La signorina Else, novella del 1924 del medico e poi scrittore austriaco Arthur Schnitzler, si posiziona tra le opere della sua ormai tarda produzione di racconti, molto proficua, e che dona al pubblico alcuni dei suoi lavori più celebri e importanti: Il sottotenente Gustl (1900), Il ritorno di Casanova (1918), Doppio sogno (1926). Tutte contornate e infuse del modernismo viennese di inizio secolo, le novelle schnitzleriane mostrano il lato psicoanalitico del medico-scrittore, nonché un continuo gioco di rimandi, seppur velato e mai esplicito, alle teorie freudiane.
La signorina Else e il signor von Dorsday
Nella bellissima località di montagna di San Martino di Castrozza, Else è una giovane diciannovenne in vacanza estiva con la zia. I suoi genitori sono rimasti a Vienna per diversi motivi: seppur suo padre è un celebre avvocato nel panorama della buona società viennese, ha il vizio del gioco, e finisce quasi sempre con il rischio di dover andare in carcere per debiti; sua madre, donna distinta e molto particolare, è più interessata alla buona reputazione della famiglia e al suo status sociale, che passare del tempo in compagnia di sua figlia. Presto, in ogni caso, la bella Else verrà notata da un ospite dell’albergo, un certo signor von Dorsday; come si può già evincere dal von, egli è di casata nobiliare, ma solo di nome, difatti, ha acquisito il von data la sua ricchezza come commerciante d’arte. Il signor von D., come spesso Else lo chiama, è amico del padre della protagonista, e per questo potrebbe aiutare la sua famiglia a non finire nei guai. La giovane e testarda ragazza è costretta a chiedere, per conto del padre, un prestito di parecchi franchi al signorotto nobile dell’albergo; al sentire della richiesta, il signor Dorsday accetta, ma alla condizione di trarne qualcosa in cambio dalla signorina Else: da questo momento, per la protagonista della novella iniziano le ore più brutte di tutta la sua vita.
La signorina Else e la società viennese di inizio ‘900
Tutto il racconto è intriso della sottile aurea che si respira nella Vienna del primo ventennio del ‘900: la condizione sociale privilegiata è quella della nobiltà e dell’alta borghesia, in cui però, anche all’interno di queste stesse classi, vi sono differenze fondanti, e che portano poi ai tragici epiloghi della storia europea della Seconda guerra mondiale. In maniera velata e con sottigliezze di episodi da parte dell’autore, si riesce a capire come Else e la sua famiglia, pur essendo di uno strato sociale elevato, appartenessero a un sottogruppo ben specifico per l’epoca: erano ebrei. Nella novella lo si capisce dall’aspetto fisico di Else, castana e con un colore di pelle “particolare”, dalla mansione del padre, in quanto Vienna vantava una popolazione ebraica molto sofisticata, e dai commenti scaturiti in merito ad altri ospiti dell’albergo, o dall’attività di commerciante, a cui anche il signor von D. faceva parte.
La signorina Else e la forma del monologo interiore
L’aspetto più importante e innovativo dell’opera di Schnitzler è la forma in cui è stata pensata e poi redatta: quella del monologo interiore. Adoperata per la prima volta più di venti anni prima, nel 1900, per la novella Il sottotenente Gustl, questo modus operandi permette la fuoriuscita di tutti i sentimenti e pensieri di Else, in tempo reale. È lei che narra la vicenda fino alla fine, è solo e unicamente attraverso le sue parole che sappiamo tutto quello che avviene; descrive ogni input che riceve dall’esterno, ha mille pensieri al secondo, riesce perfino a far sentire a chi legge le melodie di Schumann suonate al piano nella sala da ballo dell’albergo. Grazie alla maestria letteraria di questo grande autore austriaco, si riesce a identificare la psicosi a cui Else arriva nei suoi ultimi istanti, le sue paure più profonde, il suo Io controverso.
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(File:Aura-hertwig schnitzler-1906 postkarte.jpg – Wikimedia Commons)