Cappella degli Scrovegni, il tesoro del gotico italiano

Cappella degli Scrovegni

La Cappella degli Scrovegni di Padova è uno dei monumenti più emblematici del gotico italiano, complice anche il tesoro che custodisce al suo interno: gli affreschi dipinti da Giotto di Bondone, il più importante pittore del periodo che ha lasciato un ampio pezzo della sua arte anche nella città veneta.

Cappella degli Scrovegni, storia della sua costruzione

Nel 1300 il banchiere Enrico degli Scrovegni acquistò da un nobile decaduto il terreno su cui si trovavano i resti dell’antica arena di Padova. Lì ricevette dal vescovo l’autorizzazione per far costruire una cappella intitolata a Santa Maria della Carità. L’edificio era adiacente al Palazzo degli Scrovegni (abbattuto nell‘800) e ne costituiva l’oratorio e il mausoleo privati della famiglia.

Per molto tempo è circolata la credenza per cui Enrico fece costruire la Cappella degli Scrovegni per espiare i peccati commessi dal padre Rinaldo, collocato da Dante nel diciassettesimo canto dell’Inferno tra gli usurai. In realtà è più probabile che la costruzione dell’edificio fosse vista come un mezzo per guadagnarsi facilmente le simpatie della Chiesa, un’istituzione che pur condannando l’attività di banchieri ed usurai rientrava anche nella lista dei loro clienti più “affezionati”.

La Cappella fu costruita e decorata in due anni, tra il 1303 e il 1305. È composta da una navata unica con una volta a botte chiusa da un arco, al di là del quale si trova una piccola abside con la tomba di Enrico.

In origine l’abside doveva essere molto più grande, ma fu ridimensionato quando i frati eremitani, che avevano un convento nella stessa zona, protestarono con il vescovo di Padova. Il motivo fu il fatto che Enrico aveva fatto erigere un campanile, rendendo l’edificio una chiesa vera e propria, motivo per cui i frati temevano una possibile concorrenza.

Il progetto fu rivisto e l’enorme abside eliminato, anche se ne è rimasta traccia nell’affresco del Giudizio Universale di Giotto dove lo stesso Enrico è raffigurato nell’atto di consegnare alla Madonna un modellino della cappella, comprendente anche una copia di quello che doveva essere l’abside originale.

Le decorazioni interne

Enrico degli Scrovegni aveva pensato in grande per quanto riguarda le decorazioni interne dell’edificio. Riuscì a coinvolgere nel progetto il meglio che l’arte gotica del ‘300 avesse da offrire: lo scultore Giovanni Pisano e Giotto.   

Giovanni realizzò il sepolcro di Enrico e il gruppo scultoreo della Madonna con bambino e due angeli, un esempio dell’intensità espressiva del gotico che si riscontra nelle pieghe della veste della Vergine e nell’intenso sguardo che la madre e il figlio si scambiano.

Ma la notorietà della Cappella degli Scrovegni è dovuta soprattutto al ciclo di affreschi dipinti da Giotto. Fino a quel momento l’allievo di Cimabue poteva vantare una carriera non da poco: aveva arricchito la basilica superiore di Assisi con i suoi affreschi e si era fatto un nome a Firenze dipingendo, tra le tante opere, il crocifisso della chiesa di Santa Maria Novella. Insomma, Giotto godeva dello status di una vera e propria celebrità e il suo nome era sinonimo di garanzia.

Il ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni

Gli affreschi di Giotto occupano tutto l’edificio. Il pittore dipinse sulla parete sinistra il ciclo di storie dedicato a Maria, mentre quella destra è occupata dalle storie di Cristo. L’intera controfacciata è invece decorata con l’immenso affresco del Giudizio Universale.

Nel rappresentare questi soggetti Giotto usò parecchie fonti della letteratura cristiana e agiografica come la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze, i Vangeli apocrifi e anche testi di ispirazione agostiniana. Questo perché gli affreschi avevano soprattutto uno scopo didattico, essendo destinati agli uomini e alle donne che non sapevano né leggere e né scrivere. Così, grazie alla funzione pubblica che aveva assunto l’edificio, i fedeli potevano essere educati e, in un certo senso, ammaestrati a seguire una vita retta e pia, secondo i precetti del cristianesimo.

Vediamo ora nel dettaglio questi affreschi.

Il ciclo delle storie di Maria e di Cristo

La volta è decorata da un cielo blu suddiviso in tre fasce decorative con dieci tondi, rappresentanti Cristo, la Madonna con il bambino e i profeti.

Il ciclo delle storie di Maria è dipinto sulla fascia superiore della parete destra e si srotola come una lunga sequenza di fotogrammi di una pellicola, suddivisa in due parti. La prima, corrispondente alla parete sud, narra le vicende di Gioacchino e Anna, i genitori della vergine. La seconda, corrispondente alla parete nord, si concentra sulle storie di Maria che vanno dalla natività al corteo nuziale che la conduce a Nazareth, dove partorirà Cristo. A fare da “prologo” al ciclo è la lunetta dell’arco trionfale, occupata dalla scena dell’annunciazione in cui Dio ordina all’arcangelo Gabriele di annunciare a Maria che porterà in grembo suo figlio.

