Recensione dell’autobiografia di Dita Kraus, La libraia di Auschwitz: una lunga vita combattuta tra il peso della memoria e il coraggio di guardare avanti.
Esce per Newton Compton Editori nel mese di gennaio, il mese più di ogni altro consacrato alla memoria poiché il 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria, il libro di memorie di Dita Kraus, classe 1929, una sopravvissuta all’Olocausto ceca, oggi novantunenne, che racconta la sua vita nell’autobiografia La libraia di Auschwitz, attraverso le sofferenze e le peripezie che l’intero popolo ebraico ha dovuto affrontare nel corso del Novecento: da un’infanzia serena, trascorsa in compagnia dei genitori in un quartiere borghese di Praga, alle prime difficoltà economiche dettate dalle leggi raziali, al trasferimento nel ghetto della città fino alla deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz, dove la donna ha trascorso gli anni della sua adolescenza, ed i lavori forzati all’interno e fuori dal campo, fino alla liberazione e al ritorno in patria, seguito poi dal trasferimento, definitivo, nella terra promessa d’Israele e alla scelta della vita comunitaria del kibbutz al seguito del marito Otto, anch’egli un sopravvissuto all’Olocausto incontrato nel lager, deceduto nel 2000, autore per Newton Compton de Il maestro di Auschwitz.
L’anziana donna vive tutt’oggi in Israele, circondata dall’affetto dei familiari, dove nel corso degli anni ha avviato e continuato la sua opera di diffusione e sensibilizzazione sull’argomento, a partire dai disegni, recuperati negli anni successivi alla liberazione del campo, che i bambini internati nel campo di Auschwitz hanno realizzato sulle pareti della baracca a loro destinata e su carta, inconsapevoli del triste destino che li attendeva poco dopo, in compagnia dei giovani responsabili della loro tutela all’interno del campo: tra questi, Dita, custode dei pochi libri del campo, e per questo definita “libraia“, e Otto.
Oltre che un invito a conoscere e ricordare ciò che è stato, l’autobiografia di Dina Kraus è un omaggio alla storia di un popolo esule, costretto a continue sofferenze, trasferimenti, improvvisi cambi di rotta: a valle della propria esperienza di vita, la donna afferma di non sentirsi del tutto a casa a Praga, dove tuttavia è nata e riposano le spoglie dei suoi cari, né del tutto a casa in Israele, nel luogo dove oggi riposano le spoglie del marito ed abitano i suoi familiari ancora in vita, dove si è trasferita, giovanissima, a seguito del marito, cambiando vita più e più volte, passando dall’esperienza della vita comunitaria, percepita sempre come provvisoria, del kibbutz, dove ha vissuto sette anni esercitando le più varie professioni, al trasferimento all’interno di un campus scolastico, dove i coniugi hanno trovato lavoro come insegnanti. Provvisorio è l’aggettivo che la donna è stata costretta ad associare alla propria situazione e ai repentini cambiamenti della sua vita, di volta in volta, a causa delle dure discriminazioni, della costante assenza di cibo, nel ghetto e ancor di più nel lager, della difficile integrazione nello stato d’Israele, in un luogo definito dai suoi compagni come la patria promessa, una patria della quale lei, tuttavia, non conosce neppure la lingua e ciononostante riesce, ancora una volta, a farsi strada, con coraggio e umiltà, partendo dal basso.
Dell’esperienza del lager, la donna rimuove gli orrori e ricorda, soprattutto, l’umano aggrapparsi l’uno all’altro per restare a galla, la capacità di creare legami con uno o due detenuti, anche in una situazione così drammatica: l’empatia si manifesta, nel lager, con la condivisione del pane o della zuppa, la condivisione di una coperta. Un uguale senso di empatia, fratellanza la donna incontrerà nel kibbutz, dove comunità è la parola chiave ed ognuno si mette al servizio dell’altro per il bene comune: il popolo ebraico raccontato da Dita Kraus è una comunità forte e compatta, unita nel dolore e nella rinascita.
La libraia di Auschwitz è una storia di resilienza, di coraggio: la vita difficile di Dita Kraus, tra tribolazioni e rinascite, insegna che non è mai troppo tardi per rimettersi in discussione e ricominciare e che una vita difficile non è un ostacolo ad una rinascita, ma anzi, uno sprono ulteriore a ricostruire un futuro dalle macerie.
Fonte immagine: librieparole.it