Un mezzo uomo di Giovanni Basile | Recensione e Intervista

Un mezzo uomo di Giovanni Basile

Un mezzo uomo è il quarto libro di Giovanni Basile, pubblicato nel 2023 dalla casa editrice Illimitarte, la cui presentazione si terrà Lunedì 5 Febbraio presso la libreria Raffaello di Napoli, in Via Michele Kerbaker 35.

Giovanni nasce nel 1998, si laurea in Documentario presso l’università LIVRe, ed è adesso un insegnante presso gli istituti tecnici in Campania, nello specifico nella Provincia di Salerno.

Un mezzo uomo di Giovanni Basile

Nel libro Un mezzo uomo l’autore ci racconta un viaggio all’interno della vita del protagonista , una vita piena di difficoltà e sofferenza, un tunnel buio e infinito, alla fine del quale sembra non ci sia speranza di trovare uno spiraglio di luce. La trama del libro è molto semplice: Gè, un inetto, un essere condannato all’insoddisfazione e alla sofferenza, un “patetico ammasso di carne” che non riesce a trovare una ragione per andare avanti nella vita, ma che comunque tenta.

Questo libro è la rappresentazione di momenti bui che forse non tutti attraversano nella vita, ma anche di preoccupazioni e quesiti esistenziali che fanno parte della quotidianità e della crescita di ogni individuo. Per questo il racconto ha il compito di portare alla riflessione, ma anche all’immedesimazione di noi stessi nel personaggio; un personaggio che le ha passate tutte, che ha vissuto la cattiveria in ogni sua forma e ogni suo grado, e proprio per questo riconducibile, anche in minima parte, all’esistenza di ognuno di noi.  

Le prime pagine di Un mezzo uomo ci presentano subito la pateticità del protagonista, che ricorda un po’ la vita di un uomo che ha già dato e perso tutto, e che si lamenta e soffre adesso solo per amore. Un amore in questo caso mancante, da un lato già perso perché proveniente (o meglio, non proveniente) da una persona che non era quella giusta, e successivamente cercato in un’altra persona che, secondo Gè, poteva esserlo. Il dolore della speranza che rimane per un ultimo tentativo, un ancorarsi a qualcosa che potrebbe essere davvero reale, perché poteva esserlo anni fa e non lo è stato per una sua mancanza.  In realtà il suo amore sarà solo un pretesto per concentrare il suo mal di vivere in qualcosa che è ancora recuperabile, o almeno lo è nella mente del protagonista. 

Sembrerebbe, a inizio lettura, che sia tutto incentrato su una sofferenza sentimentale, ma più avanti la ricerca disperata iniziale di qualcuno da amare prende un significato diverso quando si capisce cosa c’è dietro l’essere un mezzo uomo. Tutta questa situazione di pena d’amore provoca sì un senso di compassione, ma dà delle apparenze tragicomiche che svaniranno gradualmente avanzando nella lettura, diventando tutte a un tratto solamente tragiche e spunto di una riflessione molto più profonda di quanto ci è dato pensare all’inizio.  

Il libro è anche trattazione di temi precisi e ben strutturati, cronologicamente presentati man mano che Gè cresce e diventa quello che ci viene presentato come un mezzo uomo. La dimostrazione di cosa ci porta ad essere un soggetto del genere, il male della vita che si mostra in tutte le sue forme e ti influenza dall’esterno facendoti pensare che non ci si può districare e liberarsi da questo agglomerato di difficoltà.  La famiglia, il Sud e la mafia, la scuola e i bulli, lo Stato, la società e l’arretratezza. Tutto ciò, insomma, che ha contribuito nella vita di Gè a creare un uomo che di uomo ha solo la capacità di andare avanti per inerzia, senza prendere in mano la propria vita.  

Ma Un mezzo uomo è anche speranza, è la visione della luce alla fine del tunnel, quando pensi di aver finito le forze e di non farcela più. Però l’autore non permette a Gè di realizzare tutto da solo: c’è sempre qualcuno, importante o meno, che parla e agisce da fuori al momento giusto, aiutandolo ad aprire gli occhi e a vedere il mondo da una nuova prospettiva.

Intervista con Giovanni Basile

Fonte immagine: gentilmente concessa dall’autore

Come è nata l’idea del libro Un mezzo uomo? C’è qualche fatto o vicenda che ti ha dato ispirazione per la storia?

