Musica soul, la musica dell’anima: origini e protagonisti

Musica soul, la musica dell'anima: origini e protagonisti

 Musica soul: Musica soul | Riflessioni

Soul, letteralmente “anima” in inglese, è un termine usato per riferirsi essenzialmente ad un genere musicale, la “musica dell’anima”, sviluppatasi negli Stati Uniti intorno agli anni ‘50, dalla commistione di sonorità jazz e del rhythm&blues con la musica gospel, dalla quale provenivano moltissimi interpreti della musica soul, passati in pochi anni dalle cappelle delle chiese protestanti alle sale da concerto.

Le origini stilistiche del soul sono da individuarsi nel jazz, nel rhythm&blues sviluppato in una versione urbanizzata e commerciale, nel gospel, nel pop, nel blues e nello swing.

La musica soul risultò essere la base per i gruppi r&b degli anni ‘70, ‘80, e ’90 e fu sempre fonte d’ispirazione per i musicisti di tutto il mondo, che ne riproposero la tipologia tradizionale.

Diritti civili ed aspetto religioso

I primi due decenni della musica soul, che vedono affermarsi i caratteri distintivi di questo genere, basato su ritmo trascinante, virtuosismi vocali, cori e fiati, sono gli anni in cui la minoranza nera rivendica i propri diritti in modo sempre più convinto e la musica non può fare altro che diventarne espressione.

Sbagliato, tuttavia, sarebbe scindere la religiosità dalla musica soul, di derivazione prettamente afroamericana, in cui appare costante un atteggiamento di esaltazione spirituale, legato peraltro all’esistenza terrena, con una carica religiosa che finisce per diventare caratteristica musicale, anche in ambito laico. La musica è sempre cornice, ed anzi finisce addirittura per scandire i vari momenti, della vita collettiva. Il soul, nello specifico, si esprime con la vicinanza dello spirito religioso ad aspetti della vita profana, persino sessuali.

I protagonisti della musica soul

Il creatore della musica soul fu Ray Charles, che, con “I got a woman” nel 1955,  riuscì a fondere il lamento di derivazione gospel con l’impeto del r&b, fusione che fece scalpore, dividendo coloro che si elettrizzarono per il nuovo sound da chi rimase sconcertato e indignato per la commistione di sacro e profano. Ma l’artista andò oltre, introducendo nella sua musica anche rimandi jazz e country, predominante nel sud segregazionista, dove era cresciuto.

Alle sue spalle, fortunatamente, Charles aveva Atlantic, come casa discografica, tra le prime, insieme a Modern, Specialty, Imperial, Motown ed Aristocrat (la futura Chess), a promuovere la musica nera in tutte le sue declinazioni. In effetti l’Atlan­tic rappresenta una delle eti­chet­te-chia­ve del soul, seguendo successivamente ar­ti­sti come Solomon Burke, Wil­son Pic­kett, Otis Redding e Aretha Franklin.

Coloro che aiutarono Charles a trasformare la musica nera dal r&b al soul furono poi  Sam Cooke e Jackie Wilson.

Cooke, considerato non a torto “il più grande interprete soul di tutti i tempi,” fu anche tra i primi a firmare personalmente le proprie canzoni, da quelle più vicine alle forme tradizionali del doo wop come “You Send Me” alla splendida “A Change is Gonna Come”, una delle espressioni più belle del soul “socialmente impegnato”.

Altrettanto importante anche se spesso ignorato è Jackie Wilson, con maggior predisposizione per i live: animale da palco impareggiabile, dotato di grinta e di aggressività coinvolgenti, Wilson è penalizzato dalla registrazione in studio con pezzi spesso melodici e lenti, poco affini alla sua verve.

A livello di performance l’unico in grado di oscurare Wilson è James Brown, “Padrino del soul” o “Mr. Dinamite”, notevolmente avanti rispetto ai suoi contemporanei già nel 1956, con “Please please please” in cui si possono leggere le prime avvisaglie di quello stile di soul frenetico sulle tracce di un rhythm&blues spiritato. Con la sua “Papa’s Got a Brand New Bag”, del 1965, invece, nacque il funk.

Grazie a questa schiera di eccezionali pionieri, il soul divenne la musica nera per eccellenza, con una doppia valenza: da un lato era una risposta al folk bianco, sottostrato delle lotte per i diritti civili della minoranza nera, dall’altra si affermò come musica da festa e da ballo.

È una sonorità soul dalla forte connotazione pop quella portata in testa alle classifiche dai girl groups neri dei primi ’60 come Shirelles e Ronettes.

È invece un soul di invettiva politica e ribellione quello che anima i pezzi di Otis Redding, che alterna con maestria ballate pacate, ritmi sfrenati ed un inno generazionale come “Satisfaction”.

Partito con pezzi tradizionali, invece, Marvin Gaye comincia ad intraprendere sentieri mai percorsi prima dal soul con un pezzo dall’arrangiamento ambizioso e maestoso come “I Heard it Through the Grapevine”, la più grande hit a memoria d’uomo della Motown. Nel 1971, Gaye realizza un capolavoro indiscusso della musica nera “What’s Goin’on”, album basato sui pensieri di un reduce del Vietnam, nella realizzazione del quale Gaye si ispirò al fratello Frankie. Un po’ lamento gospel, un po’ invettiva politica, l’album racconta di degrado urbano, turbolenze militari, brutalità della polizia, disoccupazione e povertà; il sound è raffinato, commovente, contaminato dal jazz.

