À bout de souffle: i segreti di regia dietro ogni sequenza

À bout de souffle: i segreti di regia dietro ogni sequenza

À bout de souffle di Jean-Luc Godard, apparso nel 1960 sui grandi schermi, è decisamente il film manifesto delle nouvelles vagues internazionali; si rivela come un testo conflittuale, non solo per quello che concerne l’aspetto prettamente narrativo ma soprattutto dal punto di vista estetico.

Andiamo a scomporre e analizzare À bout de souffle sequenza per sequenza!

La prima sequenza

Già dalla prima inquadratura, il film si apre con una successione di immagine diverse. Nella prima sequenza non ci viene presentato subito il personaggio principale ma assistiamo all’immagine di un giornale che induce lo spettatore nel mondo artificiale dei mass media. Solo in un secondo momento in piano ravvicinato appare il volto di Jean-Paul Belmondo, che in quel periodo non era ancora un divo. Si tratta di un tipico giovane della generazione di fine anni ’50: se da un lato ricerca autenticità, dall’altro rimanda, attraverso citazioni e gesti, al cinema classico americano (pensiamo al gesto del toccarsi le labbra che il protagonista fa imitando Bogart). Michel, il protagonista, è solito comunicare attraverso gesti e sguardi, che in questa prima sequenza sono particolarmente enfatizzati.

La seconda sequenza

In questa sequenza è evidente il capovolgimento delle tecniche del cinema classico attuato da À Bout de souffle: lo spettatore vede attraverso e con il protagonista. È da rimarcare l’utilizzo della luce naturale che conferisce alle scene un’immagine da reportage televisivo e, di conseguenza, maggiore veridicità. Godard spesso ricorre ai jump-cuts, con la giustapposizione di un’inquadratura a un’altra, determinando dei salti nell’immagine proiettata.
La totale novità del film e della messa in scena si configurano con lo sguardo di Michel, dritto in macchina da presa e verso lo spettatore: Godard sceglie di far rompere il muro immaginario tra cinema e spettatore, rompendo la verosimiglianza del film.

La terza e quarta sequenza

Le prime quattro sequenze di À bout de souffle non sono solo legate dal punto di vista narrativo, ma sono connesse anche dalle tecniche di messa in scena. Il gruppo successivo di sequenze presenta invece caratteri diversi che vanno sempre più verso la dimensione del cinema moderno. Notiamo, infatti, la presenza di long-takes e piani sequenza che permettono di far entrare anche nella pellicola i tempi morti, quelli quotidiani, che viviamo tutti i giorni e che precedentemente non sarebbero mai potuti essere mostrati sul grande schermo. Non sembra accadere nulla di rilevante a livello narrativo durante la lunga sequenza dei protagonisti all’Hotel de Suède.

La sequenza finale

Il finale è caratterizzato dalla morte, scelta intenzionale del protagonista Michel. Tutta la scena della fuga finale è fortemente drammatica e appare come un palese risultato della messa in scena cinematografica; ne è un sugello esplicito il gesto finale di Michel, che imita Bogart.

Tra il dolore e il nulla, Michel sceglie il nulla, la morte, che ci appare come un’opzione esistenziale molto più radicale del dolore, e quindi in perfetta sintonia con il suo personaggio.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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