St. Mary Jane di Fabi Yoshida | Recensione e intervista

St. Mary Jane di Fabi Yoshida

«Il St. Mary Jane è quel nido di redenzione in cui vanno a rifugiarsi tutti i peccatori. Archie Evans ha commesso un solo errore nella sua giovane vita: essere se stesso. Elliot Anderson, di errori, se ne è già concessi parecchi.»

Era la fine del 2021 quando, dopo diverse titubanze e senza troppe aspettative, Fabi Yoshida, scrittrice emergente classe 1990, ha deciso di pubblicare il suo primo racconto su Wattpad, social network di narrativa che unisce migliaia di lettori e scrittori emergenti. Due anni più tardi quel racconto, dal titolo St. Mary Jane, è stato pubblicato come romanzo, diviso in quattro volumi.

La quadrilogia compone un racconto di genere romance, che apparentemente può sembrare uno young adult, ma le tematiche trattate e lo stile di scrittura si prestano perfettamente ai gusti di un pubblico più maturo: approfondiamo meglio St. Mary Jane attraverso la recensione dei volumi che compongono la prima parte della storia (The Winter Confession e The Spring Redemption) e l’intervista all’autrice.

St. Mary Jane: la trama

Archie Evans è un diciassettenne di Middlewich che sembra corrispondere all’idea di ragazzo modello: molto bravo a scuola, amante della cultura, non attratto dall’idea di abbandonarsi a vizi e dipendenze, legato alla famiglia – nonostante la prematura morte dell’amatissima madre abbia scombussolato completamente la solidità del suo nucleo familiare. Eppure, all’inizio del racconto, il ragazzo è in procinto di abbandonare la propria dimora per trasferirsi, assieme alla sorella gemella Honor, in un collegio privato a duecentoquaranta miglia da casa sua, una struttura che lo stesso Archie definisce come «un posto per privilegiati, viziati ragazzini abbienti che, in seguito a qualche disonorevole azione, erano stati incanalati verso la via della redenzione.». Ma perché un ragazzo tranquillo e ubbidiente come Archie dovrebbe frequentare un istituto con l’apparente obiettivo di redimere i peccatori e riportarli sulla retta via? Il peccato di Archie è quello di essere omosessuale. Quantomeno secondo il padre Leonard che, profondamente cambiato dopo la morte della moglie, sembra non essere più in grado di gestire i propri figli, di accettare che questi possano vivere la propria vita. Una vita che sembra essere sul punto di cambiare in maniera irrimediabile, ancor più di quanto sia successo a causa del doloroso lutto familiare.

Eppure un cambiamento, per quanto spaventoso, non è sempre un qualcosa di negativo: Archie inizierà a comprenderlo pochi istanti dopo aver varcato la soglia del St. Mary Jane, quando, nel corso di quello che potremmo definire come il suo tour di benvenuto, si imbatte negli occhioni blu – o meglio, color lavanda – dell’affascinante Elliot Anderson, un suo coetaneo apparentemente arrogante e sfacciato, che sembra totalmente indifferente alle rigide regole che governano l’istituto. Un incontro – o meglio, uno scontro – completamente casuale che si rivela ben presto profetico: Archie ed Elliot stringono ben presto un forte legame, una profonda amicizia che sfocia poi in una tormentata storia d’amore, attraverso cui i due ragazzi imparano a conoscere realtà diverse dalla propria ma, soprattutto, ritrovano sé stessi.

Intorno alla relazione romantica e burrascosa di Archie e Elliot, cuore pulsante della trama, ruotano le vicende di altri personaggi, anch’essi con una storia da raccontare e in grado di mostrare un diverso punto di vista riguardo la storia dei due protagonisti: il chiassoso e vivace Colin, vicino di stanza di Archie con cui il ragazzo entra immediatamente in sintonia; Zach, Caleb, Alyssa e Nayeli, gli amici di Elliot la cui strada si intreccerà inevitabilmente con quella di Archie. Tutte queste nuove conoscenze, oltre all’inscindibile rapporto con la sorella gemella Honor, che continua a consolidarsi nel corso della permanenza al St. Mary Jane, fanno sì che Archie rivaluti quel luogo che sembrava apparentemente così noioso, freddo e privo di vita: e se la tanto temuta via della redenzione non fosse la strada da percorrere per redimersi da un qualche peccato mai commesso, bensì un cammino alla ricerca del suo vero “io?

