Maria Teresa Giaveri, Nei mari di Ulisse | Intervista

Maria Teresa Giaveri

Nei mari di Ulisse. Sulle tracce di Omero alla scoperta di Palmira è ultimo romanzo di Maria Teresa Giaveri (Neri Pozza, 2023), finalista alla LXIX edizione del Premio Napoli; esso rappresenta un tentativo riuscito di lettura e rilettura di Omero, sulle cui tracce i protagonisti del romanzo si muovono, anticipando (nelle intenzioni) il viaggio compiuto da Schliemann, che riporterà alla luce le rovine dell’antica città di Troia.

Nei mari di Ulisse, un romanzo odeporico, un nostos, in certi momenti, che segna le tappe di un viaggio in cui Marina Giaveri intreccia vicende storiche documentate a fictio letteraria, il tutto circonfuso da un’atmosfera a tratti onirica, nel segno di un carattere “multiforme” il quale, oltre che precipuo di Ulisse, pare poter attribuirsi anche alle parole mirabili del visum dello sfuggente Omero.

Nei mari di Ulisse. Sulle tracce di Omero alla scoperta di Palmira: un titolo che suggerisce la natura odeporica del romanzo, in linea coi poemi omerici, in particolare l’Odissea. Professoressa Maria Teresa Giaveri, da cosa nasce l’idea di scrivere un romanzo che si richiama alla vicenda storica della scoperta del sito di Palmira da parte degli intellettuali-avventurieri a bordo del Matilda?

In realtà il libro nasce dal divertissement sull’Odissea, con l’interpretazione “spettinata” (come ho voluto definirla) del testo omerico. Ne avevo già fatto materia di una relazione sul tema del “riconoscimento”, che avevo proposto in un convegno psicanalitico a Torino. È il gioco di lettura dissacrante (e insieme tributo di ammirazione) a cui si era dato Dürremmatt con La morte della Pizia, romanzo in cui rovesciava scherzosamente il tema di Edipo. Qui, volendo farne un libro, ho pensato di inquadrare la mia rilettura scherzosa dell’Odissea in una storia-cornice. Ho immaginato diverse soluzioni, poi mi sono imbattuta quasi per caso in un resoconto su materiali settecenteschi raccolti presso un Istituto di Studi Ellenici a Londra. Mi é sembrato interessante, ho visionato i documenti, e ho potuto così conoscere in dettaglio la spedizione dei tre inglesi (accompagnati dal disegnatore-architetto italiano) attraverso i loro diari.

Li ho seguiti passo a passo, con totale aderenza ai documenti… anche nelle deviazioni al percorso omerico che si erano prefissati: e, come io racconto nel testo, sarà con deviazioni estemporanee che scopriranno e faranno scoprire al mondo Palmira e Baalbeck.

Le vicende dei gentiluomini che, appassionati di Omero, seguono le rotte dell’«eroe multiforme» e approdano presso quella che si rivela essere Palmira, anticipa di circa un secolo le ricerche di Heinrich Schliemann che lo condurranno alle porte di Troia. Posti in relazione la Scoperta di Troia di Schliemann e il suo romanzo Nei mari di Ulisse pare quasi possibile identificarli negli archetipi narrativi dell’“assedio” e del “ritorno”, rievocando un bel libro di Franco Ferrucci. In tal senso, Professoressa Maria Teresa Giaveri, quanto ha contato, nell’economia del romanzo, l’attività di Schliemann?

Avevo letto molto di Schliemann, che avevo scoperto quando ero in ginnasio; me ne ero appassionata. Poi, più tardi, ho letto anche testi sulle controversie che hanno seguito le sue scoperte e soprattutto controversie sui lavori di un altro precedente archeologo, di cui Schliemann ha preso il posto e di cui ha continuato gli scavi sulla famosa collina di Issarlik, disponendo di possibilità finanziarie che all’altro mancavano. Questi dati me l’hanno fatto un po’ ridimensionare. Ma credo che Schliemann possa essere considerato l’esempio e il caso più famoso di quel moto appassionato di riscoperta ammirata dell’antico che percorre già tutto il Settecento, influenzandone l’estetica e persino la politica.

È innegabile che l’intertesto principe di Nei mari di Ulisse sia costituito dall’Odissea, a cui si richiama spesso. I passi tratti dalla versione di Paduano meritano un’attenzione che non si limita a rilevarne i tratti meramente ornamentali; tutt’altro: pare che sia proprio grazie ai brani omerici che il lettore possa immergersi ed immedesimarsi ora con uno ora con un altro dei protagonisti in quanto tali brani sono rievocati dopo vicende e discussioni intercorse tra i personaggi. Gli occhi del lettore diventano pertanto quelli dei pionieri che si accingono alla lettura del poema omerico. Professoressa Giaveri, ci parli dell’intertestualità del suo romanzo.

Come ho anticipato, il libro nasce dall’Odissea e dal piacere di darne una lettura insieme ammirata e dissacrante. D’ altra parte, non c’é personaggio che sia stato ripreso e reinterpretato nelle letterature (non solo occidentali) quanto Ulisse. Una volta scelta la storia-cornice – la spedizione inglese del 1750 – mi si é presentato un problema di struttura, proprio in ragione del rapporto intertestuale di cui è materiato tutto il romanzo. Avevo già deciso che il viaggio degli inglesi sarebbe stato scandito in 24 capitoli, quanti i libri dell’Odissea. Ma costruire un testo in cui ad ogni tappa di viaggio corrispondesse un episodio dell’Odissea diventava un esercizio troppo meccanico, un po’ tipo Oulipo. All’inizio ho un po’ faticato per variare la struttura dei capitoli; poi, miracolosamente, tutto ha cominciato a disporsi con totale armonia.

