammatiche scene di omicidio che li vedono come protagonisti soddisfano pienamente il gusto degli amanti dell’horror. Troviamo,  inoltre, soprattutto nella seconda parte della storia, una forte componente filosofica, con profonde riflessioni sul tema dell’alterità, sulla politica, sul desiderio di libertà e della volontà di esplorare il mondo, nonché una serie di rimandi neanche troppo velati alla Germania nazista.

I colpi di scena non sono mai abbastanza

È chiaro che, nel corso della scrittura di Shingeki no kyojin, l’intento di Isayama fosse quello di sconvolgere e stupire costantemente i suoi lettori. E il suo scopo si può dire essere stato ben raggiunto: la storia è ricca di colpi di scena, di una costante introduzione di misteri la cui risoluzione è talvolta veloce, talvolta lasciata in sospeso per parecchio tempo, conferendo alla narrazione un ritmo abbastanza rapido da non annoiare mai lo spettatore, ma comunque in grado di tenerlo sulle spine fino alla fine. Ogni risposta lascia spazio ad una nuova domanda, e cercare di intuire come andrà a finire sembra impossibile: l’unico modo per scoprire cosa succederà è continuare a guardare, lasciarsi coinvolgere dagli avvenimenti e trasportare dall’incredibile immaginario dell’autore.

I personaggi

Infine, ma non per importanza, è innegabile che buona parte del successo di Attack on Titan sia dovuto alla caratterizzazione dei personaggi inseriti nell’opera. A primo impatto, i personaggi che ci vengono presentati come i principali della storia sembrerebbero essere un classico trio di protagonisti di una qualsiasi opera: Armin Arlert è il tipico ragazzino fisicamente fragile ed estremamente bisognoso del supporto dei suoi amici, ma di buon cuore e dal grande ingegno; Mikasa Ackermann, al contrario, risulta glaciale, orgogliosa e indipendente, forte fisicamente e molto abile nel combattimento; Eren Jaeger, il protagonista principale, è impulsivo, a tratti goffo e sembra non possedere nessuna delle qualità di spicco che caratterizzano i suoi amici, ma si ritrova, suo malgrado, ad essere al centro degli eventi che scombussoleranno il mondo in cui era abituato a vivere. Ma ben presto ci si accorgerà che le loro personalità non sono, poi, così inquadrate: non esistono personaggi tipici in Attack on Titan. Ciascun personaggio, che sia tra i principali o tra i più marginali, è una persona a tutto tondo, perfettamente caratterizzata, con i suoi demoni interiori, il suo sviluppo, il suo punto di svolta, una propria etica e una propria visione del mondo. Esempio emblematico in questo senso è colui che ci viene presentato come uno degli antagonisti principali della serie:  Reiner Braun, il primo a riflettere sul fatto che non esistano buoni o cattivi all’interno della serie, ma che ciascuno di loro agisce pensando di essere nel giusto, vittima degli errori dei propri predecessori e carnefice nel ricoprire il proprio ruolo nella risoluzione del conflitto in cui si  ritrovano.  Altro esempio può essere rappresentato dalla figura del capitano Levi Ackermannche si presenta come il classico uomo irritabile, intimidatorio scontroso, e apparentemente privo di sentimenti, ma si scopre presto essere molto meno autoritario di ciò che sembra, fortemente legato alla sua squadra, estremamente obbediente alle autorità e poco propenso all’imporre agli altri il suo punto di vista, considerando prioritario il fatto che le persone prendano decisioni senza poi pentirsi delle conseguenze da esse prodotte.

In definitiva, le motivazioni che hanno reso questo prodotto così discusso e influente sono molteplici: che si sia appassionati di opere d’animazione giapponese o meno, vale sicuramente la pena inserirlo tra i titoli da guardare.

Fonte immagine in evidenza: Attack on Titan Wiki | Fandom

A proposito di Paola Cannatà

Studentessa magistrale presso l'Università degli studi di Napoli "L'Orientale". Le mie più grandi passioni sono i peluche e i film d'animazione Disney, ma adoro anche cinema, serie TV e anime (soprattutto di genere sci-fi), i videogiochi e il buon cibo.

Vedi tutti gli articoli di Paola Cannatà

Commenta