«Il libro è nato nel periodo della conclusione della mia prima laurea, che casualmente coincise con la pandemia. In quel momento notai le comuni difficoltà lavorative che affliggevano un po’ tutti, così come le sfide specifiche dei miei coetanei, dalle difficoltà nel relazionarsi al confronto con gli altri. Eran diffuse le visioni di rimpianti e delusioni, quindi ho deciso di scrivere di un ragazzo, Gè, che si ritrova in questa situazione. Gè è un giovane a cui molte opportunità sono state negate, e che alla fine si ritrova a vagare in un senso di vuoto. La sua storia è un po’ il racconto delle difficoltà giovanili che tutti viviamo nella nostra vita».

Nell’introduzione al libro si sottolinea che nessuno dei fatti o personaggi fa riferimento alla realtà . Ma c’è qualcosa che può definire il tuo romanzo anche parzialmente autobiografico?

«Nessun personaggio è realmente esistente, non solo per ragioni burocratiche e legali. Tutti sono frutto delle persone che ho incontrato e che ho poi ricreato nel libro, esaltandone a volte le peculiarità caratteriali. In Gè c’è qualcosa di autobiografico, ovvero il tendere a pensare un po’ troppo, come me. Per il resto, in lui si ritrovano le sfumature di molteplici persone e esperienze che ho incontrato nel corso della mia vita».

Pensi che la situazione da “mezzo uomo” possa essere vissuta da tutti? La definiresti una fase che tutti attraversano prima o poi?

Diciamo che sì, è così. Gè è costantemente assorto nei ‘se’: ‘Se avessi fatto questo’, ‘Se avessi incontrato quella persona’, ‘Se mi fossi comportato in quel modo’, ‘Se avessi scelto quell’altra strada’. Questo costante pensare ai ‘se’ e vivere nel rimpianto del passato porta a non vivere veramente il presente, a restare intrappolati a metà tra le proprie emozioni, diventando così ‘un mezzo uomo’».

Nella vita del protagonista sembrerebbe non esserci una figura di riferimento o un modello da seguire, se non in un certo senso nella figura della madre e del professor Lingua Nera. Chi ha davvero avuto più impatto nella vita di Gè?

«Il Professor lingua nera è un insegnante noto per il suo linguaggio crudo e ricco di parolacce. Attraverso questo approccio, spinge i giovani, soprattutto il timido Gè, che è spesso vittima di bullismo, ad avanzare. Anche la madre di Gè, con il suo modo di dire “non pensarci troppo, Gè, e tocca il culo alle femmine”, si inserisce in questa dinamica. Entrambi, nonostante la loro bizzarria pedagogica, non desiderano il male di Gè né vogliono incitare alla violenza; piuttosto, cercano di stimolarlo alla crescita, considerando la sua stagnazione emotiva. Credo che, in certe situazioni, degli ‘scossoni’, sebbene debbano essere moderati e pedagogicamente appropriati, possano aiutare chi è impantanato nelle proprie difficoltà.

Oltre alle difficoltà e la cattiveria che il protagonista di Un mezzo uomo subisce e affronta nella sua vita, non passa in secondo piano ciò che viene detto sul contesto socio-politico napoletano. Il libro vuole anche essere una critica ai problemi del meridione e Napoli in particolare?

«Alla fine, Gè viene sopraffatto da un’esplosione di rabbia, arrivando a odiare tutto e tutti, perché non ha mai avuto esempi positivi in ambiente scolastico e familiare. Odia le persone, le cose, la società in cui vive, il bigottismo dei luoghi in cui abita, caratterizzati da povertà e ignoranza. Scopre che, nonostante il tentativo di fuga, non si può sfuggire all’eterno dolore. Gè soffre sia nella provincia di Napoli che a Torino».

Ad un certo punto Gè si rende conto che lo studio rende liberi. C’è qualcosa che vorresti dire in merito, come messaggio volto ad invogliare il tipo di gioventù che descrivi nel libro a non mollare l’apprendimento?

«La rabbia di Gè è il risultato dell’ignoranza, sia la sua che quella degli altri. Gli ‘scossoni’ del Professor lingua Nera sono intesi a far comprendere a Gè l’importanza dello studio e della comprensione. Si rende conto che chi lo maltratta a scuola, forse lo fa perché è più disperato e infelice di lui e ha bisogno di aiuto. Studiare, comprendere, approfondire, aiutare e mostrare solidarietà sono le chiavi per una vita serena, che aiutano non solo Gè, ma possono essere di beneficio per l’intera società, portando a una convivenza più pacifica e armoniosa».

Fonte immagine articolo “Un mezzo uomo di Giovanni Basile”:  gentilmente concessa 

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