Recensione

Sebbene le premesse di St. Mary Jane possano far sembrare che si tratti di un classico romanzo young adult senza troppe pretese, la storia presenta elementi che si discostano parecchio da questo genere. Seppur utilizzando toni leggeri adatti anche a un pubblico adolescenziale, Fabi Yoshida è in grado di toccare tematiche profonde e delicate: attraverso le vicende dei personaggi veniamo a conoscenza di storie di omofobia, di abusi sessuali, di dipendenza, di eccessi; il tutto senza mai cadere nella banalizzazione, anzi, mettendo nero su bianco emozioni e sensazioni in maniera decisamente realistica, rendendo il tutto quasi tangibile. È forse proprio la capacità di rendere tangibile ciò che si legge il punto di forza dello stile di scrittura dell’autrice: il racconto presenta moltissimi momenti e elementi descrittivi, resi in un lessico elegante ma mai pomposo, in grado di far immergere completamente il lettore nell’ambientazione della storia. L’eleganza dello stile narrativo si contrappone al linguaggio colloquiale e diretto dei giovani protagonisti, che attraverso il loro sguardo adolescenziale riescono a trasmettere le emozioni che provano anche a chi l’adolescenza l’ha superata da un po’. I toni leggeri uniti al lessico impeccabile riescono a smorzare anche l’imbarazzo che può provare il lettore nell’interfacciarsi ai momenti più intimi: nonostante i capitoli in cui vengono descritti momenti passionali e erotici siano tanti e descritti in modo parecchio dettagliati, infatti, il tutto non risulta mai volgare o eccessivo.

Insomma, la lettura di St. Mary Jane è decisamente consigliata, in particolare a chi apprezza i racconti romantici o i teen drama che toccano in maniera incisiva tematiche delicate (come le serie televisive Skins o Euphoria), ma anche a chi, pur prediligendo altri generi, non disdegna mai un libro ben scritto e una storia ben raccontata.

Intervista con Fabi Yoshida, autrice di St. Mary Jane

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Immagine gentilmente concessa dall’autrice

Iniziamo con una presentazione: ti andrebbe di raccontare chi è Fabi Yoshida e come nasce la sua passione per la scrittura?

Certo. La mia passione è nata in giovanissima età, quando avevo otto anni. Cominciai a leggere libri per conto mio in prima elementare, da quel momento in me è scattato qualcosa, si è accesa una scintilla. Devo ringraziare la mia maestra di italiano per questo: è stata lei a invogliarmi, a incoraggiarmi. Il giorno in cui presentai a mia madre il mio primo racconto, lei rimase sconvolta di quanto la trama fosse dettagliata e fantasiosa e, benché certamente infantile, anche coerente. Suppongo che certi amori non si scelgano, sono loro a trovare te. Per me la scrittura è questo, la più travolgente, forse travagliata – però duratura – storia d’amore.

Da dove nasce, invece, St. Mary Jane? Nello specifico, quali sono state le maggiori fonti di ispirazione per la storia e per i personaggi?

Prima di St. Mary Jane venivo da un lungo periodo di blocco. Da anni provavo a buttare giù qualcosa e non ero mai soddisfatta di nulla, così lasciavo perdere. Era frustrante perché non so se una “scrittrice che non scrive” possa poi, in effetti, considerarsi tale. Ma col senno di poi ho capito che anche le pause, le difficoltà e i vuoti sono parte integrante di un unico grande processo. Credo che la quarantena mi abbia dato una grossa mano in questo: di punto in bianco sono stata costretta – come tutti – a rallentare, a mettere da parte impegni e obiettivi. In quel periodo ho ripreso a leggere, a guardare film, ho scoperto nuova musica. Questi elementi presi singolarmente non significano nulla, ma su di me hanno avuto un effetto strano, miracoloso. Da un giorno all’altro mi sono sorpresa a immaginare scene, quasi subito ho sentito l’impulso di buttare tutto nero su bianco. Ho iniziato a scrivere St. Mary Jane in un pomeriggio di fine agosto 2020; da allora non ho mai più perso la bussola. Ero un uragano di idee, le giornate non mi bastavano, non facevo altro che scrivere. In un primo momento sono stata persino precipitosa, perché col passare dei mesi mi sono resa conto di dover dedicare maggiore attenzione a questo o a quell’altro dettaglio, dare più spazio a certi personaggi, sviluppare meglio i risvolti. Ho riletto e corretto la storia – nata ufficialmente come fan fiction, prima di trasformarsi in romanzo – per ben cinque volte. All’inizio il St. Mary Jane avrebbe dovuto essere un ospedale psichiatrico degli anni ’90, poi, un passo dopo l’altro, l’ho trasformato in un collegio. Molta ispirazione mi è arrivata da un film che adoro: Lost and Delirious. In alcuni passaggi ho provato a rendergli omaggio, spero di esserci riuscita nel modo giusto. Per quanto riguarda i personaggi, è stato piuttosto semplice: ho avuto due muse incredibili, Harry Styles e Louis Tomlinson. Una volta creata nella mia mente quell’immagine di loro due con indosso le divise dell’istituto, immaginare tutto il resto è stato immediato.