In modo completamente opposto e spesso antitetico rispetto a Gaye, con cui è l’unico a poter rivaleggiare nella sfida compositiva, Stevie Wonder riuscì ad introdurre nel soul sonorità nuove e ambienti inediti divenendo punto di riferimento ed anche pioniere dell’elettronica con l’album “Talking Book” (1972). Di fatto Wonder faceva pop, portato però a livelli melodici tali da far considerare l’artista la controparte soul dei Beatles, e riusciva a renderlo impegnato o viceversa, affrontando temi “caldi” con eguale efficacia ma in modo meno drammatico rispetto al soul tradizionale.

Un caso a parte è costituito da Van Morrison, già frontman dei Them, straordinario interprete soul e folk, che ha regalato canzoni di ampio respiro, pezzi che abbracciano con apparente disinvoltura folk, jazz e soul.

Tra gli interpreti, internazionali, oltre ai già citati, della musica soul o derivante dal soul, impossibili da dimenticare sono Enzo Avitabile, Mary J. Blige, Aretha Franklin,  Joe Tex, Mariah Carey, Kehlani, Janis Joplin, Jackson 5, Etta James, Barry White, Donny Hathaway, Luther Vandross, Ann Peebles, Patti LaBelle, Chaka Khan, Shirly Brown, Gladys Knight, Anita Baker, Anastacia, Adele, Amy Winehouse, Emeli Sandé, Alicia Keys, Clarence Carter, Joss Stone, Al Green, The Impressions, Curtis Mayfield, Isaac Hayes, Smokey Robinson, Sam & Dave, Sly & the Family Stone, The Spinners, The Staple Singers, Florence Welch, Billy Paul, David Ruffin, Martha Reeves and the Vandellas,Teena Marie, Jessica Brando, Angus & Julia Stone, The Miracles, Maxine Weldon, Sounds Of Unity and Love, Stylistics, Lena Mayer Landrut, Sarah Cheng de Winne, Timi Yuro, Duffy, Ben L’Oncle Soul, Teddy Pendergrasse in Italia Giorgia Todrani, Alex Baroni, Mario Biondi e Nina Zilli.

Varietà della musica soul

Punto di riferimento principale per il soul degli anni ’60 sono le case discografiche. L’abitudine di associare alle diverse etichette determinate sonorità ed atmosfere nasce proprio con le label soul, da un lato scelte editoriali delle label, dall’altra effetto collaterale della tradizione, per cui ogni etichetta ha una sua band strumentale, destinata ad imprimere al sound un carattere unitario.

Così, per esempio, il suono della Stax Records, il cosiddetto southern soul, è in gran parte ruvido e ancora vicino al rhythm and blues, destinato a prosperare fino all’avvento dei ’70.

Alla Tamla Motown, ci si rifornisce di soul virato verso il pop, perlopiù figlio di gruppi come TemptationsFourTops, Supremes, Commodores, ma soprattutto Wonder e Gaye.

Il cosiddetto Memphis soul , della Hi Records, si sviluppa grazie alla backing band Hi Rhythm Section e a Willie Mitchell, padrone di casa ed architetto di un suono dolce ma non leggero, che con le sue raffinatezze anticipa il Philly Sound degli anni ’70, che marchia indelebilmente le melodie vellutate dei DelfonicsHarold Melvin & the Blue Notes e O’Jays.

Un’ultima precisazione riguarda due fenomeni relativamente slegati all’evoluzione del soul. Con blue-eyed soul si intende non proprio un filone quanto una combinazione, che vede il cantante bianco che si misura con pezzi soul, destinata a ripresentarsi frequentemente nei decenni successivi: negli anni ’60 ricordiamo i Box, mentre nei ’70 artisti brilleranno artisti diversissimi tra loro come Hall & Oates, la Average White Band e Robert Palmer, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Poi ci fu anche il northern soul, diffusosi nel nord dell’Inghilterra, in cui si trovava un gran numero di club che, tra i primi anni ’70 e la seconda metà del decennio, animavano le serate inglesi con revival della musica soul e r&b.

L’evoluzione della musica soul ha portato nei decenni alla nascita di diversi sottogeneri: Nu soul, che fonde il soul con l’r&b contemporaneo e con il pop rap; Hip hop soul, incontro tra l’r&b contemporaneo e l’hip hop; Pop soul, più commerciale; Smooth soul, dalla commistione di soul, funk e musica pop; Soul jazz, nato dall’hard bop e da sonorità blues, gospel e r&b; Southern soul, conosciuto anche come “deep soul” o “country soul”, con origini gospel, tipico soul del sud degli Stati Uniti.

Cultura della musica soul

Di grandissimo pregio, infine, è il libro Soul Music di Peter Guralnick, uscito in Italia nel 1987, un lavoro ineguagliabile per completezza, ad oggi ancora insuperato. Nessuno meglio di Guralnick ha spiegato che cos’è la musica soul, il suo sgorgare dal sogno di libertà del Sud, il legame fra tecnica e sentimento, il suo continuo spingere sui confini di melodia e convenzione, la sua derivazione dal gospel e la sovrapposizione dapprima negata con il rhythm’n’blues. Insomma, la Bibbia del soul.

Affascinante e coinvolgente la storia di questo genere musicale. Assolutamente da conoscere.

Fonte immagine: Pixabay 

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