Taedium Vitae: significato, principi e riflessioni

Il taedium vitae: fra letteratura e arte

Il taedium vitae, traducibile dal latino come “noia della vita”, è un’espressione utilizzata per descrivere uno stato di profonda insoddisfazione esistenziale, un senso di vuoto e di mancanza di scopo che può affliggere l’individuo. Non si tratta di una semplice noia passeggera, ma di un sentimento più radicale e pervasivo, che investe l’intera esistenza e si accompagna spesso a un senso di stanchezza, di apatia e di distacco dalla realtà. Questa condizione di profondo tedio e avversione per l’esistenza è stata oggetto di riflessione da parte di filosofi, scrittori e artisti di ogni epoca, che hanno cercato di comprenderne le cause e di trovare possibili rimedi.

Cos’è il taedium vitae: definizione e origini del termine

L’espressione latina taedium vitae si compone di due termini: “taedium“, che significa “tedio”, “noia”, “disgusto”, e “vitae“, genitivo di “vita“, “vita”. Letteralmente, dunque, può essere tradotta come “tedio della vita”, “disgusto per l’esistenza”, o anche “sazietà della vita”. La locuzione, nella sua accezione moderna, si è diffusa principalmente grazie alla letteratura e alla filosofia di epoca romana, in particolare con Seneca, che ne ha fatto uno dei temi centrali della sua opera De tranquillitate animi. Il filosofo romano dipinge il taedium vitae come una condizione patologica dell’anima, una sorta di malattia esistenziale che si manifesta con un profondo senso di insoddisfazione, di inquietudine e di vuoto interiore.

La noia esistenziale nella medicina ippocratica: il ruolo della bile nera

Sebbene il termine taedium vitae sia di origine romana, il concetto di noia esistenziale e di malinconia ad esso correlato ha radici ben più antiche. Già nella medicina greca ippocratica, infatti, si parlava di “melancholìa”, un termine composto di “mélas, mélanos” (nero) e “cholé” (bile), dunque “bile nera”. Secondo Ippocrate, la bile nera era uno dei quattro umori fondamentali del corpo umano (insieme alla bile gialla, al flegma e al sangue), il cui equilibrio determinava lo stato di salute fisica e mentale dell’individuo. Un eccesso di bile nera, secondo la teoria ippocratica, provocava uno stato di profonda tristezza, apatia e avversione per la vita, sintomi che richiamano da vicino quelli del taedium vitae. La malinconia veniva vista come una vera e propria patologia, causata da uno squilibrio fisiologico, ma che aveva profonde ripercussioni sulla sfera emotiva e psicologica della persona. Si riteneva che l’eccesso di bile nera potesse essere curato attraverso una dieta appropriata, l’esercizio fisico e l’assunzione di rimedi naturali.

Taedium vitae, malinconia e noia: differenze e analogie

Il taedium vitae è spesso associato ad altri stati d’animo negativi, come la malinconia e la noia. In effetti, questi tre concetti presentano diverse somiglianze, ma anche alcune importanti differenze. La noia è generalmente intesa come uno stato di insoddisfazione transitorio, legato alla mancanza di stimoli o di attività interessanti. La malinconia, come detto in precedenza, è considerata dalla medicina ippocratica come una condizione patologica legata all’eccesso di bile nera, che provoca un umore triste e un senso di vuoto esistenziale. La persona colta da stato malinconico tende spesso ad escludersi dalla vita sociale e a negare il trascorrere del tempo, volgendosi verso un passato o un futuro idilliaco. Lo scrittore francese Victor Hugo scriveva che «la malinconia è la gioia di essere tristi». Questo perché si tende a crogiolarsi in essa, nonostante il sentimento di tristezza immane che reca con sé. Come provare un sottile piacere stagnandosi nei meandri di ricordi e desideri languidi. La malinconia di fatto non sussisterebbe priva di memoria e desiderio, perché un’anima malinconica è colei che soffre per qualcosa che le ha donato estasi e felicità in passato e che purtroppo sa di aver perso. Ma il malinconico soffre altresì nel desiderio di un qualcosa che manca, qualcosa di imprescindibile, di non ben definito, ma importante, verso cui inconsapevolmente tende, spesso un amore irrealizzabile o semplicemente bramato. Il taedium vitae, rappresenta uno stato d’animo più generalizzato e pervasivo, un senso di disgusto e di rigetto nei confronti della vita stessa, in tutte le sue manifestazioni. Mentre la noia può essere superata trovando nuove attività o interessi, e la malinconia può essere alleviata cercando di riequilibrare gli umori corporei o coltivando ricordi positivi, il taedium vitae richiede un lavoro più profondo su se stessi e sul proprio rapporto con l’esistenza.

Il taedium vitae in letteratura: da Seneca a Montale

Il tema del taedium vitae ha attraversato la storia della letteratura, trovando espressione in autori di epoche e contesti culturali molto diversi tra loro.