La caratterizzazione dei protagonisti, oltre a basarsi su quelle che hai definito “muse incredibili”, racchiude in qualche modo un tuo riflesso? Nel senso: le personalità di Archie e Elliot presentano qualche elemento della personalità di Fabi? Chi dei due pensi ti rappresenti maggiormente?

In St. Mary Jane c’è tanto, tantissimo di me. Non sono particolarmente brava a raccontarmi ponendomi al centro del racconto in prima persona, ma so darmi voce attraverso i miei personaggi. Ho frammentato la mia personalità distribuendone a tutti loro, ma Archie ed Elliot sono quasi una mia proiezione. Penso di avere un temperamento per certi versi contorto; penso troppo e troppo in fretta. Così mi capita di coltivare pensieri completamente opposti su una stessa tematica a distanza di pochissimo tempo. Scherzando, dico spesso di avere una “sorella gemella invisibile”; ecco, Elliot e Archie si contendono la mia indole incostante. Se uno è calmo, l’altro è nervoso. Se uno è studioso, l’altro è scansafatiche. Se uno ha coraggio, l’altro ha paura. Se uno è affetto da una dipendenza, l’altro segue una rigorosa disciplina. Se uno è ordinato, l’altro vive nel caos. Se uno riesce a esprimersi scrivendo, l’altro lo fa scattando foto. Per questo sono così complementari: in realtà, insieme, Archie ed Elliot completano me. Non saprei scegliere un protagonista tra i due; sicuramente a Elliot ho affidato un compito più spinoso, quello di riportare l’inferno che ho vissuto con la mia dipendenza. Lasciandola raccontare a lui ho compreso cose che persino io ignoravo. Grazie a espedienti di questo tipo, con la stesura di St. Mary Jane sento di essere maturata anch’io insieme a loro.

Abbiamo detto che St. Mary Jane nasce da una fan fiction: non hai paura dei pregiudizi che questo potrebbe portare nei confronti del tuo lavoro?

Partiamo dal presupposto che il genere romance sia, già di per sé, soggetto a molti pregiudizi e critiche. Come se non fosse un genere letterario degno di merito, al pari di tutti gli altri. Il fatto che la mia storia fosse in origine una fan fiction, poi, fa il resto. Di sicuro tante persone l’avranno scartata per questo motivo o presa poco seriamente; io, in tutta onestà, ritengo di non aver scritto niente di meno che un romanzo a tutti gli effetti. In fondo ogni autore sceglie dei presta volto, io ho solo voluto concedere ai miei di non nascondere la propria identità per un po’ di tempo. La chiusura mentale però non mi fa paura. Forse St. Mary Jane non è una storia adatta a tutti ed è giusto che sia così.

Restando nel tema dell’imbarazzo: il tuo romanzo è molto inclusivo per quanto riguarda la comunità queer e parla apertamente di sessualità, oltre a contenere descrizioni piuttosto dettagliate di momenti e pensieri intimi. Hai avuto paura della reazione che avrebbero avuto le persone a te vicine leggendolo?

Vorrei dire di no, ma la verità è che l’idea che i miei si addentrassero in una delle tante scene di sesso mi terrorizzava. Il giorno in cui ho scoperto che mio nonno aveva acquistato i primi due volumi di St. Mary Jane ho sudato freddo. Lui però non era affatto turbato. Ho comunque voluto imporre dei limiti: ho seriamente vietato ai miei genitori di ficcare il naso. Non mi disturba invece che a leggere siano fratello, cugini, zii o amici: sanno perfettamente come sono fatta, non c’è pericolo che in loro si rompa l’illusione che di me si erano fatti.

In un certo senso, si può dire che il vero significato del ritrovare sé stessi che avviene all’interno dell’istituto St. Mary Jane sia riferito al conoscere meglio sé stessi attraverso i rapporti umani che lì si stringono. Ecco, parliamo di questo: i rapporti di amicizia che ci racconti sono parecchio profondi, i ragazzi tendono a fraternizzare in poco tempo e in maniera parecchio stretta – stringendo rapporti amicali anche molto affettuosi, il che è peculiare se si considera che stiamo parlando di adolescenti uomini. È la tua idea generale di amicizia o lo consideri più come un desiderio? Quanto pensi siano importanti i rapporti amicali nella formazione e nella crescita degli adolescenti?