Nel secondo registro si trova il ciclo di storie dedicato a Cristo, partendo dalla natività e la visita dei Re Magi, passando per la presentazione al tempio e la strage degli innocenti. Giotto rappresenta due miracoli narrati dal Vangelo di Giovanni: le nozze di Cana, dove Cristo tramutò l’acqua in vino, e quello della resurrezione di Lazzaro. Il ciclo prosegue poi con altri episodi dai Vangeli: la cacciata dei mercanti dal tempio, il tradimento di Giuda, l’ultima cena, la crocifissione e il noto Compianto sul Cristo morto, fino a giungere alla resurrezione.

Ciò che colpisce maggiormente di questi affreschi è la capacità avuta da Giotto nel riuscire a comporre degli spazi geometricamente composti e definiti (basti vedere i vari edifici in cui si svolgono alcune scene, a cui il pittore “toglie” letteralmente la porta per permetterci di vedere dentro) o anche di elementi molto semplici come i vani prospettici situati nell’arco trionfale, che si mimetizzano con l’architettura reale della cappella.

Ma a rendere Giotto una spanna in più rispetto ai suoi contemporanei è la forte carica emotiva con cui contraddistingue le sue figure. Lo si capisce osservando il Cristo irato e in procinto di sferrare un pugno contro uno dei mercanti o le espressioni addolorate di Maria e degli angeli alla visione del corpo del figlio di Dio.

Il Giudizio Universale

L’epilogo di questa lunga storia è rappresentato dalla controfacciata con l’immenso affresco del Giudizio Universale. È un’opera che per grandezza e immensità è paragonabile soltanto a quella dipinta da Michelangelo Buonarroti nella Basilica di San Pietro un paio di secoli più tardi.

Il tema del giorno del giudizio, narrato nel libro dell’Apocalisse, era frequente nell’iconografia medievale e veniva rappresentato spesso nelle chiese. Giotto vi si rifà, condendolo però con elementi originali.

Ai lati della controfacciata due angeli aprono le porte dei cieli. È la fine dei tempi e Cristo compare al centro della scena, seduto su di un trono sorretto da quattro figure che Giuliano Pisani ha identificato con quattro rappresentazioni della natura di Gesù: quella umano-divina (il centauro), la redenzione dell’umanità (l’orso con il pesce), la resurrezione (il leone) e l’ascensione divina (l’aquila).

Il trono è a sua volta avvolto da una mandorla di luce, sorretta da serafini e cherubini. Ai lati della mandorla due angeli suonano le trombe del giudizio il cui suono, stando a quanto afferma la dottrina della resurrezione della carne, risveglia i morti dalle loro tombe (rappresentati in basso a destra), pronti per essere assolti o condannati.

In basso si trova la croce, simbolo della passione che divide i beati dai dannati. Tra i primi troviamo lo stesso Enrico degli Scrovegni che, come accennato all’inizio, dona un modellino della cappella alla Vergine nel tentativo di auto-assolversi e di lavare via l’onta provocata dai poco leciti affari di famiglia, inserendosi così tra le schiere di coloro destinati alla salvezza. Tra i vari eletti che ascendono al cielo troviamo lo stesso Giotto e, accanto a lui, un uomo con la corona d’alloro identificato con Dante Alighieri.

In qualche modo il poeta fiorentino deve aver avuto una forte influenza nella morbosa e disturbante rappresentazione dell’inferno, originato da un fiume di fuoco che scorre dalla mandorla. Qui colpisce la maestosità di Lucifero, un enorme e grottesco mostro bluastro che divora e schiaccia i dannati, con due serpenti che gli escono dalle orecchie. Attorno a lui una miriade di diavoletti orrendi e pelosi sevizia uomini e donne di ogni estrazione sociale con torture al limite dello splatter: arti amputati, ossa che vengono stritolate con perversi marchingegni, demoni che non si fanno tanti problemi nel defecare addosso ai dannati e file di uomini impiccati. Uno di questi, da molti identificato con Giuda, ha lo stomaco sventrato con le interiora penzolanti.

La rassegna dei vizi e delle virtù

A completare il ciclo della Cappella degli Scrovegni è la rassegna dei vizi e delle virtù rappresentata nelle fasce inferiori di entrambe le pareti. Giotto dipinge le figure in monocromo, dando l’impressione che si trattino di piccole sculture e non di affreschi.

I vizi e le virtù sono funzionali al Giudizio Universale. Le due schiere di figure, infatti, scorrono lungo la parte bassa della controfacciata, configurandosi come un percorso spirituale. Così prudenza, fortezza, temperanza, giustizia, fede, carità e speranza conducono alla beatitudine. Di contro stoltezza, incostanza, ira, ingiustizia, idolatria, invidia e disperazione fanno precipitare, inevitabilmente, verso la dannazione eterna.

 

Fonte immagine di copertina: Wikipedia

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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