Seneca e il De tranquillitate animi: la ricerca di un equilibrio

Nell’opera di Seneca il tema del taedium vitae emerge significativamente, inteso alla maniera leopardiana come “insoddisfazione”, nel De tranquillitate animi. Anneo Sereno, il destinatario dell’opera, è annoiato dell’esistenza, sconvolto dalla morte di suo fratello e indeciso se dedicarsi agli affari (negotia) o all’otium. Seneca, allora, suggerisce all’amico di trovare un equilibrio tra i due modi opposti di affrontare l’esistenza: Sereno non deve farsi travolgere dall’eccessivo attivismo, né isolarsi completamente dalla vita civile. Ecco, dunque, che secondo il nostro autore, ottimo conoscitore dell’animo umano, l’ideale supremo del sapiens è l’assenza di turbamento, la serenità dell’animo e l’esercizio perpetuo della virtus.

Orazio e la strenua inertia come fuga inutile

Anche Orazio affronta il tema del tedio esistenziale, parlando di strenua inertia, una condizione di torpore interiore, una smania, fonte di continua inquietudine. Il tema del taedium vitae si lega alla commutatio loci: il viaggio, come tentativo di superare il tedio. Si tratta di un tentativo vano, perché l’anima non si rassegna con lo spostamento. Seneca, infatti, ritiene che l’unica soluzione sia il possesso di sé, capace di far superare il senso di instabilità e di timore.

Da Agostino al Cristianesimo: la cura dell’anima

Questo senso di rifugio interiore ritornerà anche in Agostino, che riprende il linguaggio senecano, trasponendolo nel linguaggio cristiano. Il luogo di pace che si trova nel profondo di se stessi, che indicava Seneca, viene riletto in chiave cristiana come il luogo in cui avviene l’incontro con Dio.

La noia esistenziale in Leopardi: un sentimento nobile

La noia è uno dei temi principali della poetica leopardiana. A differenza dell’accezione moderna, per Leopardi, la noia è: «il più nobile dei sentimenti umani e il maggior segno di grandezza e di nobiltà, perché è la prova tangibile dell’aspirazione dell’animo umano a un piacere illimitato che gli è affine». Insomma, il sentimento di tedio misto alla frustrazione è una conseguenza alla perpetua tensione dell’uomo verso l’infinito.

Montale e lo spleen baudelairiano: il male di vivere

Un altro rappresentante della letteratura italiana che ha affrontato il tema della noia, è stato Eugenio Montale. In Spesso il male di vivere ho incontrato, Montale fornisce la sua visione di taedium vitae. All’interno del componimento, tale condizione viene espressa attraverso tre immagini: il rivo strozzato, la foglia riarsa e il cavallo stramazzato. L’autore è stato sicuramente influenzato dalla visione di Baudelaire; egli, infatti, è stato colui che ha reso popolare il termine spleen: una noia esistenziale, un disinteresse totale per il vivere, uno stato di profonda malinconia. Di seguito il testo:

Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

La letteratura moderna affronta il tema della noia, intesa ancora una volta come insoddisfazione e inadeguatezza verso l’esistenza, anche con Jean-Paul Sartre. La nausea, una delle opere più celebri dell’autore, è il termine che Sartre utilizza per indicare l’incapacità di definire, di dare un ordine alle cose. Tutto, compresa l’esistenza stessa, diventa qualcosa di troppo, di insostenibile. Con La nausea, Sartre ha dato vita ad un capolavoro della letteratura mondiale e, assieme a Camus, è diventato uno dei principali esponenti dell’esistenzialismo.

Il taedium vitae nell’arte: l’esempio di Van Gogh

Il taedium vitae non è solo un tema letterario, ma anche un soggetto ricorrente nell’arte. Un esempio emblematico è quello di Vincent Van Gogh, la cui vita e la cui opera sono state profondamente segnate da un senso di malinconia e di insoddisfazione esistenziale. «Invece di abbandonarmi alla disperazione, ho optato per la malinconia attiva, per quel tanto che mi consenta l’energia, in altre parole ho preferito la malinconia che spera, che aspira e che cerca a quell’altra che, cupa e stagnante, dispera». Queste le parole di Van Gogh, rivolte a suo fratello Theo. Parole che esprimono la necessità di una malinconia intesa non come arresa totale nei confronti dell’esistenza, ma come fuoco di vita che ogni giorno si compie e ci permette di dare un senso alla nostra esistenza. Nelle sue lettere, Van Gogh descrive spesso il suo stato d’animo come una sorta di “malinconia attiva”, una forza che lo spinge a creare e a cercare un senso nella vita, nonostante il dolore e la sofferenza.

Come affrontare il taedium vitae

Sebbene il taedium vitae sia una condizione complessa e difficile da superare, esistono alcuni possibili approcci per affrontarlo. Innanzitutto, è importante cercare di comprendere le cause profonde del proprio malessere, magari con l’aiuto di uno psicologo. In secondo luogo, può essere utile cercare di dare un nuovo senso alla propria vita, individuando obiettivi e progetti che possano ridare entusiasmo e motivazione. Anche coltivare le relazioni sociali e dedicarsi ad attività piacevoli e stimolanti può contribuire a migliorare il proprio stato d’animo.

In conclusione, il taedium vitae è uno stato d’animo complesso e sfaccettato, che affonda le sue radici nella storia del pensiero umano. Riconoscerlo e comprenderne le cause è il primo passo per affrontarlo e ritrovare il piacere di vivere.

Fonte immagine: Wikimedia Commons

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A proposito di Francesco Pollio

Studente di Lettere Classiche presso Università degli Studi di Napoli Federico II. Appassionato di poesia, teatro e musica. Fervido lettore, mi incuriosisce tutto ciò che riguarda il mondo antico.

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