Da piccola ero legatissima a mia madre, lei era la mia migliore amica. Avevamo un rapporto giocoso, intimo e affettuoso; non mi ha mai fatto mancare baci, carezze e abbracci. L’idillio è perdurato fino alle soglie di quel magico, tragico periodo chiamato adolescenza. All’improvviso ho sentito il bisogno di affermare la mia indipendenza e questo mi ha portato ad allontanarmi da lei. Il distacco improvviso mi ha lasciato addosso una ferita viva e dolorosa, benché non volessi ammetterlo. A quel punto, senza accorgermene, ho ricercato quel contatto perduto in altre persone, nei miei amici e i miei partner. Forse sono stata fortunata, o si potrebbe considerare una sorta di selezione naturale, ma tutti i legami stretti nella mia vita sono stati ricchi di amore e sostegno. Nel mio piccolo gruppo di amici ho trovato una seconda casa: maschi, femmine, non ha mai fatto differenza. Volevo che i personaggi di St. Mary Jane sperimentassero lo stesso tipo di sentimento, quel senso di accoglienza e di protezione che alle volte può venire a mancare con difficili situazioni familiari. Quando a cinque anni giocavo con le Barbie, mettevo loro addosso una coperta e le lasciavo dormire. Saperle al caldo mi dava un senso di benessere. Regalare tutto l’amore del mondo ad Archie, Elliot, Colin e a tutti gli altri, è stata un po’ la stessa cosa.

Altro elemento importante sono le relazioni familiari, tra cui spicca in particolar modo il rapporto tra Archie e Honor. Ce ne vuoi parlare?

Io ho un fratello. È un po’ più grande di me, ma siamo ugualmente cresciuti insieme. Abbiamo vissuto le stesse mancanze, le stesse ricchezze, seppure assimilandole in maniera individuale e diversa. Credo di essermi ispirata a questo nelle dinamiche tra Archie e Honor, ma non solo. Sono sempre stata molto attratta dal rapporto di gemellanza, un po’ perché, come dicevo prima, percepisco quasi l’esistenza di due me, di due gemelle. Quello dei gemelli è un tema che si ripresenta anche in altri miei racconti. Penso che non esista qualcosa di più esclusivo e intenso di questo. Archie e Honor sono così simili, eppure diversi: dove uno perisce, l’altra continua a lottare. In questo modo non saranno mai davvero da soli.

Spostiamoci su un’altra tematica importante all’interno della storia: il St. Mary Jane apparentemente è un istituto caratterizzato da regole rigide, ma è piuttosto chiaro che queste non influiscano particolarmente sul comportamento dei ragazzi, dato che il motto diventa ben presto “fanculo alle regole”. Ecco, questa opposizione alle regole è una scelta meramente narrativa o c’è dell’altro sotto? Nel senso: pensi che l’eccesso di regole possa essere in qualche modo dannoso nello sviluppo della personalità?

Penso che le regole siano utili per trovare una direzione, senza di quelle saremmo tutti alla deriva. Allo stesso tempo però mi piace pensare che i personaggi di St. Mary Jane possano prendersi una rivincita, sovvertire le imposizioni e godere di ciò che li circonda, dopo aver attraversato situazioni tristi e complicate, ciascuno per motivi diversi. Quindi, ecco, sono dell’idea che il proverbiale strappo alla regola non sia del tutto maligno, che a volte è giusto, che serve a respirare. Se questi ragazzi avessero preso ogni singola regola alla lettera, non avrebbero poi raggiunto il vero scopo: imparare ad amare e a lasciarsi amare.

Cosa ci dici riguardo i tuoi progetti futuri, invece? Hai già qualche idea? Pensi di rimanere sullo stesso genere letterario o ti piacerebbe provare a spaziare?

Sembrerà assurdo ma non sono una lettrice di romance. Il mio genere preferito, sia in ambito letterario, sia cinematografico, è il thriller/horror. La mia nuova sfida sarà cimentarmi in questo, provare a staccarmi dal mero ruolo di spettatrice e dare vita a un qualcosa di più truce. Ho già delle idee in testa, ma mi serve tempo per approfondirle al meglio. Chissà!

Fonte immagine in evidenza: copertina di St. Mary Jane – The Winter Confession

A proposito di Paola Cannatà

Studentessa magistrale presso l'Università degli studi di Napoli "L'Orientale". Le mie più grandi passioni sono i peluche e i film d'animazione Disney, ma adoro anche cinema, serie TV e anime (soprattutto di genere sci-fi), i videogiochi e il buon cibo.

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