La ricostruzione dei fatti narrati all’interno di Nei mari di Ulisse si intreccia alla fictio letteraria: Professoressa Giaveri, come il verosimile inferisce nel vero storico della vicenda e viceversa?

Il viaggio é rinarrato con totale fedeltà ai documenti: tempi, luoghi, scoperte. Ma i protagonisti diventano personaggi romanzeschi, con caratteri ovviamente inventati; e si aggiungono alcuni nuovi personaggi, di pura invenzione: il medico giacobita, la sua amante francese, i due marinai napoletani, il colonnello russo (che entra solo in un breve episodio). Devo confessare che, già dopo i primi capitoli, i rapporti fra verità storico-documentaria e invenzione han preso ad accordarsi con mirabile facilità. Per esempio: mi documento su Dawkins, partigiano di Bonnie Prince Charlie e del tentativo degli Stuart di riconquistare il potere in Gran Bretagna. Leggendo testi d’epoca sui giacobiti scopro un loro segno (più o meno segreto) di riconoscimento: il brindisi al re “al di là delle acque”. Nasce di lì il personaggio di Maitland, il medico  giacobita in esilio volontario, alla ricerca di una situazione nell’Impero turco… e mentre lo invento scopro che la nave “Matilda” davvero fa una strana deviazione di percorso, anticipando il viaggio a Costantinopoli invece di percorrere normalmente, tappa dopo tappa, tutta la costa omerica.

Nei diari di bordo non viene data nessuna ragione della bizzarra scelta, che duplica il percorso: si segnala solo che il vento è favorevole. Quindi io ne faccio una deviazione dovuta all’incontro con Maitland e alla sua situazione di necessità: generosamente gli inglesi provvedono ad accompagnarlo al più presto nella capitale, dove lui spera di trovar lavoro…

Professoressa Maria Teresa Giaveri, Oltre a quella del “vero” e del “vero storico” potrebbe quasi aggiungersi la dimensione “onirica“: l’intero racconto pare pervaso da un senso di “sospensione” che oscilla tra “verità letteraria” e “sogno letterario” dei pionieri e interpreti di Omero. Tale dimensione metaletteraria pare proiettare il tutto in una dimensione di “sogno a occhi aperti”. Tuttavia sembra che la verità dietro la verità possa comprendersi solo attraverso il sogno propriamente detto. Pertanto non è forse un caso che Bouverie, dopo essere giunto presso le mura di Samsun, preda della stanchezza, cada addormentato e «nel sogno, riconobbe il suo sogno» (p. 201): nel brano che segue la citazione, relativo all’onirico ritrovamento di un signum indecifrabile, pare quasi palesarsi la consapevolezza della fragilità e dell’ineffabilità del verbo antico, delle parole di Omero e della ‘multiformità’ dei sensi della sua scrittura.

Qual è, secondo Lei, la relazione tra il senso della parola di Omero, che transita attraverso le interpretazioni di Bouverie e dei suoi compagni e che giunge fino ai giorni nostri?

Bouverie è la persona intorno a cui ho trovato meno documentazione storica, al di là della sua collezione d’arte e delle vicende relative agli oggetti della collezione stessa. Per questo, forse, mi sono permessa di creare e di accentuare certe caratteristiche del suo personaggio: ne ho fatto un giovane poeta, anche se il suo diario è, fra tutti, il più sintetico e il meno letterario. A lui – alle sue inquietudini, al suo fantasticare – ho affidato un aspetto importante del mio lavoro.

Nel 1750 l’archeologia era ben lontana dalle scoperte che oggi sono sapere comune; e ancora più lontana dalla situazione del nostro comune sapere su quella che dopo Darwin avremmo chiamato l’evoluzione umana. Quindi io mi trovavo di fronte a una situazione storica in cui si conosceva qualcosa del mondo classico (specie dopo la “riscoperta” dovuta al Rinascimento italiano) ma quasi niente del mondo pre-classico. Micenei, minoici, scrittura lineare A e B…nulla se ne sapeva. Qui interviene il personaggio Bouverie. Alle sue questioni irrisolte, ai suoi dubbi, al suo mondo onirico ho affidato elementi che portano a quel che si é scoperto secoli dopo. E persino a qualche anticipazione delle attuali tendenze dell’archeomitologia.

Ovviamente non posso citare la scoperta di Göbekli Tepe, che qualche decennio or sono ha rivoluzionato tutta la nostra storia archeologica; ma ho introdotto alcune idee di Marija Gimbutas utilizzando certe rivendicazioni delle femmes savantes francesi, i cui salotti potevano benissimo esser stati frequentati dai tre gentiluomini inglesi durante i loro soggiorni parigini. Nell’interrogarsi sul mondo di Omero, Bouverie percorre a ritroso la storia – la nostra storia, quella nota nel 1750, ma anche quella che é stata scoperta successivamente e persino quella che ancora stiamo investigando.

Fonte immagine: Maria Teresa Giaveri, Nei mari di Ulisse (Neri Pozza